Guardiamo al domani, Associazione degli Industriali – Nuoro – 1 luglio 1988

Ho seguito con grande interesse la relazione del Presidente dell’AVI come suo solito concreta e di ampio respiro, ricca di stimoli, di indicazioni, di prospettiva, e di per se stesso a me è sembrato non utopistica, anzi, correlata di una realtà difficile, quindi realistica, senza scollamenti e fughe, per cui le opportunità e possibilità che vengono proposte alla nostra riflessione per le valutazioni di responsabilità che debbono conseguire appaiono commentate in un orizzonte ambizioso ma raggiungibile e quindi come tale severo perché si non consente illusioni, perché, se io ho un’osservazione degna di rispetto, di riverenza, ma diciamo pure perché viviamo la realtà nuorese ormai da ragazzi, di amicizia, con Remo Berardi, in una conversazione che precedeva il suo intervento già fatto, che mi è sembrata troppo cauta, troppo prudente, forse sono io che ho il brutto difetto di lasciarmi di più abbagliare, abbacinare da certi obiettivi che sembrano lontani, difficilmente definibili e concretabili; ma noi abbiamo il dovere di pensare in grande, perché pensiamo alla forza dell’oggi per un domani che dobbiamo costruire con fede incrollabile, con una volontà dura, ferma, anche passionale, ma con una determinazione che non deve conoscere scoramento. Siamo forza di governo, di indirizzo, di realizzazione e non si può sfuggire a questo impegno senza disgregare le forze propositive che sono nella comunità e che la comunità è in grado di far fiorire, di far germinare con forza irresistibile.
Nuoro, quando aveva 7.000 abitanti, ha espresso un premio Nobel, ha espresso uno dei più grandi scultori del nostro secolo, capace di ispirare poeti, grandi artisti della musica. Su La madre dell’ucciso è stata scritta una sinfonia di una grande bellezza che viene eseguita insieme alle musiche di Chiopin, Beethoven, Schubert, della musica da camera che ormai rappresenta il classico
della nostra cultura musicale, viene eseguita “Terra Nuova” che si ispira a questa donna nuorese raccolta in un dolore intimo e profondo che testimonia l’universalità della nostra umanità.
Nella Galleria di Arte moderna di Valle Giulia è insieme alle opere di Picasso, insieme alle opere di Fattori, insieme alle opere dei Barcaioli. Nella galleria d’arte moderna, è insieme ai revisionisti ai Boccioni, ai Severini, cioè quanto di più moderno e più universale si possa esprimere e questo messaggio di universalità è venuto dalla scrittrice Grazia Deledda, è venuto da Ciusa, è venuto da noi, da poeti del valore di Satta, questo paesino di 7.000 abitanti perché chiudersi in una solitudine arida e senza prospettiva quando fermenti di vita di valenza universale questa nostra comunità può esprimere, ha espresso, è in grado di esprimere ancora?
Il ceto che è forte, è vivo, è sofferente, ma nel travaglio creativo di nostro genio si ritrovano capacità propositive. Respingo tutte quelle ipotesi che si fondano sul fare da soli e che il fare da soli significa chiudersi in una solitudine, che estingue ogni capacità di arricchimento, perché
la civiltà è frutto di scambi, di rapporti fatti di impulsi reciproci. L’ipotesi generica di un solidarismo etico che non ha mai trovato spinte creative nel progresso dei popoli laddove invece gli interessi e i grandi obiettivi sono alla base dell’operare delle grandi comunità. Le comunità si raccolgono nel nucleo primigenio che diventa istituzione nel Comune, che diventa istituzione più ampia nel territorio, intorno alla stessa lingua, ai valori della comune cultura per diventare così nazione e la nazione diventa stato sulla base di valori che non sono sentimentali ma che sono culturali, di comune esigenza di reciproca difesa e di reciproca forza sì da presentarsi al confronto, al dialogo con gli altri da posizioni creative ma non di debolezza che diventano subito subalternità.
E allora diciamo che la nostra Regione ha rivendicato un’autonomia che ci fa soggetto politico, che va al confronto con le altre realtà dello Stato non per sollecitare generiche solidarietà e non per chiudersi in una solitudine che non ci arricchisce, non ci fa certo più forti. Noi operiamo nel contesto dello Stato consapevoli che abbiamo il dovere di entrare nella più grande comunità internazionale ed europea per cui il nostro vero obiettivo è l’internazionalizzazione della Sardegna. Noi dobbiamo internazionalizzare la nostra economia, noi dobbiamo conquistare un’economia marittima, che un’Isola che non abbia economia marittima è un non senso, è prigioniera del mare, è condizionata, chiusa in una solitudine che la fa dipendere dall’esterno, così come per millenni siamo dipesi dall’esterno.
Oggi ci stiamo presentando al confronto internazionale consapevoli che solo governando il nostro territorio, del nostro territorio fa parte ineliminabile il mare, governando il nostro territorio e quindi i nostri collegamenti, noi potremmo inserirci positivamente nel contesto italiano, europeo, Mediterraneo. Quindi senza albagie ma con grande senso della storia e delle responsabilità che sul piano della soggettività politica ci deriva dal nostro essere soggetto autonomo nel contesto dello Stato e della Comunità europea, dal nostro quindi essere soggetto internazionale ancorché non di diritto internazionale, ma quindi capaci di atti internazionali anche se non capaci di una rappresentatività internazionale, ma di contenuto internazionale certo, così come hanno scoperto le regioni del Veneto, della Lombardia, ma dello stesso Piemonte, del Triveneto -direi- costituendo insieme agli svizzeri, insieme agli austriaci, insieme ai tedeschi, insieme agli sloveni, dell’Alta Adria che è diventata ormai una comunità che opera come una entità giuridicamente rilevante con soggettività internazionale riconosciuta sul piano dei valori civili ma dei valori economici. Ho visto in Norvegia, in questo paese che va dal Mar Baltico sino al Circolo Polare che ha 4 milioni di abitanti, poco più del doppio della nostra popolazione, con un territorio molto più grande dell’Italia. Il suo Sud più profondo ce l’ha nel Nord con la regione confinante con la Svezia e questa con quella confinante della Finlandia, e hanno stabilito un rapporto orizzontale perché erano tutti verticali questi rapporti, non avevano niente da dirsi, non avevano niente da scambiarsi, e le regioni stavano così praticamente in una condizione di stasi, non propositiva, non propulsiva. Si sono intesi in orizzontale, hanno stabilito linee aeree, linee di comunicazione, hanno realizzato forme di collegamento straordinario certo. I ministri del grande Nord ogni tanto si riuniscono, però si riuniscono anche i Presidenti delle Regioni, e hanno risolto i loro problemi, hanno un intenso interscambio.
Noi abbiamo il dovere di cominciare a pensare che la nostra regione può dialogare nel contesto internazionale, ottenendo risultati estremamente positivi. Ho avuto il piacere di guidare una delegazione nei giorni scorsi in America e di visitare da costa a costa, dall’Atlantico al Pacifico tutta una serie di impianti che non sono solo sperimentali, non sono solo dei prototipi, ma sono industrialmente inseriti nella competizione con altre forme di produzione industriale della energia elettrica, della chimica, di quella chimica fine, utilizzando carboni che realizzano o a bocca di fabbrica o importandoli da regioni vicine nel Nord Dakota e in altre aree degli Stati Uniti d’America. Ho scoperto così che noi siamo sede di giacimenti di carbone con un alto potere calorico che può essere utilizzato validamente nella produzione di energia elettrica senza avere alcun condizionamento né limitazione dalla alta percentuale di zolfo che nelle misure più elevate, oltre il 6%, sul quale l’impatto ambientale diventa zero sotto il profilo zolfo, anzi lo zolfo ne diventa un sotto prodotto che, ove ne esistano le condizioni naturali, può essere validamente commerciato, senza farsene condizionare neppure dalle ceneri perché alle temperature in cui si può realizzare la gassificazione, (oltre 1300 gradi siamo a un terzo della temperatura del nucleo solare), le ceneri si pietrificano e vengono utilizzate credo da coloro che fabbricano cemento e cementi leggeri perché si può ottenere questo risultato, sono utilizzati per fare delle tegole e delle pavimentazioni.
Quindi anche le ceneri diventano un sotto prodotto della gassificazione del carbone, cioè noi sardi siamo in condizioni di renderci autonomi sul piano della disponibilità della materia prima in campo energetico e quindi di disciplinare la nostra organizzazione produttiva, sia sul piano industriale, sia sul piano artigianale, sia sul piano degli usi civili, aumentando di molto la produzione di energia elettrica secondo i nostri interessi perché noi non possiamo produrre più energia di quella che ci serve perché non la possiamo esportare, non possiamo produrne di meno perché non la possiamo importare, perché gli elettrodotti sappiamo, con tutto il dispendio enorme che sono costati ci portano soltanto 300 mila Kw, che è una cifra così irrilevante che veramente non mette più conto neppure di parlarne, neppure per abbattere le punte che si verificano in situazioni del tutto particolari.
E allora noi dobbiamo ritrovare noi stessi prima di tutto i motivi del nostro sviluppo per poter andare a un confronto, ad un dialogo con la comunità europea, con tutti i soggetti nei quali rientreremo certo come Stato italiano ma soprattutto, prima di tutto, come Regione Sarda.
Basta sentire le parole del nuovo presidente della Confindustria Pininfarina, per dire il ruolo dello Stato che ormai va ad esaurimento. Gli Stati nazionali hanno assolto al loro compito storico, emergono i ruoli delle regioni con tutta la ricchezza delle diversità, con tutti gli apporti fecondi che queste diversità sono in grado di esprimere, con tutto l’intreccio di interessi che possono nel loro incontrarsi determinare. E noi Regione Sarda, Regione marittima dobbiamo ancora vincere questa barriera che è il mare, rappresentato per noi, diventando una forza di economia marittima.
Ieri sera parlavo con il Ministro della Marina Mercantile e gli sottoponevo questo rapporto estremamente teso tra la comunità dei sardi e la società alla quale sono stati affidati i servizi dovuti di collegamento fra la Sardegna e le varie aree economiche italiane e che non favorisce in alcun modo l’integrazione dell’economia sarda nell’economia nazionale e nell’economia europea che anzi crea fattori di diseconomia di discontinuità estremamente penalizzanti; per cui sollecitavo da lui una posizione che finalmente rappresentasse un atto di giustizia verso i nostri operatori economici, io penso all’area cagliaritana, che si vede ridurre di oltre 3.500 rimorchi nei tre mesi estivi perché la modifica delle navi da tutto merci a merci-passeggeri ha ampliato lo spazio per la componente economica del turismo ma ha ridotto quella degli operatori economici, imprenditoriali, della fornitura delle materie prime, della possibilità di esportare prodotti finiti, una compressione per centinaia di miliardi che questi operatori si vedono… non so quante decine di migliaia di tonnellate di merci in tara lorda, poi uno può trasportare mobili che sono un insieme di vuoti, può trasportare altre materie che invece più dense e più compatte, ma questo è grosso modo il sistema di valori, una falcidia folle della nostra economia.
Che possibilità abbiamo di crescere, se la nostra economia è strangolata sui nostri porti, è chiusa, è prigioniera, è condizionata da chi? dal Governo? No. Da un Consiglio di Amministrazione che siede dove? A Cagliari?
Col quale chiediamo di dialogare? No. Sono il Presidente della Regione non dialogo con l’Amministratore delegato della Tirrenia (per la verità il Ministro mi ha detto che non dialoga neanche lui, che lui è costretto a dialogare con Prodi, che è Presidente dell’Iri, il quale dialoga con il presidente di Finmare, il quale dialoga poi con il presidente della Tirrenia). Siamo nell’allucinante. Il Ministro mi ha detto: se lei dovesse vedere la nostra corrispondenza resterebbe piuttosto interdetto e io non resto affatto interdetto perché ricordo le scene anche patetiche del precedente Ministro della Marina Mercantile che era poi di Nuoro, che era un sardo. Che è un sardo, e che è stato letteralmente mortificato da un Consiglio di Amministrazione che lo ha disatteso completamente, cioè poteri che sono dentro lo Stato che contestano i poteri politici e di governo dello Stato.
Ecco perché allora anche il rapporto con le Partecipazioni Statali nel loro insieme, con tutto questo insieme di fattori che marciano secondo i loro interessi, che si disimpegnano dalla programmazione regionale per cui il governo dell’economia viene ogni tanto sconvolto da iniziative del tutto unilaterali mai concordate. Per cui, ecco, un Ministro delle Partecipazioni Statali che dovrebbe dare coerenza, che dovrebbe dare unità di indirizzo, obiettivi, perché non c’è nessun bisogno di un’azienda di Stato, perché sono bravissimi i privati a gestire le aziende per fare denari. Ma se c’è bisogno ad un’azienda di Stato perché questa deve assolvere a un compito più complesso, più organico e anche meno gratificante, talvolta. Ma, per rispondere alle esigenze di una collettività, non solo le aziende, ma gli enti di Stato hanno questo compito. Certo bisogna risparmiare il denaro, ma questi non lo risparmiano mica, perché se c’è un’azienda che è mal amministrata, che dissipa il denaro pubblico, che ne fa veramente una merce vile, che viene gettato al vento, è proprio la Tirrenia.
Quando fa navigare delle navi di 7.000 tonnellate con 120 persone di equipaggio, ed io penso al collegamento dell’isola di Gotland con Stoccolma, con Minesan, con Orkesan, avviene con navi di 14.000 tonnellate, trasportano il doppio delle persone, trasportano il doppio delle macchine, degli autotreni. Non è che sto parlando di navi, così, generiche, sto parlando di una nave che prende il nome della capitale dell’isola di Gotland, hanno 45 persone di equipaggio, 20 sono di coperta e di macchina, 25 sono alberghiere e noi ci portiamo a spasso ogni notte 120 persone su queste motonavi per fare nulla, perché a lavorare, perché per tenere la nave in rotta bastano una decina di persone. Perché alle 5 e mezza vogliono essere già per conto loro e sono circa due ore di lavoro che impiegano in tutto il giorno, quando bastava mettersi d’accordo con una piccola comitiva di operatori a Civitavecchia e un’altra ad Olbia, i viaggiatori avrebbero viaggiato più tranquilli, meno maltrattati e l’Amministrazione avrebbe pagato infinitamente meno.
Ma quei 120 sono messi a carico della Sardegna, è una Regione assistita, è una Regione che costa allo Stato cifre enormi, pessimamente serviti, emarginati e per giunta accusati di costare chi sa quanto, laddove una società di navigazione, e io sto cercando di proporre ai colleghi Presidenti delle Regioni della Liguria, della Toscana, del Lazio, per creare una società di navigazione.
Con Prodi ho avuto modo di parlarne nel riprendere il discorso e che Prodi è una parte, bisogna convincere anche gli altri Presidenti delle altre Regioni, perché mi pare che l’abbia trovata estremamente interessante il collega della Liguria, che fra l’altro è responsabile nella Conferenza dei Presidenti della politica dei Trasporti e quindi anche di quelli marittimi. Con gli altri dobbiamo approfondire questo tema; ma certo che questa è una situazione insostenibile, badate cari amici, voi siete operatori economici che vi misurate con la realtà ogni giorno ed ogni errore che commettete lo pagate di persona pesantissimamente, quindi siete estremamente responsabilizzati.
Voi dovete diventare sempre di più classe dirigente, non solo sul piano delle attività economiche, ma sul piano politico, cioè, questa Giunta, lo dico con orgoglio, ha cercato di coinvolgere l’Associazione degli industriali perché il dialogo normalmente era soprattutto con i sindacati, una sorta di tradizione, il rapporto coi sindacati, e il rapporto coi sindacati diventa essenziale, ma non esaustivo, perché non sono i soli soggetti che intervengono nei processi produttivi, nei processi economici, nei processi dello sviluppo.
L’imprenditoria diventa un elemento essenziale laddove si vive in un’economia di mercato, ma dovete diventare, come sono i sindacati, soggetti politici primari, perché queste battaglie non si vincono nel palazzo, non si vincono nel rapporto tra il Presidente della Giunta regionale, o i componenti della Giunta regionale, o i capi-gruppo del Consiglio regionale, o i capi-gruppo del Parlamento. Non è nelle segrete stanze che si risolvono questi problemi, nelle segrete stanze si prendono accordi di tipo diverso, almeno per quello che se ne sente dire. Si vincono con la mobilitazione, si vincono con la partecipazione, si vincono con un impegno che deve essere in orizzontale e non verticistico, perché nei vertici vincono gli interessi prevalenti. Nel rapporto con i poteri pubblici si affermano invece gli interessi diffusi, quelli dei quali il popolo si appropria e se li gestisce; certo, avvalendosi delle sue rappresentanze democratiche, ci mancherebbe altro che torniamo ai motti di piazza, che torniamo a forme disorganiche, parossistiche, irrazionali di dialogo con il potere pubblico; ma attraverso una partecipazione diffusa e voi siete una componente necessaria ma non sempre presente, siete un po’ troppo chiusi nella solitudine delle vostre responsabilità, delle vostre aziende e nel dialogo politico, ma la politica, è lo strumento attraverso il quale si determinano le grandi decisioni, i grandi indirizzi.
La Sardegna sta assumendo grandi decisioni e sta dando grandi indirizzi perché, cari amici, noi abbiamo preso l’Amministrazione regionale in una situazione di grande difficoltà, di grande tensione, di crisi profonda e non era una diceria. Nel 1970-’72 ha cominciato l’arresto del processo espansivo della industrializzazione, si è fermato, è cominciato il processo, invece, di smobilitazione, di ristrutturazione.
In Sardegna la ristrutturazione si chiama mutilazione e un reparto dietro l’altro; si andava chiudendo e andava aumentando la disoccupazione ma in coincidenza con una crisi europea, con la crisi del mondo occidentale, con la crisi del petrolio, con la crisi delle materie prime, con tutto un movimento internazionale che ha messo i paesi ad alto indice di industrializzazione ma a bassi costi di materia prima, di combustibili, quale è il petrolio, nella condizione di dover affrontare competizioni internazionali con costi sempre più elevati. Ecco allora che quella crisi ha bloccato i fenomeni di emigrazione. Ma noi abbiamo vissuto quegli anni di espansione perché avevamo già espulso quasi 500 mila lavoratori dalla Sardegna perché non c’erano quelle tensioni parossistiche, perché la gente emigrava, perché l’Europa era ricettiva, perché l’Europa trovava modo di collocarli e la stessa Italia Settentrionale che si è andata allocando allora tra i cinque paesi più industrializzati del mondo, andava spogliando, degradando, spossando, dissanguando di tutte le sue energie l’altra parte d’Italia, trasformata in mercato di consumo; gli stessi interventi straordinari erano finalizzati a far consumare l’Italia Meridionale i prodotti dell’industria settentrionale, perché non è che si creassero le fabbriche di trattori, si facevano comprare i trattori con i denari dell’intervento straordinario. Quindi un trasferimento di ricchezza del tutto apparente e un imponente mobilitazione di risorse finanziarie che facevano una partita di giro e tornavano nel Nord, lasciando il Sud, certo in una condizione migliore del periodo precedente, ci mancherebbe altro che noi possiamo dire che viviamo la condizione dei nostri vecchi, dei nostri genitori. Abbiamo fatto passi da gigante, ebbene debbo dire molto per merito delle amministrazioni regionali che, con tutte le critiche, con tutte le riserve, con tutte le discussioni che ci siamo fatti tra di noi, hanno contribuito in modo determinante al nostro sviluppo perché ricordiamo che quando c’è stata l’avvento della prima Giunta regionale noi avevamo 170 paesi senza energia elettrica, marciavamo con le steariche, nel ’49, e sono state le Giunte regionali a risolvere il problema perché l’Ente Sardo di Elettricità, creato dall’Amministrazione regionale, ha creato le centrali di Portovesme, a creato la Supercentrale di Carbonia, cioè ha creato una mobilitazione che ha fatto passare da 400 mila Kw all’anno a 4 miliardi di Kw/ore all’anno, la produzione di energia elettrica e a mobilitare l’artigianato, a mobilitare tutta una serie di iniziative che hanno fatto crescere la Sardegna.
Ma lo sviluppo che senza dubbio è stato enorme in questi ultimi trenta, quarant’anni, non ha significato che noi abbiamo coperto il divario con le Regioni a più alto indice di sviluppo perché il divario è andato aumentando, il distacco è aumentato, per cui dobbiamo tenere conto di tutto questo se vogliamo al ’92 arrivarci in condizioni competitive. E credo che noi abbiamo questa possibilità, non in virtù di generiche solidarietà, che è tempo di smetterla con questa retorica, non in virtù delle nostre capacità di chi sa quale potenza o ingiustizia di oggi. In virtù di quella capacità che noi avremmo di integrarci con gli altri e di far rispettare i nostri diritti. Ecco, un piano energetico diventa fondamentale, un piano delle acque che mobiliti qualcosa come 450 mila ettari che oggi sono praticamente inesplorati, che vivono la vita primigenia dei nuraghi, mentre siamo in condizioni di portarli ad un indice di produttività di altissimi livelli competitivi. Noi oggi importiamo nell’agro-alimentare per 700 miliardi all’anno. È un export di denaro che in larga misura non si giustifica. Oggi non possiamo più permetterci di vivere con i ritmi, con le cadenze del nostro tempo, di questo tempo, perché le cadenze a noi estrane ci coinvolgono, ci rullano sopra, perché nel momento in cui a New York il prezzo del dollaro, il costo del dollaro discende, discende il valore del nostro formaggio, nella nostra cantina, nei depositi che abbiamo nei vari caseifici e la Sardegna si può impoverire di decine di miliardi per un rialzo o un abbassamento di borsa e la comunicazione arriva entro 10 minuti dal momento in cui il fatto si verifica, alla borsa di New York, alla borsa di Londra.
C’è una telecomunicazione oggi, fa sì che il mondo sia poco più di un villaggio e gli eventi devastanti o promozionali debbono essere recepiti con la tempestività, con il dinamismo che il nostro tempo ci impone, ecco perché non più tardi di due o tre giorni fa noi abbiamo celebrato a Cagliari un dibattito con diversi giudici costituzionali, con Baldassarre, con Cheri, con grandi studiosi di diritto costituzionale che insegnano nelle Università di Firenze, di Bologna, di Genova, di Roma, figure illustri, qualcosa come undici disegni di legge con i quali prefiguriamo, se non esauriamo, l’intera Riforma della Regione, perlomeno noi aggrediamo i punti centrali.
Non si può più accettare, come diceva Loi, che un provvedimento stagni negli Uffici della Regione per tre anni in attesa che l’operatore economico possa finalmente decollare con la propria iniziativa. Noi dobbiamo essere non un elemento di freno ma un elemento di incentivazione perché possiamo diventare un elemento di incentivazione. Dobbiamo ammodernare la produttività degli atti amministrativi o degli atti normativi e anche per questo ci siamo affidati al Formez che diventa uno dei centri culturali di proposta più rilevanti in Italia, per studiare tutta la nostra normativa, per vedere di alleggerirla, di renderla più flessibile, più duttile, più manovrabile, più operativa in modo che nel giro di poche settimane noi possiamo adottare i provvedimenti conoscendo tutti gli elementi di giudizio e adottando sulla base di fattori obiettivi, una volta stabiliti i grandi traguardi. Le decisioni che spettano al potere pubblico, ma in questo senso yi sono tutta una serie di iniziative che vedono il trasferimento dei poteri agli Enti locali per vitalizzare orizzontalmente il potere, per coinvolgere le popolazioni, per renderle più protagoniste, più responsabili, più attive. Insomma tutta una serie di proposte che vedono la stessa Giunta regionale trasformarsi, conferire al Presidente maggiori poteri perché possa dare maggiore coerenza, maggiore unità di indirizzo, maggiore efficienza all’operare della stessa Giunta regionale e così ben undici settori, tutta la dirigenza regionale dei funzionari che viene responsabilizzata, alla quale si trasferiscono gran parte dei poteri decisionali sui singoli provvedimenti perché l’assessore deve fare politica e non sbrigare faccende, deve poter dare al funzionario la delega della firma in modo che il funzionario risponda poi sotto qualunque aspetto, del proprio operato, dell’obiettività del provvedimento, della tempestività del provvedimento, della imparzialità del provvedimento, della correttezza giuridica del provvedimento, dare cioè al funzionario le responsabilità che gli competono, che altrimenti finisce che magari il provvedimento lo firma l’assessore ma l’ha pensato il funzionario e poi ne risponde politicamente l’assessore; cioè un funzionario che diventa irresponsabile.
C’è il pericolo di dare maggiore forza al funzionario, però bisogna anche dire che l’assessore non può essere competente di tutte le procedure, che la competenza e la professionalità è del funzionario e non dell’assessore. L’assessore può essere un medico se fa la sanità, non può essere un avvocato sugli altri settori e così via, come non può essere un ingegnere se assessore ai lavori pubblici. Deve avere chiari obiettivi politici, ma soprattutto il potere deve andare ai soggetti naturali, ai Comuni, alle Province. Certo che è facile dirlo, è difficile attuarlo, perché trasferire i poteri non significa che quelli possano esercitarli se non gli trasferisci le risorse, e se non gli trasferisci gli strumenti che se no capita quello che è capitato a noi che abbiamo trasferito oltre mille miliardi e sono ancora lì nei bilanci comunali che non riescono a spenderli perché non hanno 1’organizzazione, non hanno la cultura, la struttura burocratica che gli consenta di spendere. Ecco, allora che noi siamo presi fra molti problemi ma non siamo fermi. C’è un disegno di riforma, c’è. È in discussione. Sono venuti da ogni parte d’Italia per discuterne con noi, sono venuti giudici della Corte Costituzionale, appassionati, avvinti, dall’intensità dei confronti che vedevano emergere, purtroppo è mancata una parte politica, non è venuta, non si è confrontata ed è veramente un peccato perché questo indebolisce fortemente non la maggioranza, indebolisce la Sardegna, perché se noi non arriviamo a varare queste riforme, che poi non varrebbero in questa legislatura, andrebbero a valere nella prossima legislatura. Se noi non andiamo a varare le riforme, possiamo dire tutto quello che vogliamo ma lasciamo debole la Sardegna.
La Sardegna ha prestigio nazionale ed internazionale perché il suo popolo esprime valori reali e la sua gente ha una serietà profonda che ormai è diventato un valore europeo perché i sardi sono presenti nell’ordine di decine e decine di migliaia in tutte le grandi comunità europee dai 40 e più mila della Svizzera agli oltre 60 mila della Germania e così nell’Olanda e così nel Belgio e li troviamo presenti nella cultura, li troviamo presenti nella comunità.
Ho inaugurato bellissime opere d’arte donate dai nostri emigrati alla comunità di Sarbuken, alla comunità di Stoccarda, alla comunità di Arlem nell’Olanda, nel Sosveik che è il parco più prestigioso di tutta l’Olanda, dove ci sono opere dei più grandi artisti, ci sono anche opere di artisti sardi, perché le nostre comunità di emigrati sono emerse come soggetti della comunità civile di quelle realtà, ma sono emersi come sardi, forti della loro identità, forti della loro cultura, non per sfidare nessuno ma per integrarsi, non per farsi assorbire. Questo è il vero valore. C’è questo valore diffuso della sardità, che diventa anche un valore economico, del made in Sardinia.
Riusciamo a produrre e a vendere ciò che produciamo perché si crede nella serietà delle produzioni sarde. L’anno scorso abbiamo venduto 8 milioni di bottiglie di vino in più, senza discussioni, tutto quello che si è prodotto di qualificato si è venduto. Abbiamo aumentato il nostro export del 29% in agricoltura, del 25% globale rispetto al ’76, nel ’77. Sono fattori importanti, ecco perché il nostro reddito che era il più basso d’Italia oggi è più alto della media nazionale. Oggi siamo oltre il 4,7-4,8%. Certo, non abbiamo il reddito della Lombardia, non abbiamo il reddito del Piemonte, ma siamo in misura più elevata del reddito nazionale. Ecco perché si è fermato il fenomeno della inoccupazione, dei 10-12 mila inoccupati in più all’anno. È da due anni che non aumenta neanche di una unità mentre sta diminuendo il tetto, purtroppo sempre altissimo, dei disoccupati che si sono andati assommando dagli anni ’70 sino all’85, perché già dall’86 il fenomeno si è fermato e la linea di tendenza è aumentata; sto citando fonti che sono la Banca d’Italia, che sono il Cis, che è l’Istat, non sto citando dati regionali, sto citando dati ufficiali. Si è fermata la disoccupazione, è cresciuto il reddito, è cresciuta l’esportazione, è diminuita importazione. Sono fattori importanti e non sono dipesi da fattori esterni l’economia sarda, perché la legge per il Mezzogiorno, lo dicevano tutti, lo ripetiamo tutti, ancora non è operante, le aziende a partecipazione statale sono abbastanza prudenti nei loro investimenti. Tutto questo è dipeso dalla capata operativa dei nostri imprenditori, è dipeso dalla capacità operativa della nostra comunità. Vi è un risveglio, una partecipazione, una tensione creativa che ci fa davvero guardare al domani con maggiore fiducia. Ho avuto ieri un incontro abbastanza vivace con il Ministro per il Mezzogiorno e per quanto lui ritenesse di poter affermare, ecco perché siamo oltre il 16%-14% diceva Mannoni – ma anche di più, di quanto ci spetterebbe, perché a noi spetterebbe 11,6% delle risorse per il Mezzogiorno, ci viene erogato di più, perché? Perché ci si è detto, non 7 mila miliardi dobbiamo dividere, per la seconda annualità, ma 5 mila miliardi.