Lettera al prof. Giovanni Giudice – fine anni ’90

Caro Giovanni,
ho concluso in questo momento la lettura del “Viaggio straordinario del Prof. Smith”.
L’incalzare frenetico, angoscioso degli ultimi minuti mi ha avvinto in un convulso trepidare fra speranza e terrore nel tumulto di sentimenti sfuggiti al rigore scientifico del causa causarum trasfigurati nell’universale metafisica di una grande luce che chiamiamo amore, che molti chiamano Dio e altri bisogno ancestrale di donarci a chi si è a noi donato, in virtù di empiti prorompenti dalle profondità di un inconscio tanto immateriale quanto misterioso.
Alcuni concetti all’origine degli straordinari fenomeni che il prof. Smith va scoprendo nel corso del suo viaggio me li avevi spiegati quando, nelle pause del pur intenso impegno politico, dischiudevi alla mia fantasia i vasti orizzonti ove l’infinitamente piccolo (intuito, conosciuto e seguito nel suo operare solo da scienziati specialisti, sacerdoti di un credo ignoto ai più) vive, fa vivere, si annulla moltiplicandosi, sacrificandosi individualmente e collettivamente per difendere l’organismo di cui è ospite o per salvaguardare sullo stelo di un fiore la continuità della specie.
Né ho dimenticato i tuoi studi sui ricci di Mondello e Sciacca. L’infinitamente piccolo, veritiero per sua natura, non perde tempo essenziale per la continuità della vita e sa assaciarsi creativamente all’alieno purché compatibile. Ma a riconoscerlo tale è lui altrimenti si sarebbe magari trasformato in combattente per annientarlo morendo a sua volta.
Mentirei se ti dicessi che pur avendoti letto con estremo interesse comprendendo i processi vitali nell’essenzialità del tuo dire, li saprei, senza rileggerli, ripetere.
Ma credo di aver capito il tema di fondo. Abbiamo origini comuni con il batterio; le molteplici ramificazioni della vita dall’unicellulare al mammifero sono presenti nelle sue componenti in forme e specializzazioni diverse, ma sostanzialmente uguali in ogni palpito di vita.
È altrettanto chiaro che i grandi corpi esistono in virtù dei miliardi di esseri infinitamente piccoli, tutti essenziali, avendo specifiche funzioni che svolgono per l’esistenza miracolosamente vitale dei corpi grandi. Non ne abbiamo coscienza, li ignoriamo, ci infastidiamo quando per difenderci da aggressioni esterne lottano salvaguardando qualche nostra funzione.
Conosciamo il mondo esterno e non conosciamo noi stessi. Come non emozionarsi, sorpresi dal succedersi ininterrotto di fenomenologie tanto varie quanto funzionalmente interconnesse, dotate di energie proprie, originate da comune genesi, ramificandosi nel tempo e nell’ambiente con evoluzioni meccanicistiche ma, nel mistero della vita – perché no? – almeno in parte volontarie in vista di un presente che assicura continuità e futuro.
Forse è bello, ma certo sconcertante scoprire come l’energia (oltre quella del sole e le reciproche influenze dei pianeti) che assicura la vita dei singoli e delle grandi comunità (tu ti occupi degli “animali” ma penso tutto ciò valga anche per i vegetali) fiorisce nell’infinitamente piccolo nel suo moltiplicarsi, specializzarsi e che rinnovando di continuo l’esistente, assicura la vita del pianeta e, in ultima analisi, dell’universo di cui è mattone primigenio.
Certo è difficile amare una cellula, un leucocita o eritrocita, ma in fondo la vita è in loro e noi siamo sintesi del loro sinergico lavoro.
Mi piace pensare con te (con la voce che hai dato al museoscopio) come all’origine della vita, del nostro stare insieme sia l’amore.
Assume forme ed espressioni molto diverse, come diverse sono le cause che lo evocano, ma credo fermamente che dobbiamo alla sua misteriosa energia il fiorire di rapporti, studi, collaborazioni e scoperte che ci consentono, pur nell’oscurità delle conoscenze, di vedere oltre gli orizzonti, in virtù di luce ora soffusa, ora vivida che è in noi nel nostro voler capire, incontrare ciò che amiamo – persone o cose – che sta nelle lontananze fisiche oltre il visibile ma che noi sappiamo o vogliamo esista.
Mi esalta concludere con te e con Dante (è una buona compagnia) che a “muovere il sole e le altre stelle” è l’amore.
Leggerò fra qualche giorno, o settimana, gli altri due libri di cui uno di poesie dovuto alla ricchezza spirituale di tua figlia. Ne ho letto alcune restandone affascinato.
Sono in questo periodo impegnato in dibattiti, conferenze e altro (non si finisce mai di “pestar nebbia”!) che mi costringe a leggere, riflettere e metter in ordine nell’affollarsi d’idee e intuizioni da proporre ai cortesi ascoltatori.
Vi abbraccio