La scuola e il bilinguismo in Sardegna – Convegno regionale – Palazzo dei Congressi – 18/19 febbraio 1988 Cagliari

La componente etnica, alla luce dei nuovi studi e delle esperienze storiche attuali nelle varie parti del mondo, è osservata come fattore positivo, proprio perché si pone come nucleo culturale realmente vissuto dal popolo in un sistema policentrico quale è quella moderna.
Si tratta certamente di sfuggire alla chiusura localistica per accettare nuove relazioni sociali e politiche nella prospettiva di forme politiche federative in un quadro di collaborazione e integrazione fra i popoli.
In questo progetto storico-culturale assume una grande rilevanza la questione della lingua e dunque per noi il rapporto sardo-italiano. Un rapporto che tocca innanzitutto il ruolo informativo ed educativo della scuola. E questo convegno verte proprio sulla scuola e il bilinguismo in Sardegna.
Ebbene proprio la scuola ha avuto una grande responsabilità nel punire e vietare la parlata e la scrittura sarda, quando invece avrebbe dovuto insegnare l’italiano attraverso un metodo comparativo con la parlata locale, anche per rimarcarne la profonda parentela e la medesima origine latina.
Lingua in contatto dunque e non farne di insegnamenti punitivi e discriminanti. Ma così non è stato, impedendo agli studenti sardi di potersi arricchire nello scambio vicendevole del lessico e della sintassi italiana e sarda.
Il secondo fattore di emarginazione della lingua sarda nell’espressione delle varie parlate locali è stata certamente la nuova tecnologia della comunicazione: radio, televisione, stampa. Nuove forme del comunicare veicolate dal codice italiano: il sardo è stato così relegato nella sfera della quotidianità familiare e nella parlata del gruppo paesano.
Se dovessimo considerare la lingua come un prodotto, potremmo dire che la produzione linguistica italiana è stata nettamente superiore alla produzione linguistica sarda.
Si è creata in tal modo una grave discordanza, uno iato profondo tra comunicazione, per così dire, internazionale e comunicazione nazionale sarda, con un conseguente respingimento del sardo nella sfera del privato.
All’incidenza dei mezzi di informazione di massa va aggiunto il condizionamento linguistico della merceologia degli oggetti e del consumismo: oggetti nuovi s sono presentati ovviamente con nomi nuovi e bisognava comunque fare i conti col nuovo scambio mercantile.
Dunque anche le parole non vengono come dono, bensì nel mercato ineguale delle merci: anche le parole sono cose tariffate nella logica di un mercato.
Tuttavia questa emarginazione del sardo rispetto al parlare sociale più ampio e diffuso nei è riuscita a “tagliare la lingua” alla comunità isolana.
Nonostante tutto in sardo si continua a parlare e anche a scrivere: lo attestano l’ascolto quotidiano, la pubblicazione di poesie e romanzi in limbo, i concorsi e i premi, ormai assai diffusi.
Ora, si tratta di riportare la questione del bilinguismo nell’ambito della scuola, in una prospettiva di plurilinguismo e di scambio culturale.
È possibile rispondere a una politica repressiva del passato con un nuovo indirizzo di politica linguistica?
Quali sono le difficoltà giuridiche, le problematiche socio-linguistiche e psico-linguistiche, gli interrogativi pedagogici, le resistenze politiche che vengono ad emergere da un progetto di educazione bilingue?
È quanto spero di approfondire con i risultati di questo Convegno.