Presidenza Regionale Sardista 1984 – 1989 – Nuoro -13 dicembre 1997

Le elezioni regionali del 1984 costituirono un radicale mutamento negli orientamenti politici dell’opinione pubblica sarda.
I partiti democratico-cristiano, comunista, socialista, socialdemocratico e repubblicano, pur confermando, salvo non rilevanti flessioni, la loro forza, dovettero registrare una diffusa insofferenza dei cittadini che premiarono, con una significativa votazione, il Partito Sardo d’Azione: dodici consiglieri regionali contro i tre della precedente legislatura.
Una insofferenza che mentre esprimeva la rinnovata speranza dei sardi nel vigoroso riappropriarsi di tutti i valori dell’autogoverno, denunziava nondimeno crescente sfiducia in chi, esercitandolo continuativamente nei trentacinque anni precedenti, aveva consentito, di fatto, la mortificazione dell’Istituto regionale infrenato, nel suo esercizio legislativo e di governo, dall’azione vanificante ed invasiva del potere centrale.
Era possibile cogliere in quel voto i primi fermenti della crisi che erodeva dall’interno il sistema dei partiti, crisi che si svilupperà negli anni successivi (coinvolgendo anche il P.S.d’Az.) e che, per quanto riguarda i maggiori partiti nazionali, ne ha determinato la dissoluzione.
Come accade di norma durante le crisi che investono un intero sistema politico la normale dialettica degenera in conflittualità e passa dal confronto al litigio contrapponendo uomini e non idee e, nei casi peggiori, uomini senza idee; la contesa s’inaridisce nella difesa della propria sfera di potere o, nell’aggressione dell’altrui a tutela di interessi particolari scollegati dalla visione del progetto globale.

Questo, salvo significative eccezioni, era lo scenario, pur trepido di speranze, nel quale ho assunto la responsabilità di governo nel quinquennio di Presidenza sardista.
Non sono stati anni facili. Sin dal suo costituirsi la Giunta – ed il suo Presidente – furono investiti da un tumultuoso accavallarsi di critiche (non disgiunte da velate ed esplicite, minacce) provenienti dai più autorevoli esponenti della maggioranza di governo; personalità che ricoprivano ruoli di primo piano nella vita dello Stato: Capo del Governo, numerosi ministri, segretari nazionali di partiti e ben due ex Presidenti della Repubblica, mistificando strumentalmente il federalismo sardista con un disgregante separatismo e paventando la formula politica della Giunta, antitetica a quella del Governo centrale (fuori il partito D.C. e dentro il comunista), scatenarono un tale clamore di critiche da porre il problema sardo al centro del dibattito politico nazionale.
Articoli di fondo sui maggiori giornali, allarmate dichiarazioni rilasciate a radio e televisioni rovesciarono per settimane e mesi sul Presidente e la sua Giunta accuse di così alta violenza polemica da suscitare sdegnose reazioni anche da parte di importanti esponenti della D.C. sarda.
Il clamore, curiosamente, non danneggiò l’immagine del Presidente e della sua Giunta, ma le conquistò anzi una grande popolarità per le risposte ferme e pacate opposte alle accuse e alle minacce più diverse; i giornalisti di tutte le testate nazionali, di numerose regionali e di non poche internazionali, per meglio capire le ragioni di tanta polemica si susseguirono per mesi nelle stanze della Regione intervistando il Presidente sulle motivazioni che davano supporto alle sue scelte e sui progetti che ne avrebbero qualificato l’impegno di governo.
I problemi della Sardegna divennero così un fatto di interesse nazionale e, in apprezzabile misura, anche internazionale. Questo restituì ruolo all’Istituto autonomistico e limpidezza di immagine nel duro, quotidiano confronto con il Governo e con il sistema economico costituito dalle grandi aziende pubbliche e private operanti in Sardegna, o comunque collegate ed influenti nel suo processo di sviluppo. Chiarimmo sin da subito ai nostri interlocutori che non avremmo sollecitato la loro benevolenza ma, più semplicemente, posto al centro della nostra azione politica il diritto della Sardegna all’autogoverno, liberandolo dall’ossessiva tutela che ne infrenava e mortificava le potenzialità sia della sfera istituzionale che sociale ed economica.
Va detto che i rapporti non furono facili neppure all’interno della Giunta e della sua maggioranza.
I gruppi socialista, socialdemocratico e repubblicano, per oltre un anno, rifiutarono di designare loro assessori in Giunta, dichiarandosi disponibili a darci solo l’appoggio esterno (risultato peraltro estremamente critico come documentano i resoconti del Consiglio regionale ed i frequenti attacchi giornalistici dei loro esponenti).
Anche successivamente i rapporti all’interno della Giunta, pur migliorando in termini sostanzialmente positivi, risultarono influenzati dalla preoccupazione dei segretari dei partiti di rendere corposamente visibili i loro contributi al governo della Regione
Una sorta di emulazione che in certi momenti fece affiorare la tendenza di alcuni assessori ad agire in solitario ignorando, o scavalcando la Giunta.
Appena colsi questa tendenza mi dimisi dall’incarico Presidenziale evidenziando comportamenti che minavano la collegialità della Giunta, la sua autorevolezza e il ruolo di coordinamento ed indirizzo del suo Presidente.
La maggioranza del Consiglio, condividendo la validità della denunzia, mi confermò la fiducia che conservai per tutta la legislatura.

L’alternarsi di luci ed ombre nell’impegno dei partiti di maggioranza non offuscarono né attenuarono l’intransigente fermezza assunta nei confronti del Governo centrale e consentirono sin da subito di render chiaro che non avremmo più tollerato, nel rispetto dei reciproci ruoli, le continue interferenze degli organi politici e burocratici dello Stato nei diversi settori riservati alla competenza regionale.
Non fu un impegno facile. La prassi dei poteri centrali dello Stato tendeva nei fatti ad ignorare l’Istituto regionale.
Non avemmo perciò alcuna titubanza, viste inutili le richieste di chiarimento, a convenire in giudizio avanti il Tribunale l’allora Ministro della Difesa senatore Spadolini a causa di lavori intrapresi a La Maddalena dall’Ammiragliato senza preventivo parere degli organi regionali.
La nostra iniziativa suscitò grande clamore ed irose proteste della Destra politica, ma non quella del Ministro che, prima dell’udienza, – sospesi i lavori – venne a Cagliari e chiarì con la Giunta l’oggetto del contendere. L’incontro si rivelò un’occasione preziosa per aprire un dialogo fecondo.
A conclusione il Ministro, riconoscendone lo spirito costruttivo, concordò con la Giunta d’insediare una commissione mista Governo-Regione con il compito di censire il complesso dei compendi territoriali costituente demanio militare per valutarne, caso per caso, l’attualità. Il risultato fu:
1°) la sdemanizzazione e restituzione di un gran numero di aree, ubicate, di norma, in luoghi di alto valore ambientale, per oltre 2.500 ettari
2°) la sospensione, durante il periodo di maggior fruizione turistica delle nostre coste, delle esercitazioni militari che impedivano l’accesso dei cittadini ad oltre 60 km. di spiagge nonché la navigazione turistica, di pesca e mercantile nei mari antistanti.
Dure e capziose furono altresì le resistenze opposte dalle Capitanerie di Porto alla dismissione dell’intera fascia litoranea sarda, che salvo tratti di preminente interesse nazionale, doveva passare (da ben 35 anni!) al demanio regionale.
Il tenace conservatorismo dei Comandi militari nel difendere la propria autorità di governo sul territorio (costituito dalle coste sarde) era certo motivato dalla riluttanza a spogliarsi di un potere amministrativo così rilevante specie dopo il boom del turismo sardo, ma altresì dalla profonda diffidenza verso la nuova autorità, quella autonomistica, di cui non riconoscevano né capivano la legittimità democratica.
Di non minore rilievo, il confronto aperto con il Ministro delle Finanze sull’arbitraria trattenuta operata dai burocrati ministeriali (e dagli Intendenti di Finanza della Sardegna!), delle percentuali d’imposta esatte dallo Stato sui periodici aumenti del prezzo dei carburanti e spettanti, per 9/10, al bilancio sardo.
Vincendo l’interpretazione ministeriale sulla natura giuridica dei periodici aumenti d’imposta recuperammo, in unica soluzione, oltre 300 miliardi assicurando alle finanze regionali la continuità del maggior flusso costituito da tale riconoscimento.
Né meno impegnativo fu il confronto per riaffermare la competenza regionale nel vasto campo dei beni paesaggistici ed ambientali. Anche in questa materia la coerente fermezza della Giunta valse a convincere il Ministro che il Governo del territorio è un fatto globale e, salvo quelle parti escluse da specifiche leggi (quali le aree destinate alla difesa militare dello Stato), costituiscono un unicum, ove si svolge, nella sua complessa e ricca varietà, vita, lavoro, tempo libero, speranze, successi, dolore e gioia di un popolo.
Ho citato solo alcuni esempi significativi dell’attività svolta dalla Giunta per recuperare, con i poteri di Governo, dignità e rispetto istituzionale; non tardammo così ad instaurare una cordiale collaborazione con la gran parte dei ministri, ed il Presidente del Consiglio, ottenendo altresì la costante solidarietà del Capo dello Stato.

Altro vitale settore che impegnò severamente la Giunta riguarda lo sviluppo economico-sociale.
Nell’agosto ’84 la disoccupazione sfiorava in Sardegna il 24% della popolazione attiva mentre le industrie a partecipazione statale operavano la smobilitazione attraverso discontinue ma frequenti chiusure di interi settori produttivi.
Dopo aver sperimentato la tendenza dei manager pubblici ad ignorare il potere regionale anche quando assumevano decisioni suscettibili di creare gravi sconvolgimenti del già fragile assetto economico-sociale di vaste aree territoriali della Sardegna, la Giunta, rivendicando a sé il ruolo di governo dell’economia isolana, attivò una serie pressoché ininterrotta di rapporti con i Ministri costringendo i manager ad un serrato confronto sulle reali motivazioni delle loro iniziative.
Scoprimmo così che certe affermate passività aziendali dipendevano da mancati reinvestimenti e aggiornamenti tecnologici dell’apparato produttivo o, peggio, erano frutto di cosmesi finanziaria (che sarebbe meglio definire truffe) immettendo (solo apparentemente) in commercio produzioni di aziende sarde che facevano acquistare a prezzi scandalosamente inferiori a quelli di mercato da aziende consorelle della stessa holding. Il fatturato delle acquirenti risultava così in attivo mentre appariva passivo quello delle imprese sarde che i manager progettavano di chiudere.
Debbo dare atto all’on. Clelio Darida, allora Ministro delle Partecipazioni Statali, della piena solidarietà dimostrata alla Regione costringendo le holding ad operare i necessari investimenti per riacquistare competitività sui mercati ed a smettere i raggiri simulavano inesistenti passività.
Nei confronti che avemmo con la Samin, allora concessionaria delle miniere piombo-zincifere dell’Iglesiente-Guspinese, affrontammo il problema della loro gestione impedendone la chiusura in considerazione del positivo rapporto fra costi e benefici.
Ottenemmo altresì, con un finanziamento di 450 miliardi, la riapertura delle miniere del carbone Sulcis con il duplice fine di valorizzare una importante risorsa locale e promuovere l’autonomia energetica della Sardegna: ciò era – ed è possibile – ricorrendo alle moderne tecnologie della gassificazione del carbone già positivamente sperimentata nelle nuove centrali termoelettriche operanti in Germania, Olanda, Stati Uniti, etc.
Tra i vantaggi garantiti dalla gassificazione emergono infatti la rilevante riduzione dei costi di investimento e gestione degli impianti rispetto alle centrali termoelettriche tradizionali e l’abbattimento totale di qualsivoglia potenzialità inquinante anche dei carboni fortemente intrisi di zolfo come quello sulcitano.
Altro nostro impegno, coronato da pieno successo, fu il salvataggio della Cartiera di Arbatax, gestita in forma speculativa e fallimentare dall’imprenditore; dopo averlo estromesso associammo una grossa impresa italiana che si dichiarò disponibile a rilevarne la gestione con l’impegno di raddoppiarne la produzione.
Sono consapevole che gran parte delle aziende sia statali che private, così come alcune competenze istituzionali, da noi validamente difese sono oggi chiuse, o in crisi e che qualche ministero ha rioccupato gli spazi che noi gli avevamo tolto, ma sono altresì convinto che la Sardegna ha enormi potenzialità di recupero e crescita sia nell’ampio campo istituzionale che in quello economico-sociale a condizione che ritrovi in se la forza dell’unità e la consapevolezza che libertà e sviluppo non sono mai dono del principe ma conquista di popolo.
Attendere dall’altrui benevolenza la soluzione dei nostri problemi non è solo ingenuo ma colpevole irresponsabilità. Solo l’autonomia, nella sua accezione più ampia, resta lo strumento politico che apre ai sardi le porte del futuro investendoli di ruolo protagonista.

Nel governo dell’economia la Giunta rifiutò le soluzioni di basso profilo.
Attesa la pochezza del mercato interno, falcidiato dallo scompensato rapporto tra vastità di territorio e modesto numero di consumatori, residenti in centinaia di piccoli centri distribuiti in tutta l’Isola, la Giunta, facendo della centralità mediterranea il punto di forza del potenziale sviluppo sardo, ha promosso una molteplicità d’iniziative per internazionalizzarne l’economia.
Il mare infatti, per cause storicamente ben conosciute, ha costituito per i sardi costante motivo di pericolo e di limite. Dal mare venivano gli invasori mentre ai sardi non era consentito disporre di navi per attraversarlo.
Il fenomeno, con i suoi effetti devastanti, è sempre attuale tanto che, ancor oggi, la Sardegna non ha una sua economia marittima ed è totalmente dipendente, per rapporti esterni, da volontà ed interessi che le sono in larga misura estranei e spesso antitetici.
La Giunta s’è posto quindi l’obiettivo primario di rovesciare questo rapporto innaturale con il contesto ambientale nel quale i sardi vivono ed operano.
La realizzazione del primo lotto funzionale del porto terminal di Cagliari, con uno stanziamento di oltre 220 miliardi, rappresenta una prima significativa tappa del ritorno dei sardi al governo pieno del loro territorio e quindi del mare che li circonda.
La centralità mediterranea da fatto geografico si avviava a diventare momento politico facendo della Sardegna e dei suoi porti luogo d’incontro per commerci, economie e civiltà dei paesi mediterranei ed europei e, fra questi e quelli di oltre Oceano.
Un disegno politico così ambizioso presuppone robusti strumenti di promozione economica con investimenti finanziari, commerciali ed industriali sia interni che internazionali. Di qui la proposta di legge nazionale d’iniziativa regionale approvata per la prima volta a grande maggioranza dal Consiglio Regionale per l’applicazione nel territorio sardo del regime di zona franca operante da secoli in aree economicamente strategiche della Comunità Europea e, negli ultimi decenni, in tutto il mondo, nelle forme più varie e moderne.

L’iniziativa della Giunta sembra oggi realizzarsi con la costituzione di un certo numero di porti franchi. Pur valutandone la palese insufficienza a promuovere lo sviluppo equilibrato e diffuso in previsione di tumultuosi ed ingovernabili fenomeni d’inurbamento nelle aree franche e contestuale spopolamento (meglio: desertificazione) delle are interne, i punti franchi costituiscono, quantomeno sul piano formale, chiaro riconoscimento del Governo italiano del diritto dei sardi alla libertà dei commerci in un rapporto diretto e creativo con altre realtà economiche del Mediterraneo, d’Europa e del mondo; un primo significativo passo per uscire dalla solitudine plurimillenaria rendendo i sardi partecipi dei vitali processi di sviluppo che fanno del Mediterraneo uno dei centri motori del progresso mondiale.
In questa prospettiva la Giunta Regionale ha stimolato le attività produttive con numerosi disegni di legge e stanziamenti specifici a favore di piccola e media industria, turismo, artigianato, agroalimentare, allevamento del bestiame, colture intensive floro-ortofrutticole in campo ed in serra, favorendo l’esportazione dei prodotti ben oltre il mercato italiano ed europeo.
Un’attenzione specifica venne riservata alla condizione giovanile. Con uno stanziamento che mobilitò una massa finanziaria di oltre mille miliardi si favorì l’acquisto della prima casa, a circa 14.000 giovani. Elevato a 150 miliardi lo stanziamento sulla legge 28 e semplificate le paralizzanti procedure si sono letteralmente moltiplicate le opportunità di occupazione fornendo ai giovani, nell’ampio arco delle attività produttive e dei servizi, concrete possibilità di lavoro autonomo sia individuale che associato ed in cooperativa.
Allo scadere della legislatura la disoccupazione secondo i dati statistici pubblicati dall’Istat, era scesa da circa il 24% a poco più del 19%; le esportazioni agricole aumentate del 28%, quelle complessive del 25%, mentre il rapporto fra nuove aziende artigianali e chiusura delle preesistenti registrarono un saldo attivo di oltre 2.500 unità cui faceva riscontro l’aumentato consumo di energia elettrica in misura superiore al 23% delle utenze oltre le 30 KW. Nuovi posti di lavoro creati aggiuntivi nel quinquennio – secondo i dati ISTAT – 48.000.
Perché queste iniziative non si esaurissero con l’esaurirsi del finanziamento regionale – come frequentemente avvenuto nei precedenti decenni – attivammo una molteplicità di strumenti legislativi e servizi reali atti a creare condizioni ambientali favorevoli al consolidarsi delle intraprese economiche.
Preliminare al perseguimento di tale obiettivo era – ed ancora é – la riforma dell’Amministrazione regionale, mutuata, al suo primo costituirsi, dall’ordinamento giuridico dello Stato, vecchio di oltre un secolo. Procedure esasperatamente lente, complesse e dispersive, tendenzialmente centraliste, pregiudicano, distorcono e spesso soffocano il diritto del cittadino nel suo rapporto con il potere pubblico.
La Giunta affidò al FORMEZ uno studio analitico volto ad individuare i nodi che ne rallentano l’azione indicando nel contempo alcuni obiettivi finali per dare ai sardi una moderna organizzazione amministrativa, efficiente e dinamica: riservare alla Regione potere legislativo, indirizzo, coordinamento e controllo, trasferendo agli Enti Locali le attività amministrative nell’ambito dei rispettivi territori.
Fu in questo quadro cura della Giunta attivare organi di alta qualificazione quale l’Agenzia del lavoro e relativo osservatorio, il Consorzio 21 istituito con il compito di finanziare studi e ricerche che artigianato, piccole e medie industrie devono affrontare per aggiornare tecnologicamente gli impianti, qualificare il personale, orientarsi sul mercato, ottimizzare procedure, organizzazione aziendale, promozione d’immagine e così continuando nel complesso e molteplice svilupparsi dell’operare economico.
Per un corretto ed efficace governo del territorio vennero ampliati gli organici dell’ex Corpo Forestale dello Stato, passando da meno di cento a circa 800 unità inquadrate nel nuovo Corpo Regionale di Vigilanza Territoriale.
La fine della legislatura non consentì di dare piena attuazione ai programmi proposti ed a elaborati della Giunta. Gran parte sono in atto, altri in corso di attuazione, altri abbandonati dalle successive Giunta.

Le gravi carenze infrastrutturali che rendevano discontinuo, incoerente e spesso sterilmente conflittuale, il faticoso passaggio della società sarda dai ritmi dell’economia rurale a quelli della telematica hanno costituito oggetto del nostro impegno.
Ponemmo perciò allo studio un vasto progetto articolato su quattro settori portanti: Piano delle Acque, dell’Energia, dei Trasporti e Telematico.
Il primo prevede la creazione di oltre 30 nuovi invasi in grado di quadruplicare le riserve idriche oggi limitate a 1.290 milioni di metri cubi, così da superare periodi di siccità prolungata (quattro-cinque anni), già sofferti nel corso degli ultimi secoli. Riserve in grado di garantire acqua per gli usi civili ed alimentari, agricoli ed industriali ivi compresa la domanda turistica.
Il secondo affronta un tema di grande attualità che da sempre, in forme diverse, ha pregiudicato l’economia isolana: disponibilità energetica. Lo studio tiene conto come già chiarito a p. 8 delle più avanzate sperimentazioni basate sulle centrali termoelettriche alimentate da gas di carbone.
La soluzione acquista fondamentale rilievo in considerazione della presenza in Sardegna del più grande giacimento di carbone esistente nel Mediterraneo (oltre un miliardo di T/n. già accertate).
Tanto il piano delle acque che quello energetico hanno trovato parziale attuazione; con il primo è in corso d’opera la realizzazione di quattro nuovi invasi e con il secondo la riapertura di una miniera di carbone del Sulcis nella quale, proprio in questi giorni, s’è iniziata l’attività estrattiva.
Gli altri due “piani” investono lo spinoso tema dei trasporti intermodali, interni ed esterni alla Sardegna ed, infine, il collegamento telematico delle comunità piccole e grandi con i centri decisionali delle diverse istituzioni operanti in Sardegna.
Rispondere con efficenza, dinamismo e compatibilità di costi alla crescente domanda interna ed esterna nei due importanti settori è fondamentale, soprattutto in Sardegna, attesa l’evidente sproporzione fra vastità di territorio e popolazione. Oggi il problema è: ridurre drasticamente le distanze riducendone i tempi di percorrenza ed annullandoli nella comunicazione.
Dobbiamo poter circolare senza essere penalizzati dai tempi morti e comunicare fra noi e col mondo in tempo reale. Si dischiudono così più vasti orizzonti e si moltiplicano le possibilità d’incontro, collaborazione e, soprattutto, si conquistano spazi di libertà per l’innanzi preclusi da un sistema di lontananze che genera solitudine.

La Giunta ha pure affrontato con rilevante successo le gravi carenze esistenti nel campo sanitario.
Diversi centri ospedalieri sardi sono stati dotati delle più moderne e sofisticate tecnologie consentendo ai nostri sanitari di poter effettuare le cosiddette terapie eroiche quali trapianti di cuore, di fegato e di midollo. Sono stati così sensibilmente ridotti i viaggi della speranza che costituivano l’amaro calvario dei sofferenti costretti a penose peregrinazioni per raggiungere centri di terapia altamente specializzati d’oltre mare. Certe affezioni endemiche in Sardegna e nel Mediterraneo come la leucemia hanno oggi in Sardegna presidi sanitari e scienziati di tale prestigio da elevarsi a punto di riferimento nel contesto sanitario internazionale.

Per iniziativa del gruppo sardista era stata presentata una proposta di legge sull’insegnamento nelle scuole dell’obbligo della lingua sarda della quale era, sempre in legge, prevista la facoltà di uso nei rapporti dei cittadini con le pubbliche istituzioni. La competente commissione consiliare l’aveva approvata a larga maggioranza.
Purtroppo la Giunta, incalzata dal quotidiano impegno di fronteggiare le gravose incombenze di governo e le frequenti crisi indotte dalla fragile struttura economica della Sardegna ha lasciato che i gruppi consiliari completassero l’iter legislativo di cui avevano assunto l’iniziativa.
Fu così che la legge, di rinvio in rinvio, venne esaminata, su espressa sollecitazione del Presidente della Giunta, solo in una delle ultime sedute consiliari della legislatura.
Proprio in quella sede emerse in tutta la sua virulenza antisardista l’opaca coscienza politica di oscuri personaggi che trovano il coraggio delle proprie opinioni solo se coperti dall’anonimato del voto segreto.
Avvenne infatti che un certo numero di consiglieri della maggioranza, paventando l’autonomia culturale intrinsecamente incompatibile con l’inveterata dipendenza di cui erano intellettualmente prigionieri votarono contro facendo cadere la legge.
La reazione dell’opinione pubblica fu grave e diffusa.
Politicamente ne subirono le conseguenze negative proprio i partiti più rappresentativi di quella maggioranza: il Partito sardo che nelle successive elezioni regionali – anche per cause concomitanti, estranee alla politica – perse due consiglieri ed il Partito comunista, che ne perse quattro.
Ma la diffusa volontà popolare di resistere nella difesa dei valori della sardità, pur mortificata da questa esperienza, è rifiorita attraverso molteplici iniziative che hanno determinato, nel corso dell’attuale legislatura, l’approvazione della legge sull’insegnamento ed uso del sardo nelle sedi ufficiali; il Governo, pur con sensibili mutilazioni, l’ha restituita con la sua approvazione. Oggi ci aspetta l’esaltante impegno di darvi attuazione.
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La Giunta ha valutato con estremo favore il contributo offerto allo sviluppo dalla crescente domanda turistica.
È apparsa peraltro chiara l’esigenza d’incanalarne i flussi nel rapporto di compatibilità economico-ambientale di non facile equilibrio.
La tendenza spontanea di cementificare le coste imprigionandole nell’anello di una città continua di seconde case, ha costituito concreta minaccia di sconvolgente degrado ambientale pregiudicando pericolosamente il rapporto fra le suggestive bellezze delle marine con la ricchezza di valori naturalistici e culturali offerti dai millenari, misteriosi percorsi delle zone interne.
Alcune leggi proposte dalla Giunta – ed approvate dal Consiglio – prevedevano, fra l’altro, distanze minime delle nuove costruzioni dal lido del mare; il Governo bloccò pretestuosamente la norma approvandola soltanto dopo che il Consiglio regionale consentì minori distanze.
Il potenziamento del comparto turistico è stato valutato positivamente dalla Giunta in vista delle nuove feconde esperienze dei sardi nell’incontro con persone portatrici di usi, tradizioni, costumi e culture diverse, ma altresì per l’interesse che il grande patrimonio di monumenti archeologici dell’antica civiltà nuragica suscita nei milioni di turisti in visita annuale nella nostra isola.
Una presenza internazionale così diffusa diventa per tanti operatori favorevole occasione per valutare le opportunità che l’Isola offre alle nuove intraprese economiche in vista della sua posizione geografica, del clima temperato e della naturale ospitalità dei sardi, sempre cordialmente disponibili.
Il turismo infatti va riguardato come un poderoso strumento da valorizzare nella prospettiva dello sviluppo complessivo della Sardegna.

L’esperienza di cinque anni di Presidenza regionale mi ha confermato nel profondo convincimento che solo assumendoci la piena responsabilità delle decisioni riguardanti l’organizzazione interna della vita comunitaria, i progetti di sviluppo sociale, culturale ed economico (da attuare con la necessaria fermezza), saremo capaci di costruire su solide basi la Sardegna di domani, contando sulla reciproca solidarietà dei popoli mediterranei ed europei di cui costituiamo, anche geograficamente, cuore pulsante.
A dare forza evolutiva ad un processo storico così esaltante é la consapevolezza di far parte di un popolo unico ed irripetibile che ha saputo, pur nella sofferenza della lunga subalternità, esprimere una civiltà intessuta di cultura, lingua, modi di vita, forza morale, organizzazione, lavoro, tenacia e una grande severa dignità.
Rocciosamente radicati in questi valori saremo capaci di conquistare un futuro di libertà nella luce della cultura.
Mario Melis

Sintesi per punti
1- La Presidenza Melis, Sardista e di Sinistra, è incominciata il 28 settembre 1984 ed ha cessato l’11 giugno 1989, cioè l’intera nona legislatura.
2 – Le Giunte Melis sono state tre:

1° Giunta Melis dal 28.9.84 all’8.8.85;
2° Giunta Melis dal 9.8.85 all’I.7.87;
3° Giunta Melis dal 6.8.87 all’I 1.6.89.

3 – La Giunta Melis è la prima vera Giunta di sinistra, soprattutto è la prima Giunta a forte contenuto autonomista per niente omogenea con i governi nazionali di centro-sinistra dell’epoca.
Infatti le due Giunte Rais (24.12.1980 – 11.3.1982), pure essendo di sinistra, avevano un Presidente socialista, garante in qualche modo di un legame con il governo nazionale o se si preferisce con i partiti storici tradizionali del Paese.4 – Esisteva una forte diffidenza nei confronti di questa Giunta, soprattutto nei confronti della sua massima espressione, leader di un partito (PSDAZ) la cui bozza di statuto presentata al Congresso del 1981 (XX°), recitava “….condurre la Sardegna all’indipendenza, condizione preliminare per un patto federativo con la Repubblica Italiana o con altri stati europei e mediterranei su basi di parità e di interesse reciproco, nella prospettiva di un assetto federalistico delle regioni e delle Etnie europee e mediterranee”.
5 – Gli effetti di questa diffidenza ebbe dei riflessi notevoli sul piano istituzionale: basti pensare che nelle prime dieci legislature la media delle leggi regionali rinviate dal Governo è pari a 28, durante le Giunte Melis, nella nona legislatura, fu di 64, quasi il triplo rispetto alla media.
Per non parlare della sentenza della Corte Costituzionale n° 371 del 1985, che dichiarando l’illegittimità del 2° comma dell’art. 4 del D.P.R. 19 maggio 1950, n° 327 (2° gruppo di norme di attuazione dello statuto), norma adottata ai sensi dell’art. 56 dello statuto sardo, cioè passata al vaglio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Capo dello Stato e della Corte dei Conti, nel disconoscere il potere di approvare regolamenti alla Giunta regionale, ha costretto la Regione a riapprovare (con deliberazione consiliare) tutti i regolamenti adottati dal 1948 al 1985!
6 – Ma nonostante questa conflittualità raggiungesse un altro momento di alta tensione in occasione del ricorso al Tar avverso la base di La Maddalena per sommergibili atomici, i rapporti con lo Stato produrrano comunque anche effetti molto positivi, sia per la determinazione e la tenacia della Giunta (o meglio del suo Presidente) sia perché alla lunga il Governo nazionale si convinse che il leader sardista aveva un senso dello Stato come pochi nelle istituzioni nazionali.
Si citano per gli aspetti più positivi nei rapporti Stato – Regione:
• elevati trasferimenti finanziari;
• eliminazione, per la prima volta, delle esercitazioni militari a fuoco nei mesi estivi;
• dismissione di notevoli aree ed edifici detenuti dai militari, tramite il Ministero della Finanze;
• attribuzione alla Regione nel 1988 dei poteri sul litorale marittimo ed
aree prospicienti a fini turistici e ricreativi (le norme di attuazione, fino ad allora inapplicate, risalivano al 1979!)
La Giunta regionale, o meglio la coalizione nel suo complesso, ottiene notevoli risultati, nonostante l’atteggiamento governativo anche sul piano interno.
Nella nona legislatura furono infatti presentate 577 proposte di legge, di fronte ad una media nelle prime dieci legislature di 388; le leggi promulgate furono 263, di fronte ad una media ( sempre nelle prime dieci legislature) di 172.
Molte poi furono le incompiute portate a termine:
• la riapertura, previo ripristino, della villa presidenziale e dell’annesso parco (Villa Devoto), da anni in stato di abbandono.
• la costruzione della sede del Consiglio regionale, le cui fondamenta, da anni, a chi arrivava a Cagliari dal mare, rappresentavano il simbolo dell’inefficienza regionale;
• l’apertura dell’Ospedale Civile “Brotzu”, altra struttura portate a termine da anni e mai posta al servizio della collettività.
• l’approvazione (incompiuta amministrativo – contabile) di ben 16 rendiconti generali della Regione (dal 1972 al 1987), con plauso della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, perché si era posto termine ad un’intollerabile e palese illegalità.
Si ricordano, di seguito le più importanti norme approvate dalla Giunta Melis, divise per materie:
Riforma
L.R. n. 13/86 Riordino del CRAI e delega delle funzioni alle Province.
L.R. n. 15/86 Norme per il riordino dell’Istituto Zoo-profilattico.
L.R. n.47/86 Norme per il diritto di accesso ai documenti della
Regione. (Sono state le prime norme adottate dalla Regione sulla trasparenza degli atti amministrativi).
L.R. 58/86 Nuove norme per l’istituzione dei Comuni.
L.R. 48/86 Nuove norme per i referendum popolari.
L.R. 21/88 Costituzione istituto Sardo di Studi Giuridici.
L.R. 32/88 Attribuzioni dei coordinatori regionali (È’ la prima norma regionale che separa nettamente l’attività di direzione politica dall’attività amministrativa, anticipando di qualche anno la legislazione nazionale).