Post XXVIII Congresso del P.S.d’Az. Il P.S.d’Az. ha bisogno di una linea guida – La Nuova Sardegna – 12 luglio 2000

È trascorsa poco più di una settimana dalla celebrazione del XXVIII Congresso del Partito sardo d’azione e sono qui a chiedermi quali deliberati conclusivi siano stati assunti oltre l’elezione del Presidente. Anche il dibattito, forse a causa del caldo torrido di quei giorni, non aveva la vivacità passionalmente libertaria ed un po’ anarchica dei congressi sardisti.
È emersa con grande chiarezza la diffusa delusione e il distacco del Partito dagli schieramenti di sinistra e di destra così come strutturati ed operanti nell’attuale quadro politico regionale e nazionale, ma un indirizzo sulle autonome iniziative sardiste, salvo pareri passionali dei singoli oratori, non ne sono emersi.
Ciò mi preoccupa non poco. Un congresso finalizzato solo a rinnovare le cariche (esigenza più che legittima e necessaria) non è una risposta ai molteplici problemi di una Regione che deve costruire, da posizioni di grave debolezza economica e politica, un suo ruolo nel contesto italiano, europeo e mediterraneo.
A mio sommesso avviso, nell’ambito nazionale italiano, dobbiamo batterci per trasformare il nostro statuto speciale in quello di Regione Federata con diritto a rappresentanza paritaria nel Senato delle Regioni.
Coerentemente, è nostro specifico compito individuare le nuove competenze che debbono restituire al popolo quel tanto di sovranità necessaria per dare uno scossone allo sviluppo economico, sociale, culturale e civile della Sardegna da realizzare in piena autonomia.
Libertà – responsabilità e solidarietà: questo è il nostro impegno.
Nei rapporti con l’Europa il traguardo è comune a tante altre realtà territoriali ed umane che hanno, in forza delle diversità, consentito il fiorire della civiltà europea e, per tanti versi, mondiale.
Nostro compito: internazionalizzazione dell’economia attraverso l’intensificazione dei rapporti multidisciplinari con i popoli europei: scambi culturali, gemellaggi, reciproco arricchimento delle rispettive esperienze, solidarietà operosamente feconde.
Nel Mediterraneo: rompere il rapporto insularità, l’isolamento sardo, trasformando il mare che ci circonda da sbarramento a strada aperta verso gli orizzonti intercontinentali a noi vicini.
Il destino dei popoli è sempre stato condizionato dalla loro collocazione geografica. La nostra faceva gola e paura ad un tempo alle potenze dominanti militarmente ed economicamente il Mediterraneo.
Ora che la libertà non si limita al diritto di parola, associazione, stampa e religione, ma altresì al governo complessivo dello sviluppo, dobbiamo utilizzare lo strumento che i padri fondatori del sardismo chiamavano “libertà di commerci” e che noi chiamiamo “zona franca”.
Il Governo, d’intesa con la Comunità Europea, ne ha riconosciuto alla Sardegna ben sei: Cagliari, Porto Vesme, Oristano, Porto Torres, Olbia ed Arbatax, con diritto a zone interne tipo Villacidro, Ottana, etc. di collegarsi giuridicamente ad una di queste per goderne tutti i benefici.
La Sardegna non sarà solo area di scambi commerciali “estero per estero” fra i paesi d’oltre Oceano e i rivieraschi del Mediterraneo, ma sede di trasformazioni industriali delle materie prime e semilavorati provenienti dai paesi terzi rispetto all’Unione Europea (cioè da tutto il mondo). Dovremo lottare per avere governi regionali capaci di dominare lo sviluppo che nei prossimi anni sarà tumultuoso e diversificato.
Altro che noia! Le zone franche incorporano una capacità di sviluppo economico dirompente, ma comportano infrastrutture portuali attrezzate; solo così potranno affluire capitali, investimenti, nuove produzioni, professionalità, cultura.
La disoccupazione sarà sconfitta dal febbrile attivismo che civiltà tecnologica, economia marittima e “libertà di commerci” confineranno nell’oscuro ricordo di una lunga fase storica; sarà superata e vinta da un sardismo che non è solo passione ma razionale valutazione politica di un passato sulle cui amare esperienze costruire un futuro di serenità.
Naturalmente obiettivi così rilevanti si conquisteranno con la lotta unitaria dei Sardi. Perché non mettere alla prova il dichiarato regionalismo dei due partiti che di recente si sono detti indipendenti dai loro omologhi romani: diessini e popolari? Nell’ovvia prospettiva di più ampie convergenze.