Disposizioni tecniche concernenti la elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo – Camera dei Deputati – IX Legislatura – Seduta del 4 Aprile 1984

Disposizioni tecniche concernenti la elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo

Presidente. È iscritto a parlare l’onorevole Melis. Ne ha facoltà.
Mario Melis. Signor Presidente, colleghi deputati, onorevole ministro, poche parole per motivare il voto contrario che, a nome del partito sardo d’azione esprimerò sul disegno di legge proposto dal Governo. Questo non perché la mia militanza non si realizzi in una professione di europeismo (che non è, come taluno osservava, del neofita, ma affonda nel tempo, fin dalla costituzione del partito sardo d’azione).
Nel momento stesso in cui si profilava l’ipotesi dello Stato regionalista si comprendeva anche che questo avrebbe avuto forza, validità e prospettiva, solo in un’Europa supernazionale, che avrebbe garantito alle regioni un rapporto più ampio e fecondo con le popolazioni del nostro continente.
Il nostro europeismo ci induce a diffidare di questo provvedimento, che, com’è stato ricordato, per quanto riguarda altri paesi, dalla collega Castellina, esclude il 16 per cento degli elettori di un determinato Stato, il 5 per cento di quelli di altri Stati, ma che anche in Italia determina distorsioni ed ingiustizie, che si traducono in forme profondamente antidemocratiche, se è vero — ed è stato denunciato in quest’aula con estrema chiarezza e fermezza dal collega D’Acquisto — che le regioni meno popolose, che sono poi quelle meridionali, che sono anche sul piano economico le più deboli, hanno perduto una rilevante parte di rappresentanti a favore delle regioni del nord, perché il meccanismo elettorale finisce col privilegiare — come avviene, per altro, anche per la formazione del Parlamento nazionale — le regioni più forti, che hanno maggiore rappresentanza e, quindi, possono esercitare sullo Stato maggiori pressioni.
È una legge, pertanto, che alla Sicilia e alla Sardegna ha tolto ben due rappresentanti, e che ha tolto all’intero Mezzogiorno 8 o 10 parlamentari. È lo stesso relatore che riconosce che la Sardegna risulta penalizzata nella circoscrizione elettorale all’interno della quale è stata inserita; risulta penalizzata perché nel rapporto con la Sicilia vi è un differenziale di 1 a 4 elettori, vedendo gravemente menomato il proprio diritto di rappresentanza in Europa.
Si è parlato di emigrati: ebbene, la Sardegna è terra di emigrazione, avendo all’estero non meno di 200 mila emigrati (si parla di 500 mila, ma circa 300 mila si trovano sul resto del territorio nazionale). Ciò rappresenta ben oltre il 20 per cento dell’elettorato globale della Sardegna, che — lo ripeto — risulta privato di qualsivoglia peso politico.
Di fatto, questi elettori all’estero non riescono a votare, perché i certificati elettorali si ammucchiano a decine di migliaia negli uffici dei consolati, dal momento che il Ministero dell’interno e i comuni non conoscono gli indirizzi degli emigrati, che non possono essere raggiunti dal documento che li abilita al voto; né i sardi possono rientrare a votare perché lo Stato non mette a disposizione i mezzi di trasporto che li traghettino in Sardegna: per 200 mila persone occorrerebbero 200 navi.
Il problema degli elettori che non possono tornare a votare si verifica non solo per le elezioni europee, ma anche per quelle regionali, nella prospettiva di una Sardegna che abbia una assemblea ed un governo regionale che tengano conto degli interessi dell’intera popolazione dell’isola, e quindi anche degli emarginati e degli emigrati.
Non capisco poi perché la Commissione ed il Governo non ritengano accettabili quegli emendamenti volti a consentire il voto ai nostri emigrati non residenti nei paesi della CEE. Per esempio, in Svizzera, abbiamo oltre 40 mila emigrati sardi: non vi sembra un’ingiustizia precludere loro il diritto di voto? Sono, come emigrati, i pionieri dell’Europa, perché con i loro sacrifici stanno realizzando una integrazione di cultura, di esperienza, di rapporti tra lavoratori; stanno dando vita a momenti di creatività dì cui le nazioni dovrebbero tenere conto.
La verità è che questa legge non vuole l’Europa, non realizza l’Europa; perché non tende a realizzare una vera rappresentanza di tutte le popolazioni europee.-Basti pensare che le Regioni non hanno alcun ruolo nella formazione delle rappresentanze delle rispettive popolazioni. Questa è una legge che tende invece a rappresentare i partiti. Democristiani, Socialisti, destre o sinistre vanno in Europa per incontrarsi tra loro, per elaborare strategie comuni. I liberali italiani vanno a formare un gruppo con i liberali inglesi, con quelli francesi e quelli tedeschi; così fanno i democristiani, così i socialisti, al solo scopo di elaborare strategie comuni secondo le linee politiche dei rispettivi partiti. Sono dunque i partiti ad incontrarsi, non i popoli. Questa legge è coerente con la politica verticistica dei partiti, i quali sono a loro volta strutturati secondo linee di potere verticistico e danno vita ad una organizzazione che anche a livello europeo si traduce in organizzazione di vertice e non di popoli.
Ecco perché, collega Castellina, noi non abbiamo fiducia neppure nelle proposte che facciamo, per così dire, a futura memoria. Già nel 1979 presentai durante il dibattito al Senato un emendamento che tendeva a modificare questa legge elettorale europea, proprio per garantire una rappresentanza parlamentare ad ogni regione. Ma quell’emendamento fu respinto da tutti i settori di quella Assemblea, dall’intero quadro politico che anche qui è rappresentato, proprio perché i partiti non vogliono turbamenti ai poteri pressoché esclusivi dei rispettivi gruppi. Ed ecco allora che ritornano i vari discorsi sul localismo, e si accusano le popolazioni che si permettono di votare per liste regionali di improvvisi risvegli di provincialismo o di localismo, quasi che certe realtà (che sono peculiari, specifiche, irripetibili, non estensibili nell’esperienza nazionale), non debbano essere portate in un Parlamento che purtroppo si disinteressa di queste cose, così realizzando ingiustizia, causando sottosviluppo, non risolvendo i problemi, ma anzi esasperandoli, drammatizzandoli, moltiplicandoli.
In questo modo non si va a costruire una patria più grande, con più grandi orizzonti, con più grandi prospettive. Si va in Europa per riprodurre le strutture sclerotiche nazionali, per scontrarsi sovranità contro sovranità, tutti volti sempre a difendere i rispettivi mercati. Non ci meravigliamo se poi un Parlamento così composto, così formato, non è in grado di impegnare i vari governi, i quali falliscono gli obiettivi e si trascinano in una politica che inaridisce l’Europa, facendo perdere dei valori che erano nella prospettiva dei popoli quando ci si è incamminati nella grande via dell’unione europea.
Noi diciamo anche che l’Europa sta ripetendo tutti gli errori e le iniquità presenti nei singoli Stati; quindi anche l’Europa sta riscoprendo il suo sud per emarginarlo e condannarlo al sottosviluppo. Ebbene, questo disegno di legge è, tutto sommato, rappresentativo di queste prospettive che noi non condividiamo; per questo voteremo contro di esso (Applausi).