Senato della Repubblica – Dichiarazioni di voto 6 Agosto 1976

SENATO DELLA REPUBBLICA – VII LEGISLATURA  – 8a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO VENERDÌ 6 AGOSTO 1976
Presidenza del presidente FANFANI
Indice
COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUL FENOMENO DELLA MAFIA IN SICILIA
Trasmissione di documentazione allegata alla relazione conclusiva    Pag. 296
COMMISSIONI PERMANENTI        Variazioni nella composizione ….. 295
COMUNICAZIONI DEL GOVERNO    Seguito della discussione e approvazione di mozione di fiducia:
PRESIDENTE. È iscritto a parlare per dichiarazione di voto il senatore Melis. Ne ha facoltà.
MELIS . Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, le dichiarazioni programmatiche del Presidente del Consiglio costituiscono per me, che rappresento in quest’Aula il Partito sardo d’azione, un motivo di preoccupazione e di amarezza insieme. L’intenso, appassionato dibattito che ha preceduto e seguito le elezioni del 20 giugno sembrava aver determinato il superamento di posizioni preclusive delimitanti ed antistoriche per dischiudere le porte ad una prospettiva di dialogo e di aperto confronto, se non di incontro, fra le componenti politiche rappresentative delle forze reali operanti nel paese.
Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, prive come sono di sostanziali contenuti politici, sfuggono all’auspicato confronto per rifugiarsi in una lunga ed invero neppur organica elencazione di problemi le cui soluzioni vengono peraltro indicate in termini generici e sostanzialmente elusivi.
Intendo ed apprezzo l’alto significato politico della preannunciata astensione dei Gruppi comunista, socialista, della sinistra indipendente e di altri; le motivazioni che ne sono alla base, volte a far cadere lo steccato anticomunista ed anzi a rendere la « non sfiducia » di questo partito determinante per la vita stessa del Governo, si impongono al rispetto ed all’apprezzamento del partito che rappresento.
Un’astensione che si propone quale coerente interpretazione del voto del 20 giugno; voto che, spazzando via vecchi e superati equilibri, ridimensiona incisivamente il ruolo egemone della Democrazia cristiana ed assegna per contro al Partito comunista un ruolo essenziale por la sopravvivenza del Governo.
Il mio voto contrario non scaturisce quindi da una opposizione aprioristica, sibbene dall’esigenza di denunziare, nel silenzio colpevole del Governo, l’amara condizione subalterna riservata al popolo sardo, abbandonato dal potere politico al disfrenarsi colonizzante del potere economico, sia privato che pubblico.
L’emarginazione cui siamo stati da sempre condannati si concreta in forme e modi che investono i settori più diversi della vita isolana. La mancanza di adeguati collegamenti marittimi che consentano all’economia isolana di espandersi ed integrarsi con le altre regioni italiane e mediterranee costituisce una grave strozzatura che condiziona le labili strutture produttive locali. Ma il problema si aggrava drammaticamente in conseguenza degli alti costi dei noli marittimi in confronto al trasporto su rotaia e su gomma. È del tutto evidente che il mare non deve costituire per noi una condanna e una condizione di inferiorità rispetto alle altre regioni italiane, una sorta di prigionia i cui confini sono difficili da valicare.
Viviamo quindi nell’oggettiva quanto iniqua discriminazione che rende più aspro e meno competitivo l’accesso ai mercati nazionali ed esteri delle nostre produzioni agricole, industriali ed artigianali, mentre noi sardi, sempre per la maggiore incidenza dei noli marittimi su quelli ferroviari, paghiamo le merci d’importazione a prezzi più alti che in qualsiasi altra regione d’Italia.
Questo stato di cose incide negativamente sui processi produttivi e di conseguenza sull’occupazione.
Sul problema dei trasporti dovremo tornare, onorevoli colleghi, perché cessi l’incivile, penoso spettacolo che ogni anno in coincidenza delle ferie estive, del Natale e della Pasqua si ripete sui moli di imbarco da e per la Sardegna. Decine di migliaia di persone costrette a bivaccare all’addiaccio per più notti in condizioni umilianti sui lastroni granitici dei porti di Civitavecchia, di Genova, di Olbia, o di Porto Torres. Né i responsabili dei servizi di linee marittime possono assumere a propria giustificazione il carattere eccezionale dell’afflusso e del deflusso del traffico sardo poiché questi gravissimi inconvenienti si verificano puntualmente ogni anno negli stessi periodi, nelle stesse settimane. A pagarne le spese sono i circa 600.000 emigrati sardi che lavorano nel nord-Italia e nel centro-Europa ai quali il breve ritorno a casa è conteso ed amareggiato da queste ammucchiate evocanti il ricordo di squallidi lager con le quali la patria li accoglie dopo un anno di sacrifici trascorso nella struggente nostalgia dei figli, della sposa, della campagna, magari sassosa e brulla, ma profondamente amata, del paesello lontano.
E vi sono, i turisti, non i ricchi, non i privilegiati che solcano il mare con yacht, i cieli con gli aerei di linea o i jet privati, ma la grande massa di turisti italiani e stranieri che, attratta dalla suggestiva bellezza dei nostri paesaggi, vorrebbe discorrere nell’Isola un breve periodo di vacanza.
Per noi sardi il turismo rappresenta una voce rilevante dell’economia; di ciò evidentemente non si interessa il Governo ed è così che i turisti diretti in Sardegna vengono puniti ed umiliati prima ancora di potervi giungere. Dopo tali esperienze è ben difficile che tentino l’avventura di un secondo ritorno. Non si può, né ci si deve arrendere fatalisticamente come ad una sorte ineluttabile. Sostengo che basterebbe noleggiare qualcuna delle molte navi che, nello stesso periodo, effettuano crociere nel Mediterraneo e destinarle per alcune settimane alle rotte sarde.
In quest’Isola che ha subito la sistematica rapina delle sue risorse; che ha pagato ai modelli di sviluppo imposti dalle multinazionali il pesante tributo di un’emigrazione di massa che lacerando e sconvolgendo il tessuto sociale ha visto partire oltre la metà della sua popolazione attiva; in quest’Isola che è attraversata dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest da pesanti ed estese servitù militari dal cui perimetro vengono scacciati i contadini, i pastori, le popolazioni, insomma, e con loro il lavoro e la vita; in quest’Isola che è diventata sede d’elezione delle industrie petrolchimiche di base capaci solo di arrecare, con l’eccezionale potere inquinante, irreparabili danni all’ambiente ed alle scarse risorse idriche di cui disponiamo, senza offrire in compenso né profitti alla nostra economia, né occupazione alle nuove leve di giovani destinati inesorabilmente al trauma dell’emigrazione; in quest’Isola nella quale i tribunali non amministrano giustizia per cronica mancanza di giudici e tutti gli uffici pubblici offrono ai cittadini il senso frustrante dell’impotenza e dell’incapacità dello Stato a garantire i diritti dei singoli e della collettività; in quest’Isola dove i malati debbono osservare lunghi, allucinanti turni per ottenere un posto letto negli ospedali, dove mancano scuole, acquedotti, fognature, cimiteri e strade, dove il Governo si affretta a smantellare quelle attività economiche che non appaiono più redditizie, condannando esperienze millenarie, quali l’attività mineraria, ed intere popolazioni ad esodi coattivi di massa (ricordo che nel Sulcis-Iglesiente sono stati licenziati circa 25.000 addetti in pochi lustri).
PRESIDENTE. Onorevole collega, prendendo occasione dal suo discorso vorrei richiamare tutti ad attenersi al contenuto vero delle dichiarazioni di voto, che non possono essere occasione per disquisizioni esulanti dall’oggetto specifico delle dichiarazioni di voto medesime. Tengo comunque conto che lei è senatore di prima nomina e giustamente ha inteso manifestare il proprio attaccamento alla sua terra: in questo ci trova tutti solidali.
M E L I S . Accetto il suo richiamo, ma ritengo fermamente che il Governo avrebbe dovuto occuparsi dei problemi di un’isola che fa parte del territorio nazionale e dei sardi che sono comunità nazionale e che sono discriminati in modo grave ed inaccettabile.
PRESIDENTE. Lei può avere anche ragione, ma non può rimproverare questo ad un Governo che si propone di fare queste cose.
M E L I S . Signor Presidente, in questa Isola di dolore e d’oppressione, noi sardisti, in piena solidarietà con le altre forze popolari ed autonomistiche, conduciamo con incrollabile fiducia la battaglia per la rinascita, sicuri di quanto il «sardista», me lo consentano gli amici comunisti, Antonio Gramsci intuì oltre 50 anni fa indicando nell’alleanza tra i lavoratori del Nord ed i pastori sardi la mossa vincente della nostra travagliata storia.
Il voto contrario non significa però opposizione sistematica sempre e comunque.
Noi attendiamo il Governo agli appuntamenti offerti dagli annunziati provvedimenti legislativi e saremo ben lieti di votare a favore ove ritenuti capaci di suscitare positive innovazioni. Saremo attivamente partecipi allo studio ed alla ricerca di quei nuovi spazi autonomistici che consentano al Governo della nostra regione di attuare appieno lo statuto speciale che è alla base della vita democratica isolana; non mancheremo al dovere di iniziativa e di proposta in una visione creativa di nuovi momenti costituzionali specie per quanto attiene la riforma delle istituzioni statuali nelle quali si realizza il potere centrale del Governo, attraverso il quale oggi si attenta all’autonomia delle regioni.
Assolveremo al mandato nel fermo convincimento che la nostra voce critica non si perderà nell’indifferenza di quest’Aula.
Sentiamo presente ed incisiva la solidarietà degli amici della sinistra sarda ed italiana. Con questa abbiamo combattuto la battaglia elettorale; con la sua solidarietà guardiamo con fiducia al nostro futuro nella prefigurazione di un’Italia più giusta e civile. (Applausi dall’estrema sinistra).