Discorso pronunciato alla presenza del Presidente della Repubblica, Sindaco di Roma e al prof. Carlo Bo – 1986

Discorso pronunciato alla presenza del Presidente della Repubblica, Sindaco di Roma e al prof. Carlo Bo – 1986

Il cinquantenario della morte della Deledda,costituisce l’occasione per tributare alla illustre figlia della nostra isola, parte ormai di una nazione e di uno stato più grande e di una umanità universale, gli onori che le competono e che sono comunque sempre inadeguati al suo impegno ed ai suoi risultati. Ma costituisce l’occasione anche per un bilancio.
Con la Deledda, per la prima volta e con grande decisione, la Sardegna, cioè la sua cultura, il patrimonio delle sue tradizioni e dei suoi codici, entra, non solo nel quadro della letteratura nazionale, ma anche nel quadro della letteratura europea. Resta da chiedersi come e per quali ragioni ciò sia potuto avvenire.
La Sardegna ha avuto una storia travagliata e molti ignorano o non ricordano che la lingua più usata in Sardegna era il sardo e, fino alla soglia dell’Ottocento inoltrato, lo spagnolo e che l’italiano si è affermato con difficoltà nell’uso letterario alla fine dell’Ottocento e nel Novecento. Ebbene, in una situazione di fatto di bilinguismo, la Deledda conferma, con decisione la scelta dell’unità nazionale ma al tempo stesso ne denuncia le carenze, ne riafferma, nella nuova lingua, storicamente nell’ultima, sopravvenuta con i Piemontesi diventati re di Sardegna, l’identità, ne riafferma la grande civiltà religiosa e morale, proprio nel momento in cui ne delibera il volto ancora barbarico. È una sfida alla ideologia del progresso e delle “magnifiche sorti e progressive”, alle quali, tutto sommato, crede.
La sua fede nell’eguaglianza degli uomini, siano essi di condizione servile o possidenti, non è solo cristiana, ma è anche nutrita di convinzioni culturali e politiche e laiche e moderne.
I suoi personaggi, uomini e donne, sono animati da passioni e da sentimenti veri e profondi. Difficilmente soffrono per motivi vani e futili, immersi come sono in una natura aspra e costretti ad una sopravvivenza difficile e come separati da uno Stato avvertito come lontano se non addirittura come ostile: ostile per la sua incapacità a calarsi in una realtà diversa che andava meglio studiata e capita.
La questione sarda non era stata posta, dopo l’Unità, neanche come parte della questione meridionale. Ebbene la Sardegna della Deledda ha contribuito a questa maggiore comprensione anche da parte dello Stato e questa di oggi è una occasione storica anche perché ad inaugurare queste celebrazioni è un capo dello Stato sardo.
Io ritengo che un qualche merito dell’immagine che la Sardegna ha oggi sia in qualche modo della Deledda, come donna e come sarda. Il contributo dei sardi della Brigata Sassari ha nel contempo confermato questa immagine che era già nelle sue opere.
Ma questo rischia di essere un discorso che può star bene in bocca ad un uomo politico sardo mentre è bene ricordare la Deledda del Nobel, cioè la Deledda europea.
Europea perché in Europa sono molte le culture neolatine come la nostra, ma anche molte le culture e le civiltà che, come la nostra, hanno alle spalle una tradizione ed una storia diversa o particolare e soprattutto, sono giunte al traguardo dell’ammodernamento delle strutture economiche e quindi culturali e politiche, con la medesima ansia e la medesima angoscia, col peso cioè di una tradizione e con la esigenza di un cambiamento inevitabile. La forza interiore dei personaggi della Deledda era l’unica forza in grado di guidare verso il meglio i “pubblici fati”, la fiducia appunto nelle risorse della coscienza e della ragione.
Un cinquantenario dunque che comporterà una rilettura della sua opera e del suo messaggio oggi che tante delle sue attese sono state realizzate mentre tante, e forse quelle alle quali essa nel suo cuore di donna e di madre teneva di più, devono ancora essere realizzate, quelle che riguardano l’avvenire dei figli cioè delle generazioni future.