Post XXVIII Congresso del P.S.d’Az. – Nuoro – 7 luglio 2000

A conclusione del XXVIII congresso del Partito sardo d’azione, dominato dal quesito circa la corretta (o conveniente?) collocazione del Partito nell’area del centro-sinistra o centro-destra, con preferenza parolaia per un’equidistanza virtuale non meglio specificata, quasi un isolamento politico, si rileva l’assordante silenzio sul fatto, potenzialmente rivoluzionario, che bussa alle porte della storia sarda circa la dichiarata scelta di regionalizzazione di partiti per l’innanzi sempre dipendenti ed obbedienti agli ordini delle rispettive direzioni romane.Se la svolta è sincera dovremmo salutare con commozione e fervida speranza la nascita di partiti fratelli.
Il Partito sardo è infatti a larga base popolare, multianime che non ha mai fatto scelte di classe di tipo operaistico o socialmente elitario. Certo Lussu, sin dalla fondazione del Partito, era d’ispirazione rural-socialista, mentre Bellieni, Puggioni, Cao ed altri, privilegiavano la dinamica imprenditoriale sia agricola che industrial-artigianale. Ma tutti combattevano l’oppressione romana del liberale Giolitti come del social-nazionalista Mussolini. Combattevano unitariamente per il diritto dei Sardi all’autogoverno nella visione internazionale di un regionalismo federal europeista ma altresì fortemente mediterraneo.
Il regionalismo doveva quindi fondarsi sulla grande, diffusa, generalizzata unità dei Sardi. Non esistevano i presupposti dello scontro sociale fra capitale e lavoro.
Ancor prima della costituzione del P.S.d’Az. Attilio Deffenu, socialista anarchico, nel 1912 denunziava la rapina del capitale sardo perpetrata dal sistema industrial-finanziario nord-italiano attraverso le barriere doganali, l’apparato bancario, depositi postali ed ammoniva perciò i politici sardi a non muovere in Sardegna lotta al capitale data la sua pressoché totale assenza. Invitava invece i Sardi, di sinistra come di destra, a battersi per difendere il diritto del mondo contadino e pastorale all’accumulazione del capitale senza la cui “divina tirannia” era impossibile il lavoro come l’occupazione.
Solo dopo che l’imprenditorialità avesse suscitato una diffusa ricchezza e la formazione di una forte base operaia si sarebbero create le premesse per i futuri confronti fra capitale e lavoro.
A distanza di quasi un secolo il sistema economico sardo è ancora fortemente sottocapitalizzato e costretto a ricercare nella grande unità dei Sardi la forza per rovesciare questa situazione e creare, in piena autonomia, gli strumenti economici per attrarre dall’esterno i necessari capitali da investire in nuove attività produttive a larga base occupazionale.
Se a lottare per questi obiettivi è solo il Partito sardo con Giacomo Sanna e Pasqualino Manca in Consiglio regionale ed il senatore Meloni a Roma, le possibilità di successo sono davvero poche. Se con il Partito sardo lotteranno, in piena e leale solidarietà, anche altri partiti regionali – oggi solo due – potremo contare sull’appoggio di un vasto elettorato e cioè della maggioranza del popolo. Solo uniti nell’ordine delle centinaia di migliaia di protagonisti dell’autonomia, il Governo centrale non oserà sfidarci e dovrà riconoscere i diritti così a lungo negati ai Sardi.
Quanti fra i congressisti hanno negato validità al neo regionalismo dei partiti han fatto riferimento alle bacchettate inferte da Castagnetti ai popolari e al discorso diessino di Veltroni a Cagliari.
Beh! Se il regionalismo degli amici D.S. e dei popolari si fa allineare da Castagnetti e da Veltroni la nostra solitudine, pur amara e difficile, sarà ancor più esaltante. Credo però non spetti a noi fare preventivi processi alle intenzioni. Dobbiamo chiamare i neo regionalisti non tanto alla prova, quanto alla battaglia, proponendo una piattaforma precisa di obiettivi sui quali impegnare la loro ferma volontà di lotta per realizzare in tutti i campi l’interesse dei Sardi.
Ha ragione Bachisio Bandinu!
Sardisti mettiamoci al lavoro: elaboriamo una proposta organica partendo dalle indicazioni primigenie dei Padri fondatori, arricchite dalle nuove esperienze che tecnologie, localismo e globalizzazione impongono alla politica del nostro tempo. Solo così potremo aprire ai Sardi le vie del futuro.