Note sulla discussione riguardante l’elaborazione dello Statuto sardo – 1980

Il Progetto presentato dal P.S.d’Az all’Alto Commissario e da questi trasmesso alla commissione di studio esordisce:
– Tutto il territorio dalla Sardegna costituisce zona franca in regime di deposito franco.
Con regolamento, che sarà sottoposto all’approvazione dal Consiglio Regionale, saranno stabilite la condizioni par il deposito delle merci in franchigia, per eventuali manipolazioni di esse prima della riesportazione e le eventuali esclusioni dal deposito di determinate merci (generi di privativa dello Stato, materie esplodenti, armi, etc.).
La formulazione era estremamente ambigua perché nella “Zona Franca” propriamente detta la circolazione delle materie prime introdotte in regime di esenzione doganale o prodotte in loco, e di quelle manipolate deve essere libera, altrimenti si perdono i vantaggi della “Zona Franca” che sono quelli:
a) di immettere al consumo nella zona tutti i prodotti di consumo ai migliori prezzi della concorrenza internazionale e ridurre così il costo della vita.
b) consentire la installazione nella zona di industrie di trasformazione per la riesportazione in tutto il mondo, soprattutto nelle nazioni non industrializzate e non coperte dai pesanti dazi doganali protettivi.
Ovviamente, essendo la zona franca limitata alla Sardegna, ci sarebbe rimasta in vita la barriera doganale per la introduzione delle merci nel restante territorio nazionale. Situazione di fatto già esistente per effetto delle visite doganali alle merci provenienti dalla Sardegna nei punti di sbarco continentali perché la traversata marittima avviene con attraversamento del mare non territoriale.
Ma sarebbe rimasto il grande vantaggio di poter installare in Sardegna grandi industrie di trasformazione con destinazione altri paesi e di costituire per tali esportazioni depositi di facile ridistribuzione di merci non trasformate in loco.
Tenendo noi stessi le obiezioni che derivavano dalla inidoneità della nostra originaria formulazione, tu ed io, consultati anche diversi amici dei quali ora non ricordo i nomi, tagliammo corto, proponendo alla commissione di studio creata in seno alla Consulta Regionale:
In via principale
art. 4 – Il territorio della Regione non è sottoposto al regime doganale dello Stato.
1° Variante subordinata
a) La Sardegna fa parte del territorio doganale dello Stato. Nessuna tariffa doganale (nessun dazio d’importazione e di esportazione) per quanto riguarda il territorio della Regione potrà essere istituito (o abrogato) senza il consenso della Regione stessa (dei competenti organi della Regione stessa);
b) Saranno stabilite in Sardegna tre (o quattro) Zona Franche;
La variante dava ancora possibilità alla Regione di uscire dalla strettoia protettiva esistente ma costringeva ad una permanente contrattazione politica con lo Stato a istituiva necessariamente cinte doganali interne nell’isola par 1e Zone franche e il territorio non in Regione di Zona Franca.
2° Variante subordinata
Il territorio dalla Regione è posto fuori dalla linea doganale dallo Stato e costituisce Zona Franca (con affetto identico alla prima proposta mia e tua);
La condizione di zona franca non potrà essere modificata senza il consenso della Regione (possibilità di temperamento ammesso in considerazione delle preoccupazioni di categorie produttrici – specie agricole – sarde.
Nessuno approvò la nostra prima a terza proposta ed a votarle restammo in due. Alla prima variante aderì Salis la a fummo in tre a votare.
Ricordo che la proposta apparve suggestiva e Dessanay che si augurava l’abbattimento di tutte le barriere doganali; ma nulla concluse in sede di votazione, se mal non ricordo.
Ne uscirono fuori gli articoli 15 e 16 del progetto della Consulta che fu trasmesso a Roma nei seguenti termini:
art. 15 –  Il regime doganale della Regione è di esclusiva competenza dello Stato
art. 14 –  La Regione ha la facoltà il istituire nel territorio punti franchi (unica concessione che riuscimmo a strappare in commissione e nell’aula della consulta).
Nel progetto della Commissione per lo Statuto Sardo presso la costituente i detti due articoli sono risultati fusi nell’art. 13 del progetto, come segue:
– Il Regime doganale dalla Regione è di esclusiva competenza dello Stato.
– Saranno istituiti (non più dalla Regione naturalmente ma dallo Stato in virtù della sua competenza esclusiva) nella Regione punti franchi (non resta – unico obbligo dello Stato quello di istituirli. Ma la Sardegna penso non si sia neppure mai più posto il problema).
– Sono esenti per venti anni da ogni dazio doganale le macchine, gli attrezzi di lavoro ed i materiali da costruzione destinati sul luogo della produzione e alla trasformazione dei prodotti agricoli della Regione ed al suo sviluppo industriale (idem come sopra).
– Sono ammessi, per un periodo di 50 anni, agevolazioni fiscali ventennali per nuovi impianti industriali tecnicamente organizzati nell’isola (norma vecchia per tutto il territorio nazionale).
– Su richiesta della Regione potranno essere ammesse esenzioni doganali per merci ritenute indispensabili al miglioramento igienico sanitario dell’isola (norme patrocinate specialmente da Lussu e rimaste lettera morta in pratica).
La realtà è che in continente ed in Sardegna operavano i gruppi monopolisti nazionali (vedi miniere che non hanno mai saputo aggiungere allo sfruttamento dei minerali sardi l’importazione di minerali di trasformazione nelle congiunture sfavorevoli del costo di estrazione), che temevano, allora che la protezione doganale era determinante, la invasione del mercato isolano da parte degli stranieri (fu opposto anche che la Sardegna non avrebbe disposto della valuta necessaria per l’acquisto, non era obiezione inconsistente perché, come rispose lo stesso Salis, che se mancava la valuta non vi sarebbe stata l’invasione).
Gli operatori commerciali temettero, per la ben nota loro poltronite a cercare nuovi fornitori fuori d’Italia, la diminuzione dei loro affari in conseguenza della incapacità dei loro fornitori italiani a reggere la concorrenza straniera e di gruppi che si fossero installati in Sardegna.
Certo non sarebbero potute sorgere in Sardegna iniziative reggentesi sui trampoli e di scars efficienza; ma in compenso avremmo avuto industrie sane, anche se a capitale straniero, ed avremmo da tempo messo in soffitta la stupida “campagna del grano” ed indirizzato la nostra agricoltura verso colture più redditizie, al che, del resto, bisogna pensare oggi con tanti handicap creati dalla politica illusoria Bonomiana.