La Società di Mezzo, intervista per il Progetto CNEL – maggio 1993

Intervista di Donegà a Mario Melis
– Melis: È una regione che ha una economia determinata da un potere esterno che si è succeduto nella storia da duemila anni a questa parte e che ha espropriato i sardi di una loro capacità decisionale, di una capacità di essere protagonisti del proprio sviluppo, della propria storia, delle proprie decisioni. Perché con la Sardegna nuragica arrivano prima i fenici e poi i fenici che erano solo dei bravissimi commercianti e che avevano coi sardi un rapporto particolarmente positivo, si trasformano poi in forza militare quando vedono discussi i loro empori in terra di Sardegna e chiedono l’aiuto di uno stato di origine fenicia che è Cartagine, Cartagine occupa militarmente la Sardegna, la colonizza, la presidia con le proprie truppe e e diventa un momento di statualità se non autonomo, ma comunque con una peculiarità e specificità che sono pur sempre collegate alla capitale Cartagine e dalla quale continuano a dipendere sino a che, dopo la sconfitta di Annibale, arriva a Roma e Roma determina a sua volta una sua colonizzazione della Sardegna fatta di violenza, di esili di massa e sopratutto di utilizzazione di quest’area come area di servizio o al servizio dell’economia di Roma, quindi le miniere, la produzione del grano, ma naturalmente chi comanda sono i romani e non i sardi.
– Donegà: Come si traduce oggi questa situazione storica di dipendenza.
– Melis: Questa situazione si è poi protratta nel tempo attraverso Pisa, la Spagna, il Piemonte, che è stato tra i più meschini ed avidi, forse perché non avevano la grandezza alle spalle nel gestire la Sardegna, sicché arriviamo all’Italia unita, che è stata la più devastante tra tutte. Perché mentre noi fino all’unità di Italia bene o male avevamo un’economia che sviluppavamo nei rapporti col mondo esterno, la Sardegna sino a che non si è formato il regno d’Italia unito commerciava con Marsiglia, dove esportava fino al 1867 carne bovina per 50 milioni di lire all’anno, che sarebbero forse circa 5 mila miliardi di oggi, esportavamo sughero, esportavamo gli agnelli, il formaggio, quello che la nostra economia agropastorale, quello che c’era stato consentito di sviluppare dai nostri dominatori e che ci permetteva di avere rapporti internazionali, per cui c’era una classe dirigente in Sardegna di commercianti, di operatori economici di livello internazionale nell’ambito e nei limiti di questi settori economici, ma l’Italia unita aveva ben altri progetti. Aveva il progetto di spostare l’asse dello sviluppo al Nord e quindi dazi doganali per favorire la nascente industria del Nord, così i nostri rapporti con la Francia si sono interrotti drasticamente e da un anno all’altro siamo passati da 50 milioni, faccio sempre l’esempio delle carni bovine, ma era ben più importante l’esportazione del formaggio, degli agnelli, dei minerali, tra i nostri azionisti delle miniere sarde di piombo, ecc. dell’iglesiente c’era Onore de Balzac, c’era il mondo dell’economia francese, ancorché noi dipendessimo giuridicamente prima dal Piemonte e poi dal regno italiano. I dazi doganali ci hanno tagliato fuori dal mondo, hanno ucciso un gruppo dirigente, hanno ucciso la nostra economia, ci hanno precipitato nella miseria più totale, non avevamo scuole, non avevamo ospedali, non avevamo servizi civili, fognature, acquedotti, avevamo una grande quantità di tubercolosi, eravamo i primi nel mondo credo di tracomatosi, perché non c’era igiene ecc., e ci siamo affacciati a questo secolo in una condizione di crisi profonda. Cosa è avvenuto? Che nella guerra del ’15-’18 si è anche formata, come si formavano in Africa settentrionale, in Somalia, in Abissinia, in Libia le truppe coloniali, anche per la Sardegna si è pensato una truppa coloniale sarda e si è formata la Brigata Sassari. La Brigata Sassari ha combattuto, strutturalmente parlando, come popolo sardo. Il popolo sardo che partecipa alla guerra ’15-’18 per difendere i sacri confini delle Alpi, che non sapevamo neanche cosa fossero, il Tagliamento, il Piave, tutto ciò che più c’è di sacro nella storiografia italiana, siamo andati anche noi a difenderli, solo che noi li abbiamo difesi sul serio, per cui questa brigata è stata annientata tre volte, perché veniva considerata una brigata di assalto, ed è stata la brigata di gran lunga la più decorata di tutta la guerra ’15-’18, sono eroi mitici questi della Sassari sia a titolo individuale, sia a titolo collettivo. Però cosa ha prodotto questa esperienza di un popolo che unito in questa terribile e drammatica esperienza? ha constatato che non solo bisogna avere grande forza d’animo per affrontare le guerre, le terribili prove che la guerra comporta, ma anche ha affrontato un’esperienza straordinaria e cioè che ha visto che ci sono dei popoli che hanno le scuole, gli ospedali, le fognature, l’acqua corrente in casa, le belle strade, che hanno un’agricoltura assistita da canali di irrigazione, da tutta una serie di opere che sono realizzate non dai singoli individui, ma dallo stato, dalla collettività e questi si sono fatti una domanda: “ma perché noi siamo così profondamente diversi?”. La risposta è stata politica e cioè: “noi siamo così perché o ci considerano un popolo colonizzato e quindi subalterno”, ma giuridicamente non era così, perché un sardo poteva diventare anche capo del governo, non lo era ancora diventato, ma teoricamente questa possibilità l’aveva, e molti sardi si erano affermati in campo nazionale ed internazionale, già c’era una Grazia Deledda che aveva avuto un premio Nobel.
Voglio dire: il sardo come persona poteva affermarsi, non si affermava la Sardegna, era l’esperienza di questo popolo che non riusciva ad integrarsi nel contesto nazionale. Allora la risposta era politica e bisognava individuarne le cause e darsi le risposte. Era questo stato terribilmente centralizzato, con il potere verticalizzato, con il potere sempre portato il più lontano possibile dai cittadini e dove arrivavano solo i più potenti, dove solo i più potenti avevano udienza, e purché si muovessero in coerenza con gli interessi che quei potenti volevano realizzare. Quindi anche dei sardi sono arrivati vicini al potere ed hanno avuto anche successo sino a che si sono comportati in modo coerente a quegli interessi. Allora loro hanno capito che bisognava rovesciare il rapporto: il potere anziché verticale doveva essere orizzontale e coinvolgere le masse popolari, determinare una partecipazione dei cittadini alla gestione del potere e alla formazione delle decisioni, per cui c’è una proposta di trasformazione dello stato, da centralista ed unitario, in federalista e quindi un potere regionale che trovasse nel governo centrale la sintesi dei diversi interessi di cui si compone il paese. Io ho sentito De Rita un giorno, commentando il successo del nostro partito nel 1984, parlare di localismi e mi ha profondamente offeso perché il nostro non è localismo, il nostro è un valore universale, io sarei con gli scozzesi o coi miei amici corsi, o con gli andalusi o baschi o catalani.
È un valore universale questo del rivendicare ad ogni popolo una soggettività politica che lo renda protagonista del proprio sviluppo, perché altrimenti ricadiamo nel pericolo di un conformismo piatto, che assoggetta tutti ad un modello monocorde di società e di sviluppo, il che è pura follia, è pura ipocrisia. Perché se io sardo pretendo di definire il mio modello di sviluppo come Milano, o come Stoccarda sono battuto in partenza, sono folle, sono fuori dalla storia, fuori dalla realtà, io devo partire dalla mia realtà e costruire il mio sviluppo secondo meccanismi che siano coerenti e sinergici alle potenzialità che sono presenti nella mia realtà. Ecco perché la Sardegna soffre questa spaventosa contraddizione tra un potere formalmente regionale ed un potere sostanzialmente centralistico che non cede in nulla alla necessità di trasformare lo stato. Ecco perché lo stato oggi sta soffrendo tutte le incoerenze, tutte le tragedie di un paese che non si ama, di un paese che tutto sommato si disistima, perché la Lega Lombarda altro non è che un rifiuto di questo tipo di Italia, direi dell’Italia, se non come prospettiva politica, perlomeno come sentimento. C’è una vera e propria repulsa nella Lega Lombarda di tutto il mezzogiorno che considera infetto, malato, che considera diverso da sé, ma tanto diverso da non avere più nessuna coerenza.
– Donegà: Come si traduce dal punto di vista degli interessi questa situazione di potere centralista che informa di sé tutta una realtà, quella sarda, che invece a suo dire ha potenzialità, risorse per sviluppare modelli autonomi. Proviamo ad applicare dal punto di vista degli interessi il suo ragionamento oggi alla Sardegna.
– Melis: La Sardegna è europea, ma è anche mediterranea. Se lei prova a ricordare la collocazione fisica della Sardegna nel Mediterraneo, si accorgerà che è molto più vicina a Tunisi, che non a Civitavecchia, che è il punto più vicino nei collegamenti marittimi tra la Sardegna e l’Italia, tra la Sardegna e l’Europa. Se questo è, allora io devo utilizzare la mia collocazione geografica come un servizio reso ai miei vicini, debbo avere un rapporto con il contesto territoriale umano ed economico nel quale sono inserito. Lei provi ad immaginare una nave da carico di 200 mila tonnellate che arriva dall’America con mercanzie dirette nel Mediterraneo, allora lei dovrà sbarcare un tot di tonnellate nel porto di Tangeri, un tot nel porto di Tolone un tot nel porto di Cagliari, un tot nel porto di Napoli ecc. Questa nave non può fare il giro dei singoli porti, perché ogni sosta gli costa cento milioni, evidentemente deve arrivare in un solo punto, terminal della sua navigazione oceanica, scaricare tutte le merci e in quello stesso porto fare affluire tutte le merci che dal Mediterraneo sono dirette in altra destinazione oltre oceano. Quindi deve poter trovare un punto di snodo dei commerci mediterranei. La Sardegna è idealmente il punto di snodo dei commerci del Mediterraneo nord-occidentale. In questo senso ha tentato di organizzarsi Marsiglia, con un porto di eccezionale capacità, ma che è in crisi; in questo senso non ha avuto la capacità di organizzarsi Genova che ha visto decadere rapidissimamente la sua portualità, perché è diventata antieconomica. Concepire il porto cioè non come un servizio, ma
(…) quando è in prossimità del porto comunica la previsione del suo arrivo e chiede quali servizi ci sono a sua disposizione. Insomma noi dobbiamo organizzare dei porti al servizio dei commerci mediterranei da e per oltre oceano. Noi siamo sulla rotta Suez e Gibilterra, siamo tra tre continenti, noi siamo in condizioni di accedere alle materie prime in prima battuta, senza alcuna rottura di carico, mentre oggi qualsiasi cosa noi dobbiamo acquistare, la dobbiamo acquistare a Milano dove c’è il deposito dei grandi grossisti che hanno importato attraverso Rotterdam, attraverso Anversa, Brema, Amburgo, attraverso poi le ferrovie tedesche che fanno prezzi di particolare competitività, arrivano a Milano con maggiore convenienza che non da Genova. Però ci sono tutte le rotture di carico, vuoi camion o ferrovia ecc. Insomma ho tante e tali rotture di carico i cui costi vanno ad influire sul prezzo finale del prodotto, per cui quando arriva a me, io sono già tagliato fuori dal mercato, mentre se mi arriva direttamente da oltre oceano questa materia prima, poi con navi postino lo distribuisco per il Mediterraneo, io sono riuscito ad avere la disponibilità delle materie prime in prima battuta e mi inserisco nei commerci con la stessa competitività, anzi con maggiore competitività che non la stessa Milano, anche se è senza dubbio avvantaggiata dall’avere il mercato lì a disposizione, però noi ci troveremmo in una condizione ideale per poter assolvere senza pretese di monopolizzare tutti i commerci mediterranei, ma con la possibilità di avere una quota parte rilevante dei commerci mediterranei.
Perché non siamo riusciti a farlo sino ad oggi? perché lo stato italiano non ce lo permette, perché metterebbe in crisi Genova o La Spezia o Napoli, solo che lo stato italiano sino ad ora non ha messo in condizione nessuno di questi scali per assolvere a compiti di questo genere, ma poi io dal ’77 ho presentato una legge per la creazione in Sardegna della zona franca doganale in modo da consentire a questi operatori economici dei paesi terzi, dal Giappone all’Australia di costituire i loro depositi in Sardegna senza pagare dazio doganale, se non quando ne escano con queste merci, in modo che possano realizzare dei risparmi notevoli. Come presidente della regione me lo sono visto chiedere decine e decine di volte, ma lo stato italiano non me lo ha mai concesso, si è rifiutato di discutere un disegno di legge che, me presidente della Regione, il consiglio regionale ha approvato come disegno di legge nazionale di iniziativa regionale, che il parlamento italiano non ha neanche discusso. È finita la legislatura senza che nemmeno lo discutessero, però con decreto legge è stato concesso questo beneficio di esenzione doganale al porto di Genova perché era entrato in crisi, al porto di Napoli, al porto di Trieste.
È l’Italia che ci rifiuta come italiani, è l’Italia che ci emargina e che dice che noi dobbiamo solo servire, ma che non dobbiamo crescere, perché non dobbiamo dare disturbo. Questo è profondamente offensivo e mi offende nella mia dignità di italiano che sono andato in guerra per difendere la dignità di questo popolo e che poi mi respinge nella realtà e nella gratificazione, in quanto ha mandato in Sardegna soltanto industrie rifiutate da tutte le altre aree di grande sviluppo, perché erano inquinanti, perché non erano gratificanti, perché il rapporto tra capitale investito e occupati era assolutamente sproporzionato, costavano migliaia e migliaia di miliardi, ma non davano occupazione, con grandissimi consumi di energia elettrica, quindi grandi consumi, grande produzione di energia, quindi grande inquinamento.
Però quando c’è stata la crisi le prime industrie da smobilitare e da chiudere sono quelle sarde. Cioè anziché chiuderle nelle regioni ad alto indice di occupazione, ad alto indice di produzione, ad alto indice di tenore di vita, le chiudono in Sardegna, questo perché noi siamo deboli e non ci sono problemi.
L’Enel sta vedendo l’arresto dei suoi consiglieri di amministrazione che si facevano corrompere dagli industriali che producono le tecnologie per la desolforazione dei fumi, ma non ha voluto realizzare in Sardegna le centrali che io, presidente della Regione, gli avevo proposto dopo aver fatto fare gli studi in America, in Germania col sistema Texaco, ecc., con tutte le tecnologie più moderne, più avanzate per la gassificazione del carbone come materia prima che può realizzare energia con impatto ambientale zero, ecco loro dicono: “No, perché? facciamo se mai come si è sempre fatto, cioè con la desolforazione dei fumi”, che tra l’altro non ha impatto ambientale zero, ma che anzi continua ad essere fortemente inquinante, che ha costi di investimento enormemente superiori, quasi pari al doppio del sistema della gassificazione, con spese di gestione che fatto pari a mille MW sono di 80 o 90 miliardi in meno con il sistema della gassificazione del carbone rispetto alla desolforazione. Però l’Enel continua a praticare nelle centrali termoelettriche sarde policombustibili il sistema della desolforazione dei fumi, cioè un sistema sicuramente archeologico rispetto alla gassificazione, per non usare il carbone sardo. Perché noi in Sardegna abbiamo carbone che non è usabile perché fortemente intriso di zolfo e quindi capace di determinare degli inquinamenti catastrofici, ma se si ricorre alla desolforazione, quello zolfo da elemento negativo diventa una sopravvenienza attiva nel processo industriale del gas di carbone, perché mentre il gas di carbone si libera rapidissimamente quando è messo in caldaia, l’anidride solforosa che si sviluppa come gas dello zolfo non supera una barriera umida che invece viene superata dal gas di carbone e si trasforma in acido solfidrico, cioè in un liquido, quel liquido viene spillato separatamente, si solidifica, diventa zolfo elementare e me lo vendo, perché l’Italia ne importa 300 mila tonnellate annue, me lo vendo come una sopravvenienza attiva gratuita del processo e l’impatto ambientale è zero.
E l’Enel non mi utilizza questo sistema e questo, secondo me, in base al disegno della corruzione. Zorzoli che è un grande scienziato, che faceva parte del consiglio di amministrazione dell’Enel è venuto in Sardegna a spiegarci che non era il caso, che il carbone ancora non era maturo, per queste cose oggi è in galera, perché ha preso i soldi del sig. Pisanti, mi pare, che è un industriale della desolforazione, cioè del vecchio, dell’antico, del non più attuale. Capisco anche che ci siano delle diverse linee teoriche, però quando io sono andato in Parlamento europeo a sostenere questa tesi e ho portato gli studi della Regione Sarda ai colleghi della Commissione energia, immediatamente la collega che è presidente delle regioni minerarie di Europa, Garcia Rias, se lo è preso, lo ha proposto al governo spagnolo ed il governo spagnolo, perché la Spagna è paese povero e ha molte miniere di carbone, immediatamente ha chiesto di realizzare una centrale termoelettrica sperimentale a gas e la CEE gliel’ha finanziata. L’Enel ha chiesto di far parte della società, e quando noi siamo tornati all’Enel per dire che loro lo facevano e perché noi no, loro hanno risposto: “Noi ci siamo associati a loro, se il risultato sarà positivo, valuteremo”.
Questo significa che gli spagnoli avranno le tecnologie, le avranno sperimentate e noi andremo a comprare le tecnologie dagli spagnoli. Ora lei capisce che l’essere sardo è difficile, l’essere sardo è continuare a credere in una statualità italiana e difenderla come una prospettiva, e difenderla come un valore è un impegno di grande tensione politica e morale, perché io non sono tanto folle da non capire che l’indipendenza in sé e per sé non esiste, che esistono rapporti di condizionamento reciproco e, io voglio sperare, anche di solidarietà. Il mio partito quando si costituì nel 1921, si costituì come regionalista ed europeista, la cosa più bella per la quale io amo i fondatori del partito di un amore personale, perché questi, che erano tutti ragazzi che non avevano trent’anni, erano reduci della guerra, perché l’idea del sardismo si è formata in guerra, e questi quando sono tornati non hanno chiesto né pensioni, né posti ecc., hanno dato vita ad un partito politico che propugnava la riforma dello stato ed i teorici di questa nuova visione politica dello stato erano gli ufficiali che avevano comandato questi ragazzi nei momenti più alti del dramma della guerra.
Noi siamo europeisti nel momento stesso in cui abbiamo scoperto tutta la bellezza del regionalismo, regionalismo internazionalista, non chiusura, non localismo, non provincialismo gretto, che inaridisce ogni prospettiva.
– Donegà: Se il regionalismo non vuole essere un puro disegno di ingegneria istituzionale deve anche reggersi su risorse economiche, su interessi di tipo regionale. Le chiedo di descrivermi su quali risorse oggi può contare la Sardegna per il suo sviluppo.
– Melis: Intanto per una sua collocazione geografica che è una base poderosa e naturalmente anche un minimo di libertà di commerci, cioè la franchigia doganale, io debbo attrarre degli interessi. Sirio Lombardini, col quale io ho diviso un’esperienza come senatore, era rimasta affascinato dell’idea della zona franca sarda, non come fatto permanente, per lui doveva essere un fatto temporaneo: 25 anni. In 25 anni la Sardegna si inserisce in modo irruente nella scena economica internazionale. Ho visto l’altro giorno Lombardini e mi ha detto che verrà a Nuoro venerdì prossimo per tenere una lezione alla scuola superiore della pubblica amministrazione, di cui a Nuoro si è creata una sezione, e lui continua a sostenere la validità di questa tesi. Lo stato non ce la farà mai a risolvere i problemi della Sardegna, bisogna che i nostri problemi ce li risolviamo noi, ma utilizzando gli strumenti di cui disponiamo: ci restituiscano la nostra libertà di commerci. Noi disporremmo delle norme in materia tributaria non più sulle fonti tributarie di oggi, ma cercando di colpire la ricchezza nel momento in cui questa si è già formata e non nel momento della prospettiva: è arrivata la merce, la colpisco subito”. No. La lascio trasformare e quando la ricchezza si è formata, è diventata utile, colpirò a quel punto. In ogni caso noi abbiamo bisogno della libertà di utilizzare la nostra …. con una forte portualità, con una portualità molto moderna, molto computerizzata, molto informatizzata, ma anche molto ben strutturata, con tutti gli scali che sono necessari, coi collegamenti interni che sono necessari, le infrastrutture essenziali che lo stato ci ha sempre negato, perché ha sempre pensato che noi siamo un milione e mezzo di abitanti e che cosa vogliamo, quasi che noi siamo destinati a non crescere o a vivere marginalmente.
Io poi parto dal concetto che i giapponesi non hanno materie prime, hanno materiale umano, ma noi siamo un popolo serio, non abbiamo mai avuto libertà da due mila anni a questa parte. Ma noi abbiamo avuto però questo patrimonio di serietà, di rigore morale, di severità morale, per cui se non prendiamo troppa disinvoltura di tipo di continentale, se non diventiamo troppo acrobati dell’etica, noi siamo in grado di prendere sul serio le cose e di farle con serietà. Io torno sempre alla mia esperienza di pubblico amministratore, ho favorito la creazione di una università, gli industriali della provincia di Nuoro, che è la provincia più povera d’Italia, mi hanno chiesto di creare un’università a Nuoro da loro finanziata, ma siccome anche loro sono poveri, io come regione l’ho finanziata, abbiamo un’università che studia la scienza dell’organizzazione, che studia le scienze ottiche, cioè cerchiamo di andare nell’avvenire.
– Donegà: Ci sono delle ricadute locali di questo investimento?
– Melis: Sì, ma a me interessa relativamente poco, la ricaduta locale è il fatto che divento io Sardegna polo internazionale, perché verranno da Tunisi, stanno venendo dall’America, dalla Cina a studiare in questa micro-università, si saranno anche sardi e magari i sardi che hanno studiato verranno utilizzati Harvard, in Tailandia. Ho incoraggiato moltissimo le borse di studio, duemila ogni anno, ho incoraggiato moltissimo quegli studenti che mi chiedevano di andare in qualunque parte del mondo se loro mi dimostravano di avere avuto l’accoglienza, noi li finanziavamo e di questi in Sardegna torneranno non più di un terzo, ma questo terzo tornerà e anche quelli che rimarranno all’estero è comunque cultura di Sardegna che si diffonde nel mondo.
Sono solidarietà che io mando in giro per il mondo, poi avremo le ricadute. Per me sardo è chiunque lavora in Sardegna, chiunque si impegna a far crescere questa nostra realtà, umanità, ma non è il razzismo nel sangue, ma l’amore al contesto nel quale si è inseriti.
– Donegà: Quindi il capitale della Sardegna è il capitale umano. Lei vede già dei soggetti che magari ancora allo stato di potenza, ma sono disponibili ad accogliere un progetto di questo tipo.
– Melis: Faccio degli esempi. Agli inizi della mia esperienza di pubblico amministratore, quando ancora ero sindaco nel 1981 si è presentato a me un giovane e mi ha detto: “Voi ci avete incoraggiato sul programma rinascita come un elemento poderoso per rompere l’arretratezza della Sardegna e ci avete incoraggiato a professionalizzarci, a diventare imprenditori e a darci da fare per poterci inserire in un processo di sviluppo. Io ho girato, sono stato in Canada, sono stato in più posti, ho imparato a costruire dei veri quadri di comando elettronici, che possono governare in automatismi un’intera fabbrica di petrolchimica, visto che in Sardegna c’è la petrolchimica, senonché per fare queste cose i petrolchimici sardi chiamano imprese dall’esterno, perché non ci tutelate”. Io ho segnalato il caso al gruppo di Rovelli, il dirigente che operava in qual momento ha colto la segnalazione, è stato assunto ed oggi quello ha 500 dipendenti, è un’industria elettromeccanica, che riesce a fare dell’informatica, dell’elettronica, cose avanzate.
Ma noi abbiamo anche creato un centro di ricerca informatica sempre durante la mia amministrazione, abbiamo chiamato Rubbia a presiedere ed oggi Rubia presiede questo centro di ricerca pensando che questo centro potrà operare al servizio delle altre ricerche, cioè se voglio fare una ricerca di carattere astronomico ed ho bisogno di grossi calcoli matematici, o me li faccio io o mi rivolgo ad un’industria specializzata per fare questi calcoli informatici, in Sardegna c’è un centro ed allora mi rivolgo alla Sardegna. Cioè è un centro di ricerca al servizio delle altre ricerche.
Noi siamo consapevoli che la cultura è un elemento poderoso di sviluppo ed allora stiamo cercando in tutti modi di fare in Sardegna cultura. Uno dei settori che abbiamo particolarmente curato è la medicina. Oggi noi in Sardegna facciamo i trapianti di cuore e vengono da mezza Italia per questo. Questo perché possiamo diventare un centro di medicina mediterraneo. Quando ho incontrato Harafat a Tunisi gli ho detto: “guardi che il nostro eroe nazionale è un tunisino ed era Amsicora, che è uno di quelli che è venuto da padrone, poi a difeso la Sardegna dall’invasione romana ed è diventato l’eroe nazionale dei sardi di quell’epoca. C’è in noi una vocazione resistenziale, vogliamo essere no stessi, ma non per separarci dagli altri, ma per poterci integrare senza farci assorbire.
– Donegà: Le rappresentanze.
– Melis: No. Perché duemila anni di subalternità non si cancellano in sei mesi o in sei anni. Ricordo che poco prima di lasciare la presidenza della regione andai a parlare con Andreotti, allora ministro degli esteri, e gli chiesi che nei finanziamenti che lui faceva su un piano di cooperazione internazionale ai paesi in via di sviluppo, si impegnasse a favorire l’inserimento di aziende sarde.
Quando mi ha chiesto perché avrebbe dovuto fare questo atto di preferenza io gli ho detto delle mie preoccupazioni in vista del 1993: “Noi saremo completamente cancellati dalla faccia della terra, perché noi non possiamo reggere la concorrenza alla struttura industriale milanese o di qualunque altra città europea, allora dobbiamo fare esperienze internazionali, se lei deve realizzare opere di un certo tipo in Tunisia, Algeria ecc., ci manda imprese sarde”. La verità è che la Sardegna non ha classe dirigente e non ce l’ha non solo a livello politico, perché sul piano personale ciascuno è sé stesso e può diventare premio Nobel ecc. ecc. ecc….
Non è un problema politico è il tessuto sociale che non esiste e allora non esiste sul piano politico, sul piano imprenditoriale che è costretto a crearsi una piccola nicchia, possibilmente d’accordo con un potente socio continentale che lo tuteli, così è sul piano giornalistico, intellettuale, culturale. La gente non capisce che non può vivere vestendosi degli abiti altrui, che deve costruire dalle sue radici, che deve sviluppare secondo la sua identità. La cultura dei sardi deve essere una cultura che promana da questa esperienza di vita, da questa problematica.
– Donegà: Da cosa si dovrebbe partire in assenza di questo tessuto sociale, come lo chiama lei.
– Melis: Bisogna essere consapevoli ed il governo, la democrazia italiana deve potersi organizzare su questo piano, perché la democrazia italiana dovrebbe aver capito di aver fallito, perché lo stato unitario può aver avuto una sua ragion d’essere sbagliata, secondo me, all’origine, ma può aver avuto anche un suo ruolo positivo per una certa fase, ma poi intorno allo stato si sono incrostati gli interessi, intorno alle strutture centrali dello stato si sono incrostati interessi che lo stanno asfissiando.
Forse che Mussolini non è andato in guerra con quanto di meno preparato, meno idoneo, meno organizzato che potesse esistere. Intanto loro speravano che la guerra l’avesse vinta la Germania ed intanto loro potevano avere tutte le commesse di guerra. Io la guerra l’ho fatta e non ho mai visto un pezzo d’artiglieria progettato in Italia, erano tutti pezzi della guerra ’15 -’18. L’Italia non faceva ricerca, non studiava, copiava l’esistente e ricostruiva l’esistente.
È un’industria neghittosa, flaccida che non ha saputo creare, perché era intorno al potere ed il potere erano loro stessi. Essi sono circondati delle barriere doganali e vivevano tranquilli, protetti, sicuri, avevano un mercato interno che gli garantiva tutta la loro inefficienza e la loro incapacità, e l’Italia restava paese povero, ignorante, agricolo, con alcune cime che però non creavano sviluppo e neppure una civiltà industriale italiana. Con De Gasperi c’è una rottura di questo mondo asfittico e c’è una apertura verso l’Europa e verso il confronto. Le maggiori resistenze le ha avute proprio dal mondo industriale. De Gasperi ha saputo resistere ed ha costretto questo mondo a confrontarsi ed a dinamizzarsi e a crescere. Io credo che noi possiamo utilizzare le nostre potenzialità se veniamo messi di fronte anche alla responsabilità del decidere.
Certo che l’autonomia così come è non sta funzionando. Non funziona perché non ha potere reale, perché appena si presenta un mezzo interesse prevalente il potere regionale viene rapidamente vanificato, annullato e prevale il potere del governo centrale.
È una banalità, però quando si fa la conferenza stato regioni, più volte ho detto: “mi offende che voi possiate chiamarci qui e dire conferenza stato regioni, ma chi è lo stato? è lei presidente del consiglio per caso lo stato o non sono io. Lo stato è il territorio e noi siamo il territorio dello stato. Lo stato è il popolo e noi siamo il popolo dello stato, lo stato è ordinamento e noi siamo ordinamento dello stato. Il governo è solo un organo dello stato, così il parlamento è un organo dello stato. Lo stato è l’insieme di tutte le istituzioni che lo compongono. Chiamateci conferenza “governo-regioni”.
La verità è che chiunque al centro credo di essere lo stato e crede che tutti gli altri sono i sudditi, non i cittadini. C’è ancora questa concezione ed è la concezione che ha portato alla corruzione, perché ha portato ad un potere coperto, ad un potere protetto, ad un potere potente e quindi anche prepotente, che si è potuto permettere qualunque cosa, qualunque soperchieria, qualunque immoralità, che però nella ripetizione, nella reiterazione costante e sistematica di questa prassi dell’immoralità, questa era diventata ormai quasi legittima, perché legittimata da una sorta di vera e propria tradizione: “chiunque voleva fare qualcosa, doveva pagare una tangente”.
Perché i partiti assicurano la democrazia, ma se poi i partiti non hanno i soldi non sono in grado di esercitare a pieno il loro ruolo e quindi ad un certo punto sembrava quasi un fatto morale il pagare le tangenti. C’è stata una distorsione così sconvolgente del ruolo dello stato, perché il potere è di pochi ed incontrollati, per cui il parlamento non contava più nulla, cioè l’istituto della rappresentanza non aveva più alcun significato, perché io votavo un deputato, un senatore, ma quel deputato, quel senatore non aveva nessuna autonomia di giudizio. Aveva voglia la costituzione di dire che non c’è vincolo di mandato, c’è il vincolo del segretario che ti dice: “tu voterai a favore, tu voterai contro a seconda…”. Allora gruppi di senatori, gruppi di deputati, come tanti soldatini acritici votavano così come gli era stato detto di fare, in questo modo non esisteva più l’istituto della rappresentanza, non esisteva più il rapporto tra cittadini e i suoi rappresentanti. Se non fosse stato così allora il deputato sarebbe tornato in mezzo alla gente e non tanto per gloriarsi di quello che aveva fatto, ma per stabilire un dialogo permanente sulle cose da fare.
Donegà: In assenza di questo istituto intermedio capace di esprimere rappresentanza degli interessi, attraverso cosa si legittimano le istituzioni locali sarde.
Melis: Io non dico che non esista, potenzialmente esiste, si tratta di costringerlo a confrontarsi con la realtà. Noi un certo scotto all’esperienza lo dovremo pagare, lo stiamo già pagando, non esiste una classe dirigente, ma esiste una classe che bene o male si è confrontata con la realtà ed ha fallito in larga misura, però la consapevolezza di tutto questo è già un’esperienza, è già una scuola drammatica, terribile, c’è già un rifiuto di ciò che non si vuole, è già un fatto positivo di dire: “almeno questo non lo voglio più”.
– Donegà: Anche in Sardegna lei vede da parte della gente questo rifiuto delle istituzioni politiche e dei partiti che ci governano.
– Melis: In Sardegna, forse perché noi sardi abbiamo meno fantasia, c’è un rigore morale che non ammette questo tipo di distrazioni, abbiamo forme di criminalità forse più atroci, ma sono meno diffusive, riguardano piccoli gruppi che operano in condizioni particolarissime, nella solitudine delle campagne, laddove lo stato non c’è totalmente, allora i delitti sono atroci, sono turpi, sono di una violenza estrema, ma riguardano piccolissime aree, sul piano umano intendo dire.
Basta distruggere un gruppo per sei sette anni non si sente più parlare di sequestri di persona, poi magari si ricostituiscono perché non si modificano le condizioni di ambiente e quindi si creano sempre le opportunità per quelli che successivamente lo vorranno ritentare, ma noi abbiamo una percentuale bassa, sul piano statistico, di criminalità. Questo significa che la base sociale sarda è buona. Credo che in noi esiste sempre il senso dello stato, credo che noi possiamo guardare all’avvenire con una certa fiducia se andiamo incontro ad una esperienza importante di autonomia reale, perché autonomia altro non è che responsabilità. Pensare che autonomia è libertà e basta non significa cogliere tutto ciò che di bello la libertà comporta. Comporta la responsabilità, comporta una capacità decisionale. Io credo che noi saremo in grado di esprimere, col tempo, pagando lo scotto delle esperienze, a parte le fisime di molti ambientalisti che sono abbastanza o egoisti o ignoranti essi stessi, ma con la pretesa che tutti sappiano di ecologia, come quelli che sanno tutto sul calcio e sono tutti bravissimi allenatori al posto del responsabile, ma effettivamente ci sono delle brutture in Sardegna che si sono realizzate, ma perché non avevamo nessuna esperienza di governo del territorio e dei valori del territorio. Quello che sapevamo quando è venuto l’Aga Khan e che le terre che ha comprato erano delle pietraie desolate che non davano un chilo di formaggio ad ettaro, ma lui le ha trasformate in una profusione di smeraldi, ogni pietra è uno smeraldo, perché lui aveva cultura, conoscenza ed esperienza dei grandi fenomeni, per cui le terre gli sono state vendute inizialmente pochissimo, poi di più, man mano che la gente ha preso coscienza del valore e delle potenzialità che quete terre potevano assumere.
Ecco allora che molti degli insediamenti sono frutto non tanto della bramosia di denaro, ma della stessa inesperienza. Io capisco che sono stati commessi tanti errori, era una civiltà diversa da quella del maso alto atesino, che non ti vendono un maso ad un non alto atesino neanche coi miliardi, ma perché hanno questo legame, questa esperienza millenaria, invece noi abbiamo pagato questo scotto, adesso è un po’ diverso.
Io sono certo che esistono le potenzialità, che questa esperienza di tangentopoli, che non so in che misura si sia infiltrata come infezione etica anche nell’ambiente sardo, non posso escludere che anche noi ne siamo stati contagiati come una lebbra è difficile che non crei i suoi contagi devastanti, ma certamente in misura diversa e in misura molto meno compromissoria di quanto non sia avvenuto altrove.

 

Roma, 23 gennaio 1992

PROT. N. 132-5/2
Onorevole,
questo Consiglio, in sede di approvazione del parere sulla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, elaborato dalla competente Commissione Rapporti Internazionali, ravvisò prioritario il rilancio della politica sociale.
Nel quadro di tale obiettivo, il CNEL, considerati i diversi sistemi e standard di protezione sociale adottati in ciascun Paese partner e le difficoltà di armonizzazione a breve tra tali sistemi, ha ritenuto – e ritiene – in sede di prime osservazioni e proposte in materia di protezione sociale (previdenza, sanità, assistenza) che una politica di convergenza comunitaria dovrebbe quanto meno concernere i sistemi di finanziamento.
Il che implica ovviamente, rilevate le difficoltà che attanagliano su tale materia ogni Stato membro, una discussione sugli obiettivi ottimali di protezione del cittadino e del cittadino lavoratore.
Ciò premesso, il CNEL diede mandato alla Commissione di approfondire il problema dei diversi sistemi di finanziamento della politica di sicurezza sociale in Europa, problema che di detta politica rappresenta un risvolto fondamentale abbastanza trascurato e in generale non sufficientemente programmato, ai fini sia di una linea di convergenza verso un modello comune e, in ogni caso, di avvicinamento della politica italiana a quel modello.
La Commissione Rapporti Internazionali, che è presieduta dal Consigliere Raffaele Vanni, ha pertanto promosso nel corso del secondo semestre 1991 una ricerca per valutare le strutture e le modalità di finanziamento della sicurezza sociale e delle forme integrative in alcuni Stati partners – Germania, Francia, Belgio, Olanda, Regno Unito, per tracciarne le linee direttrici e rilevarne le tendenze più attendibili, anche alla luce degli ultimi sviluppi in sede comunitaria sull’argomento.
Rispetto a tali problematiche, assume grande importanza il programma della Commmissione di presentare la ricerca, che è stata curata dall’esperto dott. Giovanni Tamburi, in una Assemblea aperta perché, anche sulla base di apposito questionario, la relativa discussione possa fornire gli ulteriori elementi per la successiva elaborazione del parere finale da parte di questo Consiglio.
Per i motivi suesposti, sarò lieto, Onorevole, della Sua presenza a detta Assemblea, che avrà luogo presso la sede del Cnel, Viale Lubin 2, il 19 febbraio prossimo.
In attesa della Sua sentita partecipazione, e nel riservarmi di farLe pervenire tempestivamente la ricerca e il questionario, mi è gradito molto salutarLa
Giuseppe De Rita

Roma, 22 luglio 1993

Gentile Avvocato,
come ricorderà il CNEL, con il programma di attività sulla società di mezzo – al quale ha avuto la cortesia di voler dare il Suo contributo – ha inteso esaminare le trasformazioni che le rappresentanze degli interessi attraversano nell’attuale fase di crisi della mediazione politica.
Nel corso di questo lavoro ed in preparazione dei Forum territoriali, abbiamo effettuato oltre 200 interviste, alcune delle quali ci sembrano particolarmente ricche di elementi conoscitivi e di indicazioni di prospettiva. Per questo abbiamo pensato di raccogliere le testimonianze più significative, in una pubblicazione che farà da complemento al rapporto, in corso di elaborazione, sulla società di mezzo.
Le chiedo pertanto di volerci fornire la autorizzazione alla pubblicazione delle dichiarazioni di cui Le allego la scheda di sintesi da noi elaborata e/o la trascrizione letterale – da Lei rilasciate al nostro intervistatore pregandoLa di rivedere il testo mantenendone il taglio di testimonianza discorsiva e di inviarLo entro il prossimo 15 settembre al CNEL, in Roma via D. Lubin 2, alla attenzione di Angela Romei.
La ringrazio per la collaborazione e con l’occasione Le invio i più cordiali saluti,
Giuseppe De Rita