Nivola – 1988

N i v o l a

Da Orani a New York, da “mastru de muru” all’Università di Harvard: è il percorso di un uomo e di un artista, Costantino Nivola. Un itinerario che va dall’attività artigiana di paese all’elaborazione teorica dei principi universale dell’arte.
Tra le tappe fondamentali: da ragazzo-muratore in Orani ad apprendista- garzone presso lo studio del pittore Delitala a Sassari, poi studente alla scuola d’arte di Monza (con Fancello e Pintori), grafico della Olivetti e infine il grande salto: l’America.
E qui l’incontro con grandi artisti, l’amicizia con Le Corbusier, la realizzazione estetica delle sue inquietudini, aspirazioni e creatività.
Ma a me è caro parlare di un altro itinerario di Nivola: l’itinerario segreto, sotterraneo, immaginario e reale del ritorno, il percorso America – Sardegna, New York – Orani o Nuoro o Cagliari.
Non è soltanto la testimonianza del rientro fisico, come la mostra del 1958 ad Orani, o la presenza impegnatissima per la Piazza S. Satta a Nuoro, e ancora l’impegno plastico e architettonico per il Palazzo della Regione; mi riferisco soprattutto al rapporto profondo, alla comunicazione sotterraneo di Nivola con la Sardegna. New York non cancella né rinnega il passato di Orani, l’artista torna alle “radici”.
Costantino Nivola sosteneva con forza che l’uomo è “biologicamente e clinicamente” legato alla sua terra, al proprio luogo d’origine. Così fu presentato a Le Corbusier: “Monsieur Nivola, sardo”, e al grande architetto piacque questa appartenenza alla geografia e alla cultura mediterranea.
Si potrebbe pensare che Orani non abbia insegnato nulla a Nivola, ed invece egli scrive: “le prime lezioni le ho apprese quando lavoravo con i muratori, ho conosciuto la pietra e il muro, l’impasto e l’intonaco, il colore e la forma: in seguito lavorando l’argilla, graffiando un muro, segnando un intonaco mi rituffavo nell’antico mestiere di “mastru de muru”, oggi sono convinto che l’attività artigiana è fondamentale, proprio come tecnica di mestiere ma anche come esercizio teorico di apprendimento”.
Come dipingere Orani? come New York? Con una medesima sensibilità estetica: “come dipingo il paese di Orani, con le case e con le cose che succedono, allo stesso tempo dipingo la città di New York e la densità dei suoi agglomerati”, l’intuizione, il sentimento, la tecnica sanno rispondere a mondi differenti che si ritrovano uniti nei medesimi principi universali dell’arte.
Che cosa è la pietra per Nivola? Certamente la pietra è un archetipo fondamentale della cultura sarda.
La pietra è un fantasma che tenta una forma nella sembianza di una scultura. La storia e l’arte sarda sono fatte di apparizioni e conformazioni di pietra. Nessun mimetismo e nessun naturalismo: anche la roccia lavorata dal vento è nell’ordine della cultura mitica, animazione fantasmatica di un artefice per il tempio di una natura vivente. Ogni pietra in Sardegna è traccia di un’immagine: anche le rocce della geologia hanno un nome nella tradizione popolare, intorno ad esse si raccontano storie religiose e profane, condanne di metamorfosi e inveramenti di destino. Ogni pietra sarda racconta la storia di un’esplosione: spazio sacro, pietra sacrificale, betilo di scongiuro, tomba di gigante o nuraghe, ovile e muro divisorio. Intorno alla pietra si articola il fantasma di sparizione, la paura della pietrificazione: significante do minante della cultura sarda. L’artista sardo avverte un rapporto profondo con la pietra. La ricerca delle pietre è un rito di iniziazione: effetto scenico di blocchi di trachite o di granito nella violenza di una montagna lacerata dal tempo. Quei blocchi sono personaggi in cerca d’autore, quasi possedessero un linguaggio anteriore alla definizione plastica dell’artista. Traccia di una scrittura per lo scalpello che incammina l’artista in un percorso labirintico.
Per Nivola le pietre sono le radici morfologiche della propria identità: esse parlano di un’appartenenza mitica, di una presenza storica, di una percezione e immaginazione personale.
La Sardegna è tempio del megalitismo magico-sacrale, menhir antropomorfi, architettura nuragica, arcaicità puniche: intorno alle forme della pietra c’è un profondo rapporto tra natura e cultura. Nivola, come una pellicola fotografica, ha impressionato questo paesaggio mitico – figurale. Ne rivisita l’aura mitica e le valenze simboliche, non in senso archeologico folcloristico, ma alla luce delle sue esperienze artistiche più innovative.
Etnologia e modernità
Nessun verismo pittoresco, nessuna sovrabbondanza manieristica: tutto tende all’essenziale. Una sobrietà segnica pur nella natura quasi ciclopica delle sue opere. Quella essenzialità che è poi il segno radicale della propria identità.
Le pietre di Nivola sembrano emergenti da regioni profonde e da spazi onirici: riconducono ai confini remoti della propria storicità e nello stesso tempo interrogano il presente nella sua urgenza storica attuale.
Osservando la Piazza Satta a Nuoro, oppure le sculture del Palazzo Regionale emerge con chiarezza misteriosa il simbolo della maternità, il mito della terra – madre, tema fecondo della riflessione segnico-iconica di Nivola.
Egli scrive: “Da qualche tempo in qua si va sempre più definendo nella mia scultura una forma semplice, essenziale, nella quale tento di depositare tutta una collezione di evocazioni visuali e sensorie.
Qui spirito e sensi collaborano all’impegno di dare forme e significato alla materia. C’è una forma femminile come risultato. Il muro panciuto della casa rustica, nella mia età magica dell’infanzia, nascondeva sempre un tesoro: il pane piatto e sottile che si gonfiava al calore del forno, promessa di appagare la fame una volta per sempre. Allo stesso modo la donna incinta nasconde nel suo grembo il segreto di un figlio meraviglioso. Vorrei dedicare queste sculture alla speranza del figlio meraviglioso delle donne sarde”.
Piazza Satta a Nuoro realizza i simboli della “madre-fontana” e del “padre-fontana”, la prima come forma cava, la seconda come formale verticale.
Ma ancora più espressamente, la maternità appare nelle sculture del Palazzo Regionale.
Nivola ha scritto: “Nella scultura sono arrivato ad una semplificazione molto raffinata”, e tuttavia questa raffinatezza comunica profondamente anche a noi, non esperti d’arte, i significati profondi della creatività estetica moderna e della nostra più interiore sardità.