Dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta, 21 settembre 1984

“La nostra lotta insieme con il popolo sardo” – Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, dichiarazioni programmatiche, 21 settembre 1984

Signor Presidente, colleghi Consiglieri,

nel rivolgere al Consiglio il messaggio programmatico della Giunta sono consapevole dell’alto significato che il confronto fra le forze politiche assume oggi in Sardegna.
Le numerose interferenze che dall’esterno minacciano di turbare il corretto rapporto maggioranza opposizione, pur nel clamore suscitato, non hanno sortito l’effetto di offuscare i valori autonomistici che costituiscono in Sardegna condizione essenziale di governo.
Sono consapevole di come il mutamento di quadro politico abbia determinato reazioni ed ingenerato convincimenti del tutto soggettivi ed arbitrari.
La Giunta non si propone di aprire solchi o di dividere i sardi, ma di affrontare, con un atto di coraggio e di fiducia nelle capacità della società sarda, la lunga e terribile crisi economica che la travaglia creando le condizioni perché essa possa affermarsi come comunità e come popolo.
È la nostra società, infatti, che ha espresso con chiarezza, con il voto per l’elezione di questa assemblea, una volontà di cambiamento; ed è nella società sarda che forze operose attendono di concorrere alla trasformazione, al miglioramento, delle condizioni di vita della Sardegna.
La tendenza ad un’autonomia sostanziale, a condizioni di sicurezza e di benessere per tutti, che noi tenteremo di interpretare coi fatti concreti, ha radici profonde nella nostra storia e lontane nel tempo. Quasi meraviglia che il suo affermarsi come maggioritaria produca una così dura opposizione, come se fosse una novità assoluta e imprevista.
In realtà la storia del popolo sardo è poco nota, spesso non compare neanche per accenni nei manuali e, quindi, quasi a tutti fuori dall’Isola sono ignote le secolari vicende che hanno portato le esigenze di giustizia e di autogoverno dei sardi alla odierna affermazione.
Ma gli oppositori sardi no, non ignorano le millenarie dominazioni, il continuo strangolamento economico e culturale, le interne forme di separatismo e di privilegio per gli eterni vassalli dei poteri esterni. Sanno anche delle vicende di chi a tutto ciò si è opposto.
Non si può ignorare, in Sardegna, che, per esempio, a raccogliere le tensioni che venivano dalle campagne e dalle città dell’Isola per le forme di emancipazione sociale e politica allora possibili, ad elaborare le prime formulazioni teoriche dell’autonomismo furono proprio gli intellettuali sardi del Risorgimento di ispirazione repubblicana, che riproponevano, nello Stato italiano, il senso di quella rivoluzione angioyna che è la prima rivoluzione illuminista e giacobina di tutta l’Italia insulare e meridionale, e dai moti popolari e borghesi di fine ‘700, alle agitazioni dei contadini, degli operai e della piccola borghesia del primo e del secondo dopoguerra, è facile ricostruire le fasi di un movimento ininterrotto di crescita civile, politica e culturale — ben al di là delle vicende di ciascun partito — che finalmente può e vuol sancire il proprio diritto a decidere le sorti della Sardegna: all’interno dello Stato italiano, ma come un’articolazione della Repubblica dotata di autonomia sostanziale.
Oggi il regionalismo emerge quale forza prorompente di democrazia, capace di coinvolgere le grandi masse popolari, nello spirito dell’articolo 5 della Costituzione, in una visione politico-territorale unitaria dello Stato, vivificata dalla multiforme diversità delle realtà storiche presenti nel Paese.
I programmi che la Giunta propone cercano di esprimere modernamente gli impulsi che derivano da un lungo itinerario, da sofferenze ed esperienze tormentate, ma anche da affermazioni parziali, consapevolezze sempre nuove, indicazioni sempre più mature.
Sono programmi democratici, pacifici, fondati sui princìpi di giustizia e di libertà, sull’aspirazione al benessere e alla solidarietà sociale: sono programmi in fondo simili a quelli che altre regioni, altri popoli si danno per superare la dipendenza economica e culturale, correggere le ineguaglianze, sviluppare tutte le proprie potenzialità economiche e culturali.
E ciò perché l’affermazione delle autonomie territoriali e la gestione democratica del potere sono oggi prospettive ineludibili per tutti i popoli della terra, anche i più sviluppati, come la cronaca ricorda quasi quotidianamente, e con buona pace, quindi, di coloro che, legati a concezioni ottocentesche, vogliono relegare noi tra i passatisti e nel folclore politico. Nel quadro di un processo che è quindi comune — pur nelle forme fenomeniche più diverse — all’intera umanità, noi ci proponiamo di iniziare a superare una lunga condizione di isolamento e subordinazione, i problemi più macroscopici della nostra situazione più recente, come l’emigrazione e la disoccupazione di massa, l’indebolimento della base produttiva ed alimentare, il degrado del territorio e la situazione delle risorse, la situazione del nostro patrimonio culturale e linguistico, la disgregazione, l’oppressività e la dipendenza delle nostre categorie dirigenti.
Il voto del 24 giugno, le vicende che l’hanno preparato ed annunciato, vanno in questa direzione.
In Sardegna i decenni dell’esperienza regionale hanno visto maturare — nella, società prima che nelle concezioni più diffuse e nelle sedi pubbliche — i segni di una originale visione dell’autonomia, dello sviluppo economico e culturale. Alla fervida iniziale fase di inizitiva, anche istituzionale, caratterizzata dalla lotta ai monopoli, è seguito un periodo contrassegnato dai no: no alla porcilaia in Planaria, no alla petrolchimica a Lula, no al monopolio petrolchimico dell’informazione, no ai campi militari di Orgosolo.
Ma poi è cresciuto il dibattito culturale, l’organizzazione dei ceti produttivi tradizionali, artigiani, pastori, contadini, minatori, operai: le risposte da negative si sono fatte propositive, nella teoria e nella prassi sociale. Soprattutto nell’ultimo decennio si sono rafforzati i sindacati e gli organismi operai, si sono svolte imponenti lotte, espressione di ricchi fermenti culturali, ed azioni specifiche di grande significato: dagli episodi di autogestione anche nelle grandi industrie, alle manifestazioni di massa, all’occupazione delle miniere, alla «marcia per il lavoro». Si sono formate numerosissime cooperative di giovani ed anche anziani troppo presto espulsi dai processi produttivi; si sono spostate su posizioni autonomistiche e democratiche ampie fasce di ceti produttivi e di piccola e media borghesia.
In questi ultimi anni molte popolazioni, recuperando una tradizione un tempo largamente diffusa nelle campagne, si sono spontaneamente organizzate ed hanno saputo tutelare contro gli incendi il proprio ambiente di vita, hanno saputo, insomma, riscoprire il ruolo attivo della comunità, il valore dell’impegno civico e sociale; silenziosa si diffonde la tendenza a resistere in Sardegna, a non migrare quasi a tutti i costi, a ritornarvi se si è emigrati, a sentire come diritto civile la possibilità di un impegno di vita nella terra di origine, essendo se stessi, parlando la propria lingua, elaborando la propria cultura: e non per vivere nel passato, ma nel mondo di oggi, con tutti i problemi e le tematiche del progresso tecnologico, dei vari orizzonti che esso apre; ed in questi scenari si vuol vivere da Sardi, per la Sardegna.
La società sarda è cresciuta: anche le analisi più interessate sugli spostamenti elettorali riconoscono il mutamento di indirizzo di settori contadini, operai, di donne e giovani fuori dalla produzione, di emarginati che rifiutano la passività e la soggezione, ma anche di tecnici ed impiegati, di addetti alle nuove professioni che non intendono separare professionalità e democrazia, e si legano agli interessi della grande maggioranza del popolo.
Da una diffusa estraneità della coscienza sociale nei confronti del potere pubblico in Sardegna ed una crescente disaffezione-delusione nei confronti dell’Istituto regionale, può oggi passarsi ad un coinvolgimento di larghi strati di popolazione — della grande maggioranza dei sardi — nella costruzione di una nuova coscienza pubblica, responsabile e costruttiva.
Il senso del voto recente è anzitutto questo: la richiesta di una nuova Regione, interprete dei bisogni di tutti, e soprattutto dei lavoratori, dei deboli, delle persone oggi in difficoltà come i giovani che non trovano occupazione, le donne e gli anziani che si vedono estromessi dal mercato del lavoro. Non si intende però a ciò rispondere con una proposta di tipo assistenziale: si vuole superare la crisi economica e costruire un assetto produttivo che unisca il suo rafforzamento all’espansione dell’occupazione anche per quelle fasce oggi sacrificate.
Il senso del voto è però anche nella volontà di affermare il diritto a maggiori spazi di autonomia nell’ambito del rinnovamento regionalista dello Stato — di cui il Parlamento si sta occupando fra tante difficoltà — che permetta alle popolazioni dell’Isola capacità reali di autogoverno, l’uso attraverso la necessaria progressione del sardo insieme con l’italiano, l’affermazione delle nostre specificità culturali, produttive ed anche morali. In Sardegna, infatti, si sta vivendo proprio uno dei momenti fondamentali della battaglia sulla «questione morale»: perché è anche affermazione di moralità la possibilità di sostituire gruppi dirigenti, in un corretto sistema democratico. Non si sottovaluta quanto di positivo si è fatto in tutti questi anni, né si dimenticano i tanti episodi di forte unità che si sono registrati in questo Consiglio sui temi di importanza fondamentale per la Sardegna; si ritiene anzi che — superate le polemiche tattiche il più delle volte turbate da interferenze dirette da centrali lontane e sostanzialmente indifferenti ai destini della Sardegna — si possa ricostruire  – pur nella diversità dei ruoli, un corretto rapporto di unità di intenti sulle grandi vicende della nostra Autonomia. Alcuni appuntamenti sono già nei taccuini di lavoro della Giunta ed anzi sono stati, se così si può dire, istruiti nella precedente legislatura: la nuova legge di rinascita, la riforma della Cassa per il Mezzogiorno, l’adeguamento dello Statuto speciale, la questione della zona franca.
L’ormai imminente scadenza del periodo di operatività della legge di rifinanziamento del Piano di rinascita ha posto all’attenzione delle forze politiche regionali il problema centrale della considerazione del modo in cui dev’essere data attuazione ai principi sanciti dall’articolo 13 dello Statuto.
Il dibattito, ampiamente sviluppatosi nell’ultimo scorcio della passata legislatura, ha registrato un’importante convergenza unitaria sulle linee di una proposta di legge nazionale che dev’essere ora urgentemente approvata in Consiglio e quindi sostenuta in Parlamento. In questo impegno noi vediamo soprattutto l’azione dei deputati e dei senatori sardi. La discussione dell’iniziativa dovrà costituire l’occasione per riproporre all’attenzione del Parlamento, del Governo e delle forze politiche nazionali i nodi di fondo della nostra crisi e per richiamare alla coscienza di tutti il fatto che nell’intreccio delle sue radici storiche non rimosse e dei suoi termini attuali, per tanti versi drammatici — la questione sarda si pone tuttora come questione nazionale, la cui soluzione richiama la responsabilità primaria dello Stato in tutte le sue articolazioni.
Nel contempo, la definizione della nuova legge di attuazione dell’articolo 13 dello Statuto pone la necessità di un più ampio adeguamento della legislazione autonomistica, sia sul versante delle procedure della programmazione e della riforma interna della Regione, sia su quello delle stesse competenze statutarie.
Alla Regione dev’essere consentito infatti di acquisire e di esercitare effettivamente, secondo il principio del concorso con lo Stato sancito dall’articolo 13, maggiori poteri nell’indirizzo e nel controllo delle fondamentali politiche nazionali che direttamente la coinvolgono e la cui formazione avviene oggi in sedi dalle quali è completamente esclusa.
Con la nuova legge di attuazione dell’articolo 13 dovranno essere definite le sedi politiche e tecniche e le procedure idonee ad assicurare l’effettivo concorso di Stato e Regione nella definizione di programmi coordinati di intervento che abbiano l’efficacia di atti della programmazione nazionale e quindi vincolino al loro rispetto i diversi soggetti pubblici operanti in Sardegna. Tali programmi dovranno investire la tematica dello sviluppò non soltanto nei suoi aspetti economico-produttivi, ma anche sul versante della promozione della crescita sociale e culturale e dovranno essere attuati in via prioritaria dalla Regione, alla quale vanno perciò garantire congrue risorse sia finanziarie che tecniche, anche attraverso misure di regionalizzazione degli apparati operativi dello Stato, particolarmente in quei settori nei quali, per la nostra insularità, non si pongono problemi di coordinamento interregionale.
I medesimi princìpi — inquadramento nella programmazione nazionale definita con l’effettivo concorso delle Regioni; aggiuntività delle risorse; decentramento dell’attuazione — dovrebbero ispirare anche il nuovo assetto dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno.
Più volte, ed in modo molto chiaro, le forze politiche sarde hanno espresso il rifiuto di soluzioni che ripetano l’esperienza pregressa della Cassa per il Mezzogiorno.
Sinceramente non sembra di poter dire che questa sia la linea del disegno di legge appena approvato dal Governo, anche se è prudente riservare un giudizio definitivo al momento in cui esso sarà noto nei particolari. Anche le agevolazioni sui costi di trasporto per le imprese localizzate in Sardegna previste dal disegno di legge governativo, pur costituendo una misura apprezzabile, trovano un grave limite nell’esser previste per un solo triennio.
La Giunta intende riaffermare la necessità che la Cassa venga sostituita da uno strumento tecnico al servizio delle Regioni e che la politica per il Mezzogiorno non costituisca più un settore separato dell’attività di governo, ma un elemento caratterizzante dell’intera politica economica nazionale.
Ma si ritiene altresì che la specialità della nostra condizione consenta di applicare in ogni caso questi princìpi alla Sardegna.
Riteniamo cioè che le risorse e i programmi dell’intervento straordinario concernenti la Sardegna debbano essere ricondotti all’interno del piano in attuazione dell’articolo 13 dello Statuto e che debbano applicarsi quindi, anche in questo caso, le procedure e le ripartizioni di compiti che saranno definite nella legge di attuazione dello stesso articolo.
In coerenza con questo disegno, rivendichiamo l’immediato trasferimento alla Regione dei compiti concernenti il completamento degli interventi e la liquidazione delle opere in corso a seguito dello scioglimento della Cassa.
A questo proposito va detto che la Giunta valuterà attentamente la necessità — che dovesse eventualmente porsi in questa fase di transizione — di provvedere con proprie anticipazioni al finanziamento di iniziative in fase di istruttoria presso la Cassa, per evitare che la liquidazione di questa si ripercuota negativamente sull’imprenditoria locale, rischiando di soffocare quei segni di ripresa che vanno sia pur timidamente manifestandosi.
Un’altra vertenza di rilievo fondamentale, che la Giunta intende condurre con rinnovato vigore, è quella che concerne la politica delle partecipazioni statali. È questo, come tutti sanno, un modo decisivo per la Sardegna, ma anche — vorremmo dire — un fondamentale banco di prova per tutto il sistema dell’economia pubblica, le Partecipazioni statali giocano, nella partita aperta in Sardegna, i margini residui della loro credibilità, sia per le dimensioni e l’importanza strategica delle imprese da risanare, sia per la possibilità offerta loro, nelle peculiari condizioni della Sardegna, di dimostrare che l’impresa pubblica può svolgere un ruolo decisivo di impulso dello sviluppo economico e sociale.
Il confronto con il Governo sui programmi delle aziende a partecipazione statale, dopo l’episodio importante, pur con tutti i suoi limiti, della conferenza di Cala Gonone, ha segnato in questi anni un sostanziale arretramento.
Sono ampiamente insoddisfacenti gli impegni assunti dalle Partecipazioni statali per il risanamento e la ripresa produttiva dei diversi comparti e più ancora è insoddisfacente l’attuazione che di quegli impegni si va facendo; rimane drammaticamente aperto il problema del reimpiego della manodopera espulsa dalla produzione, sono stati ridimensionati quando non completamente elusi, gli impegni per il trasferimento in Sardegna delle strutture dirigenziali e dei centri di ricerca delle imprese; nessuna risposta positiva è venuta sulla decisiva questione del ruolo promozionale delle partecipazioni statali, sia per l’articolazione delle produzioni esistenti e la ricerca di forme di integrazione con la piccola e media industria locale, sia per l’impegno in settori nuovi, ad alto contenuto innovativo, da individuare in coerenza con gli indirizzi della programmazione regionale.
Certo, ci rendiamo conto dell’entità del dissesto finanziario e gestionale delle Partecipazioni statali, ma crediamo di poter chiedere a buon diritto che il prezzo del dissesto non venga accollato iniquamente alle parti più deboli del Paese. Né significa pietire assistenza: siamo convinti invece che la strada da percorrere, nell’interesse non solo della nostra regione ma del complesso dell’economia nazionale, debba essere quella del risanamento e della ripresa produttiva in una base industriale di importanza strategica per il nostro Paese.
Tanto più che ciò vale in quanto vi sono oggi segni positivi di ripresa dei mercati, in particolare nei comparti della chimica, dell’alluminio e delle fibre, per cui non trova giustificazione la strategia di tagli e di chiusure finora seguita.
Tale strategia deve essere invertita e le partecipazioni statali devono, rivedendo e coordinando i loro programmi, chiarire i loro impegni anche in termini finanziari.
La presentazione di chiari programmi è d’altra parte premessa indispensabile perché la Regione possa effettivamente confrontarsi col Governo sulla politica delle partecipazioni, dotandosi anche delle competenze tecniche necessarie per sostenere un confronto obiettivamente difficile.
Problema di significativa rilevanza nei rapporti fra Regione e poteri centrali è quello dei condizionamenti derivanti dalla forte presenza militare nell’Isola.
Il carico quantitativo dei gravami e delle limitazioni conseguenti all’uso militare del suo territorio pone la Sardegna ai primissimi posti tra le regioni italiane. Il dato, in costante crescita, ha superato ormai tetti molto rilevanti in ettari, mentre di grande ampiezza rimangono le aree marittime e terrestri e gli spazi aerei impegnati quotidianamente nelle esigenze militari.
Le servitù militari imposte a protezione e per la funzionalità degli impianti militari, l’esteso ed intenso uso dei terreni, demaniali e non, per svolgervi le esercitazioni a fuoco, la sperimentazione e dimostrazione di nuove generazioni di sistemi d’arma, determinano la specifica gravosità della presenza militare in Sardegna.
Si tratta di condizionamenti di grande rilevanza non solo rispetto alla qualità della vita ma anche, e in modo apprezzabile, per lo sviluppo economico e sociale di alcune aree geografiche.
Sarà sperimentato ogni tentativo percorribile al fine di ridurre il tradizionale e già gravoso ruolo di base addestrativa e di sperimentazione, assegnato all’Isola, contestando, nel contempo, quello di base operativa.
Si tratta in particolare di richiamare il Governo all’attuazione degli impegni assunti nella conferenza nazionale sulle servitù militari del maggio 1981. Tra questi l’adozione del piano nazionale che il Governo si impegnò a presentare, per progressive riduzioni quantitative e qualitative dei vincoli e delle limitazioni gravanti sulla Sardegna per ragioni militari (servitù e demanio). Ci fu un voto in tal senso della Commissione Difesa della Camera.
Sarà inoltre richiesta l’attuazione e precisazione della legge numero 898 del ’76 che prevede procedure di «armonizzazione», tra esigenze militari e civili, facendo in modo che le prime siano quanto più possibile rispettose delle giuste esigenze di crescita delle popolazioni.
Molto importante ancora la rivendicazione di un ruolo più ampio e politicamente impegnativo del potere regionale (con una più incisiva rappresentanza della Giunta) nel Comitato misto paritetico previsto dalla stessa legge.
Al suo interno, la Regione — con un suo ufficio apposito — deve poter fungere da reale interlocutore nei confronti delle autorità militari e da riferimento e sede di risonanza. Ma a questi progetti immediati che la Giunta proporrà al Governo, dovrà far seguito un’attenta discussione sul ruolo che si dovrà assegnare alla nostra isola nella politica di difesa del Paese.
In questo quadro dovrà promuoversi l’accentuazione, nella politica nazionale di difesa e di sicurezza, delle iniziative di pace, tese alla cooperazione con gli altri popoli, in particolare con quelli del Mediterraneo, piuttosto che la crescita degli armamenti.
Colleghi Consiglieri! Questi ai quali ho accennato sono i temi più urgenti, nel confronto con il Governo. Ma ad essi si coniugano le questioni dei rapporti complessivi e permanenti della Regione sarda con gli altri soggetti dell’ordinamento repubblicano.
L’azione della Giunta sarà diretta con decisione a stabilire più intensi collegamenti con l’intero sistema regionale, a carattere ordinario o differenziato, al fine di proporre linee di rinnovamento nei rapporti fra poteri centrali e autonomie territoriali.
Nei confronti del Governo l’intero arco delle Regioni dovrebbe rivendicare innanzitutto il completamento del disegno di attuazione costituzionale avviato con il trasferimento di funzioni alle Regioni 
stabilito con la legge numero 382 del ’75. Ciò significa specialmente battersi per l’attuazione della riforma dell’apparato centrale e periferico dello Stato e delle autonomie locali.
In questo quadro si dovrà ottenere la costruzione di un organico sistema di raccordi fra i diversi ambiti istituzionali Ciò implica da un lato una precisa definizione dei rapporti e delle linee di confine fra legislazione statale e legislazione regionale; dall’altro la fissazione di procedure e responsabilità certe nei diversi ambiti di competenza.
È necessaria, inoltre, una profonda riforma dei meccanismi di attribuzione delle risorse: l’attuale settorialismo e il carattere vincolante, della legislazione statale, hanno di fatto annullato l’autonomia programmatoria delle Regioni, ridotte a puri terminali  amministrativi. Una Regione come la nostra, a Statuto speciale, non è un mero organo di decentramento amministrativo, ma un ente 
di governo complessivo di un’isola e di un popolo.
Definizione, quindi di precise garanzie per l’autonomia legislativa, finanziaria e decisionale, delle Regioni: questa direzione di marcia dovrà proporsi agli organi di collegamento interregionali come la conferenza dei Presidenti, che, in stretto raccordo con gli organi di cui sono emanazione — Consigli e Giunte – dovranno appunto tutelare le prerogative regionali e insieme concorrere alla definizione della programmazione nazionale, in funzione di riequilibrio e di perequazione fra le diverse aree del Paese.
Occorre, insomma, che lo spartiacque tra le competenze dello Stato e quelle delle Regioni non sia più, come è stato scritto una «frontiera mobile», soggetta alla continua ridefinizione attraverso «procedimenti di carattere politico». Questa esigenza è tanto più fondata ed avvertita per le Regioni a Statuto Speciale.
Il sostanziale «abbassamento» dei relativi ordinamenti materiali, cioè effettivi, rispetto a quelli previsti statutariamente l’annullamento pratico di gran parte degli istituti «speciali» (dalla competenza legislativa primaria al diritto di partecipare a funzioni di organi dello Stato), sono tendenze che occorre invertire.
E perciò dovrà essere approfondita la riflessione, già in corso nelle cinque Regioni ad autonomia differenziata, tesa ad individuare meccanismi di tutela delle relative specifiche prerogative statutarie
Uno sforzo comune, in definitiva – distintamente con tutte le Regioni e con quelle a statuto speciale — va operato per realizzare nuove, più certe, forme di raccordo e di ripartizione di competenze con gli organi centrali dello Stato; in comune cioè, dovranno realizzarsi le regole e le garanzie, il metodo e la forma dei rapporti; distintamente, invece, ogni Regione potrà definire i contenuti della propria autonomia.
Per quanto ci riguarda, in attuazione dello Statuto esistente, noi intendiamo proporre con forza:
la immediata fissazione di procedure per gli istituti previsti dal titolo VI dello Statuto, che prevedono la partecipazione della Regione all’esercizio di funzioni statali; il coordinamento in un testo unico, e l’eventuale revisione, anche sostanziale, delle norme di attuazione statutarie precedenti, e di altre da determinare per le competenze non attivate, attraverso l’analisi delle funzioni, il loro accorpamento per settori organici e l’eventuale delega di funzioni statali strumentali ed affini.
Contestualmente dovrà costituirsi — a livello politico, secondo l’indicazione del Consiglio regionale — la Commissione Stato-Regione proposta dal Governo, per la ridefinizione dei contenuti dello Statuto sardo, a quasi quarant’anni dalla sua adozione.
L’interlocutore della Giunta e degli altri organi regionali nel corpo centrale dello Stato non sarà, però, il solo Governo: soprattutto dovrebbe prevedersi un collegamento costante con le attività del Parlamento, per garantire tanto il rispetto delle competenze legislative regionali, quanto l’efficacia delle proposte di legge e dei voti regionali alle Camere, ed in definitiva un controllo complessivo sui rapporti fra Stato e Regioni, per esempio attraverso una più intensa partecipazione di queste alla formazione del bilancio dello Stato.
Potrà rivelarsi prezioso, del resto, nel processo di definizione di nuove certezze giuridiche per l’autonomia regionale, l’arbitrato della Corte costituzionale, a cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza e decisione che non nel passato.
È importante sottolineare che è proposito della Giunta confortare gli indirizzi generali della sua azione nei confronti degli organi statali e sovrastata con le forme più ampie di consultazione dell’Assemblea e delle forze politiche e sociali.
Così come ogni ipotesi di definizione di nuove norme costituzionali che modifichino, integrino e sostituiscano disposizioni dell’attuale Statuto dovrà scaturire dalla ricerca e dal consenso più ampio delle forze politiche e dovrà essere ben chiara, il più possibile, nella coscienza sociale dei sardi.
È poi con tutta l’articolazione delle Amministrazioni statali che la Regione dovrà stabilire forme intense di collegamento, per determinare ogni scambio di conoscenze e ogni coerenza possibile per le relative funzioni: con la Magistratura ordinaria ed amministrativa, le strutture militari, quelle deputate all’ordine pubblico, quelle della pubblica istruzione, quelle relative all’energia, ai trasporti, al credito e così via.
La prospettiva della ricostruzione del territorio, delle condizioni di vita e di sviluppo, già con la nuova fase della politica di rinascita, implicano, infatti, un coordinamento di tutte le attività pubbliche dell’isola.
Fra le Amministrazioni statali assume particolare rilievo quella giudiziaria.
Nella nostra isola, oltre all’esigenza — comune a tutto il Paese — di un nuovo processo penale e civile, si pone con viva urgenza, il problema della dotazione di nuove strutture materiali, della copertura degli organici dei magistrati e dei diversi gradi dell’amministrazione, e della revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Esistono, in Sardegna, forti carenze nella stessa previsione di uffici importanti (come denuncia la richiesta di istituire a Sassari la Corte d’Appello e una sezione staccata del Tribunale Amministrativo di Cagliari, o come di fatto avviene nel caso della temuta soppressione della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti: problemi, questi, per i quali la Giunta si impegna ad adoperarsi per pervenire a soluzioni soddisfacenti) ma gravissime sono anche le carenze delle strutture già previste.
Esistono, in Sardegna, Preture da tempo «congelate», da doversi ritenere praticamente soppresse in via di fatto; ve ne sono altre, anche importanti, frequentemente rette da magistrati onorari. E la situazione è quasi altrettanto drammatica per molti tribunali dell’Isola: Nuoro, Oristano, Tempio, Lanusei, continuamente afflitti dalla piaga degli organici dimezzati e da quella di una mobilità del personale tale da non garantire un minimo di efficienza.
I magistrati, il personale, in misura limitata reclutati in Sardegna, tendono ad allontanarsene. La nostra isola viene ancora di fatto considerata «terra di punizione». Né potrebbe essere diversamente dato che sono stati situati, negli anni più recenti, ancora, nonostante le molte proteste, gli istituti carcerari più temuti, e vi sono stati convogliati i più accesi terroristi e «grandi famiglie» di esponenti della camorra e della mafia.
Sul problema carcerario questo Consiglio, nella passata legislatura, ha svolto un’indagine e ha approvato un attento ordine del giorno: le linee in esso contenute la Giunta intende attuare e sviluppare, specialmente per ciò che attiene all’assistenza ai detenuti e alle loro famiglie, alla ricerca di soluzioni per garantire loro lavoro ed occasioni di reinserimento sociale.
Occorre stimolare l’intervento riformatore dello Stato, attivare le competenze regionali e coordinare le funzioni degli Enti locali in materia, secondo le potenzialità normative attribuite con i D.P.R. numero 348; ed occorre soprattutto assumere consistenti iniziative al fine di prevenire l’insorgere dei fenomeni criminali, con particolare attenzione ai bisogni delle fasce di popolazione più emarginate ed ai giovani.
Un impegno specifico, anche sotto questo profilo, sarà a favore dei tossicodipendenti, e per contrastare la diffusione della droga.
Occorre, infine, sottolineare che la Giunta non intende intensificare i rapporti della Regione soltanto con i principali organi dello Stato, per sollecitarne l’iniziativa nei confronti dei problemi della Sardegna: è sempre più pressante l’esigenza di costruire un rapporto fra Regione e Comunità Europea più intenso e, soprattutto, più costate e consapevole.
Ciò avverrà innanzitutto attraverso la determinazione di una norma di attuazione dell’articolo 52 dello Statuto e quindi assicurando una rappresentanza istituzionale della Regione anche nella definizione delle politiche comunitarie, superando i limiti contenuti nelle precedenti norme di attuazione.
Sarà opportuno riproporre, con le altre Regioni, la definizione di un ruolo consistente per la conferenza Stato-Regione sui rapporti comunitari, tenendo conto anche dell’attualità delle proposte della Commissione Giannini al riguardo.
Occorrerà poi garantire una presenza attiva dell’istituto regionale nel Comitato consultivo delle istituzioni regionali e locali, per ampliarne i poteri e il grado di rappresentatività nei confronti degli organi comunitari; e far progredire, attraverso l’azione di quel comitato, la proposta di una Camera europea delle Regioni.
Si intende poi partecipare costantemente alle iniziative del Consiglio d’Europa per la cooperazione fra le regioni europee, specialmente se di nostro specifico interesse, come quelle della conferenza delle regioni periferiche e marittime, e delle regioni insulari.
A livello regionale sarà avviata l’attività della Consulta regionale per i problemi comunitari, e saranno create particolari strutture conoscitive e di gestione, nella materia, all’interno dell’Amministrazione regionale, nel quadro della sua complessiva riforma. Poiché una profonda riforma della Regione va attuata con urgenza: sarà questo uno dei fatti di specifica caratterizzazione innovativa di questa Giunta.
Se infatti la Sardegna ha da avanzare riserve critiche nei confronti delle strutture centrali dello Stato e, soprattutto, nei confronti della storica «distrazione» dei Governi che si sono succeduti, per i problemi della Sardegna, nondimeno dobbiamo riconoscere che molte delle responsabilità dell’attuale stato di crisi sono da attribuire al poteri locali, a come la Regione ha operato in tutti questi anni, alla struttura che si è data.
È opportuno indicare, in estrema sintesi, i termini in cui si è posta, nei tempi più recenti, la questione della crisi della Regione, nei suoi aspetti istituzionali.
Fra elementi che hanno caratterizzato in modo positivo la prima parte della passata legislatura è certamente da annoverare il dibattito (dalla cosiddetta «Bozza Soddu» alle dichiarazioni programmatiche del presidente Rais) particolarmente vivace sulla crisi dell’Istituto autonomistico, teso, in buona sostanza, a ripensare criticamente la posizione della Regione sarda all’interno del nostro sistema politico — costituzionale. Il dibattito ha toccato, in quella occasione, due aspetti della nostra autonomia speciale:
il primo ha riguardato i rapporti che si sono venuti storicamente realizzando fra la Regione Sardegna e lo Stato e più specificatamente il significato ed il ruolo concretamente assunti dalle Regioni ad autonomia differenziata all’interno della nostra organizzazione costituzionale;
il secondo ha invece riguardato i poteri interni alla Regione e in particolare la ripartizione del potere fra l’apparato amministrativo dell’ente Regione e la rete delle autonomie locali sub-regionali.
Per quanto riguarda il primo dei due momenti appena ricordati è necessario riconoscere che — come più volte sostenuto — la posizione di specialità costituzionale garantita alla Regione sarda ha finito per assumere aspetti sostanzialmente negativi. Emblematica in questo senso è la vicenda delle norme di attuazione dello Statuto con cui, nel 1975 e nel 1979, la Regione sarda — rinunciando a rivendicare nei confronti del Governo il pieno ed integrale trasferimento di quei poteri particolari e specifici che sostanziano lo Statuto speciale — ha finito per ottenere che fossero trasferiti gli stessi poteri che le Regioni a Statuto ordinario avevano rispettivamente ottenuto nel 1972 e nel 1977.
Perciò, secondo quanto già accennato, è necessario un primo impegno non solo di questa Giunta, ma, riteniamo, di tutte le forze politiche, per un’immediata, integrale e definitiva attuazione dello Statuto speciale. È cioè indispensabile che la Regione possa finalmente ottenere l’effettivo esercizio di quelle particolari competenze (industria, commercio, ordinamento degli enti e delle aziende di credito, a titolo di esempio), che continuano ad essere in gran parte gestite dà centri di potere pubblici e privati ai quali resta sostanzialmente affidata buona parte della politica economica regionale.
Per quanto riguarda il secondo aspetto (secondo ma non per ordine di importanza), occorre subito precisare che l’integrale attuazione dello Statuto non è di per sé sufficiente per il rilancio della politica del cambiamento chiaramente proposta dai risultati delle ultime consultazioni elettorali.
La Giusta rivendicazione di un nuovo e diverso rapporto della Regione nei confronti dello Stato deve infatti radicarsi nella partecipazione attiva e dinamica dell’intero sistema delle autonomie locali. La Regione deve impegnarsi perché siano finalmente costruite forme nuove ed originali di democrazia politica che vedano riconosciuti, esaltati, ed accresciuti il ruolo ed i poteri di tutte le assemblee elettive. È in altre parole necessario ribaltare quella situazione di «impermeabilità» che in Sardegna — secondo il tradizionale modulo statale dell’accentramento — ha sempre caratterizzato i rapporti fra l’amministrazione regionale e le autonomie locali.
Da questa premessa occorre far discendere un disegno globale di rinnovamento istituzionale che passa attraverso tre fasi intimamente collegate fra loro:
– ridefinizione dei rapporti Giunta-Consiglio regionale e precisazione di rispettivi ambiti di competenza;
– individuazione di un convincente livello intermedio di governo;
– ristrutturazione del sistema delle autonomie locali.
La distinzione di ruoli fra Giunta e Consiglio deve innanzitutto passare attraverso l’eliminazione dei compiti di co-amministrazione che la recente e meno recente legislazione regionale ha attribuito al Consiglio ed alle sue Commissioni permanenti, con particolare riguardo a qualsiasi forma di «intesa preliminare», fra Giunta e Commissioni medesime. Al Consiglio quindi compete la determinazione dell’indirizzo politico generale e l’esercizio effettivo dell’attività di controllo sull’operato della Giunta. Più precisamente: l’approvazione degli atti legislativi, l’indirizzo generale politico-amministrativo, gli atti di programmazione, l’approvazione degli atti di programmazione degli enti strumentali, il controllo sui risultati conseguiti.
Alla Giunta va invece ricondotto il potere di iniziativa, onde far risaltare e pesare la sua responsabilità politica, con una serie di strumentazioni idonee a garantire incisività ed efficacia ai suoi interventi. L’esaltazione della «collegialità» della Giunta va tenacemente perseguita soprattutto nelle determinazioni più squisitamente politiche e di alta amministrazione.
È necessario liberare la Giunta da una serie di incombenze di non rilevante contenuto discrezionale (per attribuire alla dirigenza burocratica) ed articolarne la struttura in dipartimenti, per settori organici di materie, attribuendo ai rispettivi comitati interassessoriali da un lato poteri decisionali, dall’altro compiti di approfondimento preparatorio e tecnico-scientifico per le definitive determinazioni dell’organo collegiale.
In questo quadro va inserita la globale revisione della legge regionale numero 1 del ’77, avendo come obiettivo fondamentale la ricomposizione e la riaggregazione delle singole funzioni all’interno dei settori materiali da attribuire alla competenza del Presidente e degli Assessori. A questa ipotesi di struttura dipartimentale della Giunta è necessario, conseguentemente, rapportare l’organizzazione degli uffici, e della presidenza e dei singoli assessorati, in modo tale che la programmazione sia metodo usuale dell’esercizio dell’attività di governo.
Un particolare organismo di raccordo tra l’attività legislativa del Consiglio e l’azione della Giunta quale organo di governo occorre istituire nel settore dei rapporti Regione-Stato-CEE. Si vedrà nel concreto come questo settore organico potrà essere articolato, ma fin d’ora si può dire che l’attuale situazione è insostenibile: basti la considerazione che i principali destinatari dei flussi finanziari della Comunità sono gli enti regionali, che però di fatto non accedono ai fondi.
Occorre maggiore informazione e maggiore operatività, in proposito, sia all’interno della Regione nel suo complesso, sia nei rapporti tra Regione ed operatori economici; e per questo, anche a prescindere dalle modifiche già prefigurate alle norme di attuazione in proposito, occorre stabilire dei raccordi operativi, anche informali tra la nostra Amministrazione e quella della Comunità europea.
Ma è necessario precisare come si intende riformare, nel suo complesso, l’organizzazione interna della Regione.
In armonia con un’amministrazione regionale che esercita prevalentemente funzioni normative, di programmazione, coordinamento e controllo, occorre conformare un’adeguata articolazione dei poteri locali.
In questo senso è prioritaria l’individuazione di un solo livello di governo intermedio fra Comuni e Regione, al quale vanno attribuiti prevalentemente compiti di programmazione socio-economica e territoriale (assetto ed utilizzazione del territorio, urbanistica, trasporti e comunicazioni, tutela dell’ambiente, servizi sociali e culturali, credito, attività produttive, mercato del lavoro).
Questo perché, dimostratisi scarsamente operativi gli organismi comprensoriali istituiti con la L.R. n. 33/75, si rendono necessarie soluzioni più incisive per coordinare le attività economiche e i problemi territoriali su area vasta, di livello sub-regionale.
Pur senza voler sin d’ora indicare soluzioni definitive in proposito, considerando utili le proposte formulate unitariamente nell’ordine del giorno del Senato del 9 maggio 1984, si ritiene di dover sottolineare l’opportunità di valorizzare, in questa prospettiva, il grande patrimonio di esperienze amministrative, professionali e teniche presente nelle attuali Province; e, pertanto, l’opportunità di recuperare tali capacità nelle nuove sedi intermedie di governo.
Occorrerà, a questo fine, prefigurare circoscrizioni più numerose delle Province già esistenti, ma sensibilmente meno numerose dei comprensori; la proposta, formulata dall’Unione delle Province sarde, di individuare in Sardegna sette province — enti intermedi — sembra rispondere ad una corretta considerazione delle regioni storiche dell’isola e sul territorio dei principali aggregati urbani. Questa è, tuttavia una scelta che andrà definita dopo attenti approfondimenti.
A queste «nuove» sette entità potranno inoltre essere trasferite tutte le competenze (ed i relativi mezzi finanziari) oggi esercitate da enti, organismi ed uffici privi di rappresentatività democratica, ad eccezione di quelle che possono e devono essere devolute ai Comuni ed alle loro associazioni.
Venendo quindi all’individuazione, del ruolo da assegnare — all’interno del complessivo processo ai riforma della Regione ordinamento — al sistema delle autonomie locali, la Giunta vuole ribadire (quanto in altre sedi autorevolmente affermato) che, cito tra virgolette, «il Comune è l’ente politico ai fini generali cui spetta la cura di tutti gli interessi che direttamente o indirettamente emergono al proprio livello; decentrato nei quartieri ed associato ad altri Comuni deve rappresentare l’elemento di base fondamentale per lo sviluppo della vita economica sociale e civile: l’unico ente in grado di coniugare insieme il massimo di efficienza con il massimo di democrazia».
Tale affermazione sulla centralità del ruolo delle amministrazioni comunali trova un puntuale e persuasivo riscontro nelle ultime norme di attuazione statutaria le quali hanno radicalmente rovesciato il modello organizzativo che era finora prevalso nella Regione ed hanno scelto di potenziare la capacità d’azione dell’intera rete delle autonomie locali a base elettiva, affidando loro, per la prima volta, scelte e decisioni politicamente significative in numerosi settori organici di materie.
Il decreto 348 si è inoltre preoccupato di ripartire direttamente compiti e ruoli fra i livelli di governo locale, affidando alla Regione il potere di riorganizzare, programmare e coordinare l’esercizio delle funzioni, mentre ai Comuni è stata affidata la gestione operativa e l’organizzazione concreta dei servizi e degli interventi.
La Giunta intende estendere e rafforzare le scelte di politica istituzionale presenti nel D.P.R. 348; è perciò suo intendimento realizzare nel più breve tempo possibile l’integrale riordino ed il più ampio riaccorpamento di tutte le funzioni di competenza regionale, individuando nel contempo un’esatta e soddisfacente ripartizione di compiti e di ruoli fra i diversi livelli di governo coinvolti nella gestione dei diversi settori materiali di intervento.
Compiuta questa prima fondamentale fase di riordino e di riorganizzazione delle funzioni, la Giunta si farà carico di trasferire — attraverso apposite leggi di delega, così come prescritto dall’articolo 44 dello Statuto speciale — il più cospicuo numero di funzioni e poteri alle amministrazioni comunali ed alle loro associazioni.
È tuttavia bene precisare che la delega di funzioni ai Comuni non può essere concepita ed utilizzata né come un modo generico per ampliare in modo disorganico le competenze dei Comuni né come un mezzo attraverso cui decongestionare gli uffici dell’Amministrazione regionale, ma bensì come lo strumento attraverso cui realizzare una coerente e razionale programmazione regionale.
Le leggi di riordino e di delega vanno anche considerate come momento per aprire i Comuni ad una gestione più partecipata ed aperta all’intervento della società nelle istituzioni. Sarà a questo proposito necessaria un’attenta analisi delle più opportune procedure amministrative da predisporre per garantire, ad ogni livello d’esercizio delle funzioni, una corretta rappresentanza di interessi diffusi e individuali di categorie e forze sociali.
Nel complessivo riordino istituzionale così prefigurato occorrerà però prendere realisticamente atto che funzioni sicuramente appartenenti all’area comunale dovranno essere esercitate a livello sovracomunale per le loro caratteristiche materiali, tecniche ed economiche: solo così sarà infatti possibile garantire ed assicurare prestazioni e servizi immediatamente apprezzabili dagli utenti.
Dovrà quindi essere l’associazione fra Comuni il referente privilegiato e quasi obbligatorio della Giunta regionale associazione — è bene sottolinearlo — a vocazione polifunzionale, dove (anche se su questo problema occorrono più approfondite riflessioni) ricondurre e ricomporre le troppe entità organizzative oggi esistenti (organismi comprensoriali, Comunità montane, Distretti scolastici, USL, Consorzi di bonifica. Enti provinciali per il turismo, Camere di Commercio, ecc.).
Questa nuova organizzazione istituzionale comporta necessariamente la revisione e la ristrutturazione dei servizi comunali; a tal fine la Giunta si impegna a promuovere — insieme agli organismi rappresentativi delle collettività locali — un confronto con il potere centrale al fine di rimuovere i condizionamenti che impediscono ai Comuni una migliore definizione del loro assetto organizzativo.
Questo nuovo modo di delineare i rapporti fra la Regione ed i poteri locali, questa possibile lettura dell’autonomia speciale come «diverso modo di esercizio dei poteri» comporta, fra tanti risvolti, anche l’esigenza di rivedere il sistema dei controlli sugli atti degli enti locali introducendo il controllo eventuale e successivo sugli atti di minore rilevanza, eliminando quello sugli atti meramente esecutivi di provvedimenti già sottoposti al controllo preventivo e, infine, garantendo professionalità ed imparzialità — mi pare molto importante — degli organi di controllo selezionandone i componenti soprattutto tra soggetti in possesso di specifici requisiti sia di collaudata esperienza amministrativa sia di carattere professionale in materie giuridiche, economiche e finanziarie, così come indicato nel citato ordine del giorno del Senato.
Un programma di rinnovamento istituzionale di così ampio respiro implicherà una revisione dell’intero sistema della legislazione regionale, anche per i settori d’intervento sostanziale: dovrà pervenirsi alla costruzione di un corpo organico di testi unici realmente a contenuto normativo, lasciando cioè le previsioni di dettaglio e di minuta procedura alla più pertinente sede regolamentare; e dovrà operarsi una accurata ricognizione dell’effettiva attuabilità delle norme, sia per gli aspetti sostanziali che per quelli relativi agli strumenti d’attuazione, attraverso la cosiddetta verifica sulla relativa «copertura amministrativa».
È evidente, anche per quanto appena detto in tema di copertura amministrativa delle leggi, che il disegno globale di rinnovamento istituzionale e sostanziale deve poggiare innanzitutto su una diversa politica del personale dell’Amministrazione.
In una Regione burocraticizzata ed inaridita da decenni di pratiche gestionali occorre, in esecuzione di tale disegno, procedere ad una profonda riconversione professionale del personale regionale verso modalità e metodi di governo e programmazione; ed in primo luogo occorre ricostruire una «mentalità di servizio» che in una Regione profondamente rinnovata ponga la futura classe dirigente (e non solo questa) in grado di rispondere con prontezza ed efficacia alle domande ed ai bisogni della collettività.
Economia, programmazione, informatica, tecniche dell’organizzazione del lavoro devono costituire le basi della preparazione professionale. Corsi di qualificazione, riqualificazione ed aggiornamento devono diventare metodo usuale per far risaltare ed insieme accrescere le potenzialità sicuramente presenti.
E nel brevissimo periodo occorre dare immediata esecuzione al regolamento sui servizi e settori conferendo gli incarichi di direzione e coordinamento di tali strutture e contestualmente predisporre gli atti legislativi o di natura contrattuale (secondo lo spirito delle leggi quadro sul pubblico impiego) per l’esatta individuazione dei compiti, degli ambiti di attività, delle competenze e prerogative dei dirigenti.
La Giunta ritiene che siano maturi i tempi perché Presidente e singoli assessori dedichino la maggior parte del loro tempo alla «progettualità» dei singoli rami dell’amministrazione, affidando tutta intera alla dirigenza la responsabilità in sede di adozione dei provvedimenti amministrativi anche di quelli a contenuto parzialmente discrezionale.
Tale atteggiamento, oltre che essere funzionale al modello di governo che intendiamo perseguire, si propone di far partecipare e coinvolgere consensualmente il complesso dell’apparato burocratico, convinti — come siamo — che il personale non possa essere una variabile indipendente dai processi di riforma istituzionale. Il consenso del personale sarà fondamentale nel processo di riforma, per garantire efficienza e correttezza amministrativa.
Efficienza e correttezza dovranno, del resto, essere garantite attraverso la fissazione di procedure interne, per esempio per determinare la massima accelerazione della spesa e una reale certezza giuridica nei rapporti fra Amministrazione e cittadini e a questo fine potrà essere utile la creazione del cosiddetto «difensore civico» e dovrà assicurarsi una effettiva trasparenza di ogni fase della gestione.
Prima ancora di dare vita alle politiche delle riforme, colleghi consiglieri, occorre con decisione e fermezza rimettere in sesto la macchina burocratica adottando i provvedimenti e le decisioni per eliminare gli sprechi, semplificare prassi obsolete e defatiganti, ricercando metodologie di lavoro improntate alla collaborazione reale fra gli uffici.
Prioritario è quindi l’impegno in questa direzione affinché il cittadino abbia con la Regione non solo risposte adeguate ma, e soprattutto, certezza di risposte in tempi credibili.
Fra i problemi non più procrastinabili emerge quello della dislocazione degli uffici regionali sia in sede periferica, sia in sede centrale. L’attuale dislocazione in vari punti della città di Cagliari crea enormi difficoltà alle stesse strutture dell’amministrazione per i contatti necessariamente continui fra le stesse con costi difficilmente quantificabili.
Ma accanto a questi costi vi è anche da sommare il disagio di cittadini ed amministratori locali costretti a continui e defatiganti spostamenti.
Si segnala inoltre che la spesa per gli affitti di locali ammonta per l’anno in corso a 1.200 milioni, cifra che ad esempio potrebbe essere meglio utilizzata per far fronte alla rata annuale di ammortamento di un considerevole mutuo con cui acquistare o costruire uffici regionali che consentano l’accorpamento delle diverse attuali sedi (più di 12 nella sola città di Cagliari).
?rovvedi-misura di carattere strutturale, derivanti dalla condizione di insularità, dalle esigue dimensioni del mercato interno, da una secolare storia di sottrazione delle risorse naturali ed umane, da un’altrettanto secolare lontananza dell’isola dai processi di modernizzazione dell’economia e della società.
È indubbio tuttavia che questa storica dipendenza è stata rafforzata dal perseguimento, negli anni ’69 e ’70, di un modello di sviluppo che si concentrava sull’impianto in Sardegna di industrie di base, che avrebbero dovuto fungere da poli di espansione della crescita.
Rispetto a questo modello l’Ente Regione, sostanzialmente privo di strumenti di controllo, si è limitato spesso ad assecondare e talvolta a subire scelte nazionali nelle quali in realtà gli interessi delle grandi imprese prevalevano sugli obiettivi dello sviluppo regionale. Vero è che il sistema economico isolano ha realizzato, tra il 1960 e il 197S, un elevato saggio di sviluppo, come conseguenza del consistente flusso di capitali esterni. Ma l’interruzione di quel flusso (contemporanea ad una congiuntura negativa nazionale ed internazionale, iniziata dopo il 1977 e da cui l’Italia non si è ancora ripresa), ha rilevato la debolezza e la vulnerabilità della struttura economica regionale: si è così interrotto il processo di accumulazione e si è verificata una fortissima crescita della disoccupazione.
Per non riprodurre la unilateralità e l’intrinseca fragilità del vecchio modello di sviluppo, senza d’altra parte affidarsi ad un’improbabile strategia di crescita tutta e solo poggiata sull’espansione delle cosiddette risorse locali, la fase nuova dovrà basarsi su una strategia di sviluppo integrato ed equilibrato dell’economia regionale.
Integrazione, innanzitutto, tra economia sarda e mercati internazionali, poiché solo attraverso la conquista di mercati più ampi di quello isolano è possibile accrescere la produzione e il tessuto imprenditoriale; integrazione fra risorse locali e capitali esterni, in quanto il meccanismo dello sviluppo può riprendere soltanto grazie ad una forte spinta che deve provenire dalla solidarietà nazionale e dall’impiego delle risorse locali; integrazione fra intelligenze e capacità professionali isolane e acquisizione di conoscenze tecnologiche esterne.
Una strategia di sviluppo integrato significa anche assicurare un’equilibrata diffusione territoriale dei processi di crescita economica, contrastando le tendenze alla polarizzazione ed all’emarginazione progressiva delle aree svantaggiate dell’isola.
Per realizzare questa strategia serve, colleghi del Consiglio, innanzitutto un’autonomia regionale più forte, che disponga di effettivi poteri di intervento, coordinamento e controllo nel campo dell’economia e che sappia farne buon uso.
Serve un’autonomia regionale che sia in grado di contrattare con Io Stato, nel quadro della politica economica nazionale — della quale certo non ignoriamo né sottovalutiamo i vincoli — le linee di una programmazione economica che sia capace di ricondurre in un quadro organico il complesso delle politiche attuate in Sardegna dal potere pubblico a tutti i livelli: dagli interventi dello Stato a quelli delle aziende a capitale pubblico a quelli della Cassa per il Mezzogiorno.
È necessario cioè, coordinando l’utilizzo dei flussi finanziari di diversa provenienza (CEE, Stato, Regione), creare condizioni favorevoli sia all’afflusso di significativi investimenti esterni, sia alla ripresa dell’accumulazione interna, utilizzando a tal fine anche forme di incentivazione nuove e comunque realmente aggiuntive rispetto agli ordinari interventi statali.
Ciò richiede il superamento dell’attuale situazione, caratterizzata dalla temporaneità e dalla mancata aggiuntività dell’intervento straordinario, sia della Cassa per il Mezzogiorno che del Piano di Rinascita, e dalla sottrazione alla Regione della possibilità di influire sulle fondamentali scelte di politica economica che direttamente la investono.
La Regione deve, invece, essere posta in condizioni di concorrere — con la sua specificità e con i suoi autonomi strumenti alla definizione della programmazione nazionale ed al governo reale dell’economia isolana.
Ma per ottenere ciò non è sufficiente la rivendicazione di un diverso rapporto con lo Stato, di maggiori risorse e poteri, ma è altresì necessario che la Regione si dimostri in grado di gestire i suoi spazi di competenza e di responsabilità.
L’affermata centralità della programmazione come metodo ordinario di governo si è scontrata, nei fatti, con lentezze e macchinosità di procedure che devono essere rimosse, ma anche con fenomeni di rigetto di questo corpo, che risulta estraneo rispetto ad una prassi di governo basata sulla discrezionalità e incline a costruire il consenso attraverso politiche assistenziali.
È necessario dunque rivalutare la programmazione, intesa certo non in senso vincolistico, aggiornando il Piano generale di sviluppo, definendo nel suo ambito l’articolazione temporale delle diverse politiche e la loro quantificazione finanziaria; adottando sistematicamente metodi di valutazione dell’efficacia economica dei progetti e della loro fattibilità amministrativa; costituendo un Ufficio del Piano dotato del massimo livello di competenze.
Nell’attuale situazione economica è possibile notare qualche segno di ripresa a giudicare dalla crescita del prodotto interno lordo e del valore aggiunto del settore industriale nei primi mesi del 1984. Il nostro sistema produttivo, seppure in una situazione sfavorevole, si muove autonomamente lungo queste direttrici:
la presenza di un tessuto di piccole e medie imprese manifatturiere che, ancorché fragile, tenta di reagire alla crisi anche attraverso l’introduzione di innovazioni tecnologiche e gestionali, la ricerca di nuovi mercati ed il tentativo di sostituire il flusso delle importazioni;
la domanda in diversi settori, sia produttivi che del terziario e dei servizi, di forza lavoro altamente qualificate;
il tentativo, da parte di alcuni settori della forza lavoro inoccupata o messa fuori dalla produzione, di dar vita ad autonomie iniziative imprenditoriali o professionali anche in forma associata.
A fronte di questi segni positivi permangono però le gravissime difficoltà delle industrie di base, la stagnazione in alcuni comparti tradizionali (fra cui in primo luogo l’agricoltura e l’edilizia) e soprattutto il dato drammatico della disoccupazione.
In particolare quest’ultimo fenomeno, che colpisce tutti i sistemi capitalistici dell’Europa occidentale e con maggiore gravità l’Italia, ha superato in Sardegna ogni livello di guardia, creando problemi economici e sociali, forse non facilmente controllabili se ad esso non si pone immediato rimedio.
Il compito che ci attende è tuttavia estremamente complesso, poiché la disoccupazione non è solo il risultato della caduta dell’accumulazione, ma anche di processi di ristrutturazione e riconversione produttiva e tecnologica, come dimostra il fatto che nell’attuale fase di leggera ripresa, alla crescita degli investimenti si accompagna un continuo aumento del numero dei disoccupati.
Ma il dato più preoccupante è costituito dallo scompensato rapporto fra la crescita naturale delle forze di lavoro nell’isola e l’offerta di occupazione: è prevedibile, secondo i più aggiornati studi: che entro il 1991 altri 80.000 giovani saranno presenti sul mercato del lavoro.
È evidente perciò che, se sono necessarie misure urgenti per affrontare l’emergenza, occorre nel contempo impostare una strategia di più ampio respiro, che agisca sui condizionamenti strutturali del sistema economico regionale e costituisca condizioni idonee alla ripresa dell’accumulazione delle imprese.
A questa linea di intervento per lo sviluppo del sistema produttivo, che è così necessario, ma non sufficiente a sostenere l’incremento della pressione occupativa, occorre infine affiancare una politica di espansione dell’occupazione — ed in particolare di quella qualificata — nei servizi pubblici.
Non è questa, come si potrebbe temere, una linea di generico assistenzialismo, fondato sulla creazione artificiosa di posti di lavoro improduttivi.
Si tratta invece di una scelta di investimenti sulla qualità dell’ambiente e della vita, intanto perché vi sono, nella nostra Regione, carenze e ritardi gravissimi nella dotazione di servizi anche primari, ma anche perché investire in servizi — a condizione che lo si faccia senza sprechi e parassitismi — significa investire in cultura; significa, in fin dei conti, favorire la creazione di un ambiente idoneo per lo stesso sviluppo economico.
ROJCH (D.C.). Quali servizi, Presidente?
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Nelle politiche di settore troverà le risposte a questo particolare. Temo di essere stato anche troppo analitico finora.
ROJCH (D.C.). Presidente, volevo dire che è facile investire nei servizi e negli uffici. Si tratta di stabilire quali servizi.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. È questa la sfida e l’impegno.
MURRU (M.S.I.). Sappiamo che gli enti pubblici sono impinguati più del doppio degli organici necessari.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Forse non ci siamo capiti. Io sto parlando di servizi non soltanto di assumere personale, ma di dare a questo personale un ruolo ed un’attività al servizio della comunità dei sardi; servizi che oggi in larga misura mancano e che possiamo inserire nel contesto delle attività civili della nostra Regione. Evidentemente non ci siamo capiti.
Signor Presidente, colleghi consiglieri! La Giunta intende affrontare con decisione i nodi storici che influiscono direttamente sul processo produttivo isolano. Ci riferiamo ai problemi mai risolti dei trasporti, del credito e dell’energia.
In materia di trasporti è necessario innanzitutto impegnare lo Stato a concreti interventi nel quadro di un progetto organico diretto a realizzare il principio della continuità territoriale, come garanzia di una reale parità con il resto del Paese nelle condizioni di trasporto, interne ed esterne, sia sotto il profilo funzionale che sotto quello tariffario.
In tale ambito devono essere potenziati i collegamenti marittimi e aerei con il continente. Nelle linee gestite dalla Tirrenia e dalle FF.SS. si deve applicare un sistema tariffario unico per passeggeri e auto al seguito.
Per le merci si deve introdurre un contributo sulle tariffe ordinarie per le imprese che esportano beni finali dalla Sardegna e per quelle che importano materie prime e semilavorati.
Nella determinazione di tale contributo è necessario tener conto dell’influenza sui costi di trasporto anche degli oneri portuali.
La Regione deve operare perché la società concessionaria dei collegamenti marittimi dovuti fra la Sardegna e il continente abbia sede sociale nell’isola, sia diretta da un consiglio di amministrazione nominato dalla Regione in concorso con lo Stato, ricorra per le nuove assunzioni all’ufficio di collocamento marittimo da istituire in Sardegna e stipuli contratti di fornitura, di preferenza, con le imprese locali.
Elemento decisivo della funzionalità dei trasporti marittimi e aerei è anche la garanzia della loro regolarità.
Troppe volte questa è stata compromessa da agitazioni sindacali, motivate sia da inadempienze e rigidità contrattuali delle aziende o del Governo, sia dalla presenza, tra gli addetti ai trasporti, di gruppi che, piegando il diritto di sciopero ad un uso irresponsabile e talvolta apertamente ricattatorio, costituiscono un pericolo per lo stesso movimento sindacale.
La Giunta regionale valuterà a tal fine le iniziative da assumere per restituire certezza ai flussi di traffico — quanto meno quelli essenziali perché non ne risulti danneggiata l’economia sarda nella sua globalità — fra l’Isola ed i porti di terraferma.
In questa prospettiva auspica vivamente che prevalga il senso di responsabilità e di prudenza della maggior parte dei lavoratori e che, con l’affermarsi di una cosciente autodisciplina da un lato e di una costante disponibilità negoziale dall’altro, siano evitati alla Sardegna danni che potrebbero essere assai gravi.
Le Amministrazioni dello Stato e delle Aziende autonome devono completare le opere previste e finanziate per i porti sardi, ivi compreso il porto-canale di Cagliari, nonché le opere di rettifica, ampliamento e ammodernamento della rete ferroviaria e stradale.
Dovrà essere tempestivamente conclusa la predisposizione del piano regionale dei trasporti, strumento indispensabile sia per fornire alla Regione gli elementi conoscitivi e programmatici necessari a sostenere il confronto con il Governo, sia per fornire un quadro di coordinamento, basato su valutazioni obiettive, agli interventi di diversa competenza concernenti il necessario potenziamento della viabilità e dei trasporti interni. In questo quadro saranno studiate le possibilità di utilizzare gli scali esistenti per realizzare una rete aerea di terzo livello e sarà perseguito il rafforzamento dei collegamenti con le isole minori.
In materia di credito occorre stabilire un collegamento tra la politica delle aziende bancarie e creditizie e lo sviluppo economico e produttivo dell’isola, affermando la funzione di indirizzo del potere regionale. A tal fine si deve ottenere l’emanazione delle norme di attuazione dell’articolo 4, lettera b), dello Statuto ed in prospettiva, di nuove disposizioni statutarie in proposito, per far si che l’istituto autonomistico possa anche controllare e orientare l’attività creditizia in Sardegna.
ROJCH (D.C.). C’è già; il Banco di Sardegna ha già tassi inferiori.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Non direi. Dalla consultazione che il Presidente ha fatto con i direttori delle banche è risultato esattamente il contrario, onorevole Rojch.
ROJCH (D.C.). Il Banco di Sardegna fa tassi inferiori.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Il Banco di Sardegna non è l’unico operatore bancario presente nell’isola.
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BARRANU (P.C.I.). È strano che non se ne siano accorti gli imprenditori che su queste cose sono molto attenti.
ROJCH (D.C.)- Presidente, è più importante ciò che ha detto sui trasporti. Quei problemi vanno affidati ad un assessore tecnico, immagino!
PRESIDENTE. Onorevole Presidente, la prego di riprendere la parola e prego i colleghi di non interrompere ulteriormente.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Gli obiettivi da perseguire immediatamente sono essenzialmente questi:
disponibilità di credito a tassi di interesse almeno uguali a quelli medi nazionali;
particolari facilitazioni per gli artigiani, le piccole e medie imprese ed i settori specificatamente indicati dalla programmazione regionale;
riduzione della forbice tra depositi ed impieghi, ponendo fine all’esportazione dei risparmi dei sardi;
riforma delle Casse comunali di credito agrario, al fine di garantire un ruolo attivo ed autonomo, fortemente collegato con le economie locali.
Il sistema energetico regionale si trova attualmente a livelli di mera sussistenza, anche se questo fatto è stato finora mascherato dalla stagnazione dell’industria di base. È comunque necessario modificare tale situazione, per garantire alla ripresa produttiva una base energetica affidabile.
A tal fine occorrerà elaborare in tempi rapidi precise valutazioni sullo stato e le prospettive del fabbisogno energetico regionale. Linee portanti della politica della Giunta in questo settore dovranno comunque essere l’utilizzo del carbone del Sulcis per la produzione di energia elettrica: il completamento degli impianti termoelettrici.
Si dovranno inoltre sollecitare l’ENEL e l’ENEA ad estendere la sperimentazione di energie alternative, per le quali la Sardegna dispone di favorevoli condizioni climatiche.
Questione di particolare rilievo, infine, è quella della politica tariffaria. Va richiamata l’attenzione del Governo sulla opportunità che la Sardegna non venga penalizzata a causa dell’esclusione dal programma di metanizzazione del Mezzogiorno. Particolari ed incisive misure dovranno essere adottate per garantire alla Sardegna condizioni di parità con le altre aree del Mezzogiorno investite dal programma di metanizzazione.
Signor Presidente, colleghi consiglieri! Se l’insularità costituisce per tanti aspetti, come si è detto, un condizionamento obiettivo allo sviluppo, tuttavia la naturale collocazione della Sardegna al centro del Mediterraneo ne fa potenzialmente un nodo di traffici e relazioni, un possibile punto di concentrazione di investimenti e di intraprese di diversa provenienza.
Dalla consapevolezza di queste possibilità ha ripreso forza in questi ultimi anni un dibattito particolarmente vivace per l’istituzione in Sardegna di una zona franca, questione presente nella cultura politica sarda da quasi un secolo, che ha prodotto tracce anche nello Statuto vigente.
Un tale progetto comporta essenziali approfondimenti, che dovranno fondarsi su precise valutazioni dei diversi effetti derivanti dall’introduzione di tale misura fiscale e doganale.
Va comunque sottolineato come l’incentivazione derivante dal regime di franchigia dovrà privilegiare le produzioni garantendo così l’ampliamento della base occupativa, la crescita del reddito, i conseguenti processi di accumulazione di capitale ed il conseguente formarsi di meccanismi autopropulsivi dello sviluppo. Si pensa infatti che un sistema di esenzioni volto esclusivamente o prevalentemente a favorire i consumi finirebbe con l’accrescere la dipendenza dell’Isola dall’esterno impoverendone le consistenze finanziarie.
Si dovranno in seguito anche definire i modi in cui collegare le decisioni sull’attuazione del nuovo sistema di esenzioni agli indirizzi della programmazione regionale.
Per un progetto di così vasta portata la Giunta si impegna perciò a definire rapidamente, con il più ampio contributo di competenze scientifiche e la massima apertura al confronto con le forze politiche e sociali, un progetto di fattibilità di un regime di franchigie doganali in Sardegna.
Si ritiene, comunque, necessario sollecitare per la Regione, in caso di soluzione positiva di questo problema, la delega delle competenze in questa materia dal Ministro delle Finanze.
Alle politiche miranti a ridurre i condizionamenti storici, di cui si è appena trattato, è indispensabile affiancare interventi che stimolino la ripresa del processo di accumulazione delle imprese locali.
A tal fine è necessario innanzitutto rivendicare da parte delle imprese pubbliche operanti in Sardegna, come già si è detto, un impegno volto non soltanto al risanamento delle industrie di base, ma anche alla loro verticalizzazione ed integrazione con le imprese locali ed alla promozione di nuove iniziative in settori trainanti.
È necessario inoltre impegnare il capitale pubblico nella creazione di infrastrutture e di economie esterne, nel miglioramento degli assetti civili, nell’impegno in settori «locali», per esempio: costruzioni, allevamento, forestazione e turismo. È vero che, nella maggior parte di questi settori, la produttività degli investimenti è generalmente bassa, ma lo sviluppo di esso costituisce un prerequisito della crescita economica e pertanto una condizione irrinunciabile. Inoltre, se opportunamente coordinato, un intervento pubblico massiccio in questi settori può costituire il momento di spinta per la messa in moto di effetti moltiplicativi e accelerativi che, alimentati per un periodo non breve, sono tali da sostenere la domanda interna a livelli elevati ed irrobustire le iniziative locali.
La strategia dello sviluppo integrato, però, richiede anche una politica di sostegno vigoroso per accumulazione nelle imprese private, specialmente quelle locali.
Uscendo dalle generiche affermazioni sul sostegno alla piccola e media impresa, vanno definiti ed attuati interventi nuovi, non solo da parte della Regione ma anche degli istituti di credito, diretti a favorire la capitalizzazione delle imprese, l’erogazione sollecita del credito agevolato e la creazione di un complesso di servizi reali.
È quest’ultimo, non lo neghiamo, un obiettivo ambizioso ma non impossibile: mettere insieme forze, idee, mezzi tecnici e finanziari per dare vita a strutture che si innovano con logica imprenditoriale moderna.
Gli esempi non ci mancano: dalle banche dati, all’impiego della telematica, alla costituzione di strutture pubbliche e consortili per la fornitura di servizi finanziari ed assicurativi, gestionali, di organizzazione dei trasporti e di ricerca di mercati.
Si tratta di creare strutture produttive capaci di affacciarsi in modo competitivo sui mercati nazionali ed internazionali. Possono, ad esempio, essere create anche in Sardegna delle trading companies, capaci di orientare la produzione verso settori per i quali esiste la domanda e di presentare ed imporre i nostri prodotti nei mercati extra-isolani.
Nuove e più moderne forme di intervento devono altresì avviarsi nel settore artigiano ed in quello agricolo, dove alla politica assistenziale o molto spesso clientelare va sostituito un intervento che sia soprattutto teso ad eliminare le cause di fondo della loro debolezza: il credito, le strutture, il mercato.
È urgente e necessario, da parte della Regione e delle strutture produttive isolane dotarsi di una strategia del rinnovamento tecnologico delle imprese. Per quanto riguarda l’intervento pubblico, analogamente a quanto già fatto da alcune regioni settentrionali, si dovrà impostare una politica della spesa a sostegno dell’innovazione, realizzando in particolare centri di assistenza tecnologica a servizio dell’impresa e rivendicando l’impianto in Sardegna dei centri di ricerca delle Partecipazioni statali.
Occorre puntare sempre più sull’innovazione all’interno del ciclo produttivo; organizzare centri locali che aggreghino ricerca, documentazione, informazione e che forniscano in tempi reali strumenti di conoscenza e di valutazione per gli imprenditori; stimolare la realizzazione di strutture esterne alle imprese anche nel campo della formazione professionale.
In questa direzione deve individuarsi anche un elemento di rinnovamento della macchina regionale, che da dispensatrice in modo indiscriminato di fondi o da ente prevalentemente burocratico dovrà trasformarsi, con adeguate strumentazioni, in soggetto capace di offrire assistenza all’imprenditoria sarda.
Quelle sin qui descritte sono le linee fondamentali del programma economico della Giunta: dovranno essere integrate con le politiche di settore che si propongono in allegato alle presenti dichiarazioni. Per gli stessi settori d’intervento, e per altri ritenuti fondamentali, come il commercio, la condizione femminile o i molti i cui problemi sono stati sottoposti all’attenzione del Presidente nel corso delle sue consultazioni, la Giunta si riserva di elaborare documenti programmatici da sottoporre alla più ampia consultazione.
Signor Presidente, colleghi consiglieri, la Sardegna, con i suoi 136.000 iscritti nelle liste ordinarie del collocamento, pari al 23 per cento circa della forza lavoro complessiva, si pone al di sopra del tasso medio nazionale di disoccupazione (10 per cento), sopravanzando tutte le regioni italiane.
È evidente, come già si è detto, che un problema di tali dimensioni non può essere affrontato solo con politiche congiunturali, né la sua soluzione può essere affidata a prospettive ravvicinate e spontanee di ripresa economica. La natura strutturale del fenomeno impone a tutti i soggetti pubblici l’adozione di interventi di ampio respiro, volti a costruire le condizioni per un rilancio di iniziative produttive, non solo mediante gli strumenti ordinari di incentivazione degli investimenti, ma anche attraverso la realizzazione di programmi specificamente finalizzati alla creazione di nuova occupazione.
A tal fine è necessario impostare un piano generale per l’occupazione, finalizzato a sostenere la domanda di lavoro nelle imprese individuali e cooperative, nei settori manifatturieri ed artigiani, in agricoltura, nel settore turistico e nella pubblica amministrazione; ad elevare la professionalità della forza lavoro nel campo nelle nuove tecnologie, della gestione aziendale e della commercializzazione; a finanziare programmi socialmente utili gestiti dagli enti locali, anche attraverso l’utilizzo dei lavoratori in Cassa integrazione guadagni.
L’impostazione di tale programma non deve seguire i canali, tradizionalmente sperimentati e risultati inefficaci, dell’intervento indifferenziato e spesso assistenziale.
Il piano dovrà avere la caratteristica della «generalità» e non della straordinarietà e dovrà costituire uno degli assi portanti della nostra politica economica.
Si richiede perciò l’adeguamento delle strutture istituzionali preposte alla politica del lavoro. La mancata riforma degli strumenti che attualmente governano il mercato del lavoro e l’insufficienza dei servizi di informazione e rilevazione dei dati relativi alla natura quantità e qualità dell’offerta e della domanda di lavoro, infatti, influiscono di per sé stessi negativamente sulla evoluzione dell’occupazione e degli stessi processi produttivi.
In attesa della riforma complessiva del collocamento, che resta affidata al legislatore statale, si pone per la Regione la necessità di dotarsi, anche in via sperimentale, di efficaci strumenti operativi per esercitare le proprie competenze, prefigurando autonomamente alcuni elementi di rinnovamento del sistema di governo del mercato del lavoro.
In questa prospettiva si colloca l’istituzione dell’Agenzia regionale del lavoro, quale struttura finalizzata a predisporre interventi per lo sviluppo dell’occupazione, per l’orientamento e la formazione professionale, nell’ambito degli obiettivi individuati dalla programmazione regionale e nazionale.
L’Agenzia dovrebbe assolvere a tre compiti fondamentali: in primo luogo svolgere un’attività sistematica di informazione, consulenza, promozione, volta a favorire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro; in secondo luogo curare un osservatorio del mercato del lavoro capace di raccogliere e rendere disponibile il maggior numero di dati intorno alla struttura, la composizione, le dinamiche del mercato del lavoro regionale; infine collaborare nella predisposizione ed attuazione dei piani e dei programmi regionali in materia di lavoro e formazione professionale.
Un adeguato programma per l’occupazione deve comprendere anche misure di incremento del livello qualitativo della formazione professionale. È. necessario per questo definire ed attuare il piano pluriennale di formazione professionale, al fine di fornire un prodotto formativo adeguato alle esigenze emergenti dal sistema economico e capace di soddisfare la domanda di personale altamente specializzato. Andrà per contro evitato l’affidamento in gestione dei corsi ad enti che non offrono sufficienti garanzie di competenza e capacità organizzativa, strutture e personale idoneo.
Il programma pluriennale di formazione dovrà consentire di rilevare le esigenze settoriali e territoriali e di progettare interventi formativi adattabili al mercato del lavoro.
I programmi di formazione professionale dovranno sostenere la creazione di un corpo imprenditoriale e manageriale di origine locale; facilitare l’accesso delle domande ai corsi dai quali sono tradizionalmente escluse a qualifiche specializzate ad elevato contenuto tecnologico; garantire che i programmi di formazione comportino il conseguimento di titoli riconosciuti; indirizzare la formazione professionale ai lavoratori di ogni età, dando la precedenza alle donne, ai disoccupati a lungo termine e ai giovani.
Particolare cura sarà rivolta ai corsi di perfezionamento manageriale post-diploma e post-laurea, coinvolgendo le organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, le Università e il Formez e promuovendo stages di lavoro presso le aziende più avanzate in ciascun settore, alternati a periodi di formazione.
Il complesso di misure di politica economica sulle quali mi sono soffermato richiede, colleghi consiglieri, precise scelte ed assunzioni di responsabilità. Sta alle forze politiche coglierne l’importanza e concretarle.

Altre scelte attendono le forze sociali, gli imprenditori, le banche: anche nelle consultazioni che hanno preceduto la definizione di questo programma sono emerse da queste forze riflessioni attente e critiche serrate all’istituzione regionale. Sono, questi, segnali che meritano la nostra attenzione e che sottolineano la diffusa volontà di non abbandonare il campo di battaglia, nonostante la crisi.
Passando alla politica dell’ambiente nella nostra Regione, dobbiamo rilevare che è stata a lungo relegata tra le politiche di settore, in un’ottica limitata e difensiva, più che proiettata, positivamente, a conseguire un diverso modo di intendere il rapporto con l’ambiente, teso a promuovere le qualità e le potenzialità.
Da questo atteggiamento sono scaturite non trascurabili conseguenze negative per gli ecosistemi naturali della regione. La rovinosa rapina che si va perpetrando nelle nostre coste, l’inquinamento e gli scempi nefasti arrecati dagli incendi, sono gli effetti più prossimi di tale deterioramento ambientale.
Avevamo considerato questi fenomeni come una conseguenza pressoché inevitabile, quasi una drammatica contropartita del progresso.
L’analisi più attenta e l’esperienza consolidata dimostrano invece che essi sono il risultato di uno sviluppo caotico e informe, della mancanza di volontà e soprattutto di capacità di programmazione in grado di guidare la crescita economica ponendoci al centro l’uomo e la qualità della vita.
Con questa consapevolezza intendiamo imboccare la via di un progresso dell’ambiente e della natura come beni collettivi, ed al perseguimento di questo obiettivo intendiamo indirizzare le scelte politiche e di programmazione, le risorse economiche e intellettuali disponibili, valorizzando anche l’interesse profondo e l’impegno sempre più diffuso di tanti cittadini, e soprattutto di giovani, ma anche meno giovani, per la creazione di un ambiente di vita sano ed equilibrato.
Compito e dovere della Giunta è quello di assecondare questa felice tendenza promuovendo le condizioni perché l’uso delle risorse naturali sia guidato dalla conoscenza e dal rigoroso rispetto delle compatibilità ambientali; evitando comportamenti e forme di fruizione che siano in contrasto con un prelievo parsimonioso delle risorse non rinnovabili e con un uso conservativo di quelle rinnovabili.
In definitiva questa Giunta intende operare una svolta significativa nel campo della politica ambientale, ponendola al centro del programma di governo.
Questa centralità di interesse esige una azione incisiva che sarà articolata nel filone della conoscenza, degli strumenti normativi e di piano, dell’organizzazione e gestione dell’ambiente e del suo continuo controllo.
La strategia di intervento prevedere la partecipazione di tutti quei soggetti (Istituti universitari, Pubblica amministrazione, enti, delle aree protette, non solo per la tutela del considerevole patrimonio ambientale della Regione ma anche come elemento propulsivo di riequilibrio e di coinvolgimento nello sviluppo socio-economico delle zone interne.
Una particolare attenzione sarà dedicata al problema della valorizzazione degli stagni e delle lagune costiere.
Per quanto concerne il patrimonio forestale sarà intrapreso ogni sforzo per la gestione dei rimanenti ecosistemi a bosco e a macchia mediante misure attive di ricostituzione e di tutela che ne esaltino le molteplici funzioni (conservativa, protettiva, ricreativa, igienica).
Particolare attenzione, anche mediante l’adozione di idonei strumenti normativi, sarà rivolta ai complessi ubicati nelle «terre pubbliche» che per provata esperienza sono quelli più esposti al flagello degli incendi e per molti dei quali si è arrivati ad un pressoché inarrestabile processo di desertificazione.
L’azione amministrativa mirerà a unificare sotto un’unica gestione i complessi boschivi di proprietà pubblica o privata da acquisire al demanio regionale, al fine di costituire complessi accorpati di grande dimensione (già si è fatto qualcosa di rilevante a questo proposito), nei quali operare con continuità e sulla base di una sempre più chiara linea di programmazione. Verranno delegati agli enti locali tutti gli aspetti della gestione dei lavori incentrando l’azione degli uffici forestali nell’attività di indirizzo, programmazione e controllo.
Per gli interventi di forestazione industriale l’Amministrazione regionale intraprenderà una metodica e organica azione promozionale e si adopererà per ridurre il lungo iter burocratico dovuto alla fase istruttoria cui sono sottoposti i singoli progetti.
Un impegno particolare sarà dedicato alla lotta anti incendi.
Ferma restando la riorganizzazione dell’organico di lotta, da trasformare in un complesso dotato di strutture organiche e permanenti, l’azione farà perno su tutto Quell’arco di misure di prevenzione attiva e passiva che nel tempo possono offrire la migliore arma nella lotta contro il fuoco, ad iniziare dalla riforma del sistema agropastorale sino ad un uso più confacente e razionale del territorio.
Anche a questo fine la Giunta promuoverà programmi di educazione ambientale, con il concorse delle forze più vive della società, tra cui le associazioni naturalistiche e culturali, ad iniziare dalle scuole di ogni ordine e grado sino ai luoghi di lavoro e di vita.
Una corretta politica ambientale è condizione indispensabile di tutela di quella realtà dinamica e complessa che è il territorio, che però è necessario ricondurre, anche in tutti gli altri suoi aspetti, ad una logica di pianificazione e di governo.
Il territorio va considerato, nel suo complesso e nel complesso dei suoi elementi costitutivi — risorse, attività, popolazione — la base di tutte le ragioni di vita; e la ricostituzione dei suoi equilibri in Sardegna dopo secoli di spoliazioni (miniere, foreste, agricoltura e, oggi, coste) è obiettivo strategico di questa Giunta: un obiettivo verso il quale mobilitare ogni possibile energia sociale, apprezzandolo come fatto di produzione, capace di espandere in modo consistente l’occupazione.
Occorre, per dare avvio a questo processo, superare la frammentarietà del corpo normativo esistente in materia (utilizzando quanto di più valido può essere destinato a permanere) e recuperare un ruolo attivo della Regione nel governo delle forze agenti sul territorio, dotandola degli strumenti normativi e di piano capaci di assicurare un sufficiente orientamento e coordinamento delle iniziative pubbliche e private e di far procedere coerenti le scelte di pianificazione economica con quelle di pianificazione urbanistica e di assetto del territorio.
Occorre, per questo, precisare potestà e limiti dei vari soggetti (Regione, province, enti locali minori) e rapporti tra i vari livelli di responsabilità decisionale. A questo fine l’amministrazione aveva avviato alcuni anni fa alcuni provvedimenti di studio con la partecipazione delle massime autorità scientifiche italiane e straniere.
Il fine non è solo quello di esaltare le potenzialità del territorio nel quadro di un assetto ordinato delle attività umane compatibile con l’uso conservativo delle risorse, ma anche quello di superare gli squilibri esistenti tra zone costiere e zone interne, tra aree forti e aree deboli o anche tra zone di crisi o di instabilità e zone di potenziale benessere.
È necessario anche riequilibrare le distorsioni prodotte da talune scelte produttive e infrastrutturali avvenute a livello comunale o sub-regionale che, insieme alla carenza di collegamenti, hanno determinato la concentrazione polare delle attività industriali, e di recente anche turistiche, con il rafforzamento di alcune delle maggiori concentrazioni urbane esistenti.
Tali scelte, infatti, non raccordate mediante rapporti funzionali con la restante realtà territoriale, hanno ignorato la necessità di orientare le diverse tendenze così da determinare la continuità e l’integrazione territoriale dello sviluppo in un’ottica regionale.
Tra le opzioni possibili dello schema di assetto da realizzare (che potranno divenire anche oggetto di Piani di settore o di progetti speciali territoriali) già oggi paiono emergere con sufficiente chiarezza quelle relative a:
– la revisione dei Piani e del sistema di infrastrutture industriali;
– il completamento degli studi già avviati per il Piano regionale dei trasporti e il miglioramento del sistema di collegamenti, specialmente di quelli interportuali e intermodali o aventi funzioni di riequilibrio di aree depresse o servite dalla sola mobilità su gomma;
– la definizione delle scelte di localizzazione degli impianti energetici e delle grandi dorsali di trasporto per assicurare uno sviluppo equilibrato sul territorio, tenuto conto delle esigenze della domanda e delle compatibilità ambientali;
– l’acceleramento dell’attuazione del nuovo Piano regolatore degli acquedotti nella realizzazione degli invasi programmati e in studio e delle relative reti di adduzione e distribuzione, nonché la ristrutturazione degli Enti operanti nel settore;
– la revisione dei piani dei consorzi di bonifica e l’accorpamento di consorzi limitrofi tenendo presenti ottiche di bacino;
– la ristrutturazione della proprietà fondiaria mediante il riaccorpamento dei fondi per favorire l’introduzione di moderni sistemi colturali e l’estensione dell’irrigazione (valga come esempio l’esperienza di ricomposizione fondiaria in atto nel Campidano di Terralba);
– la promozione di un migliore sistema insediativo della popolazione sul territorio;
– la costruzione di un sistema urbano territoriale integrato e di una dotazione adeguata di servizi civili;
– il potenziamento del patrimonio abitativo per adeguarlo alle reali necessità;
– il recupero e la riqualificazione dei centri storici, sia perché preziosi ambienti di vita e di aggregazione sia perché componenti qualificanti dell’identità regionale;
– la predisposizione di un Piano di salvaguardia e valorizzazione della fascia costiera fondato su una accurata analisi scientifica dei fenomeni di degrado dei litorali. In attesa di tale piano sarà proposta una norma transitoria per il consistente ampliamento della fascia di salvaguardia per tutto il litorale della Sardegna e delle isole minori;
– l’avvio e realizzazione del sistema dei parchi e delle aree protette esplicitando valori, funzioni, reciproche interrelazioni e possibili aree di influenza delle varie iniziative che avranno anche lo scopo della rianimazione economica e sociale delle comunità interessate.

Colleghi Consiglieri! Questa Giunta si propone di dare una svolta profonda nel governo della Regione soprattutto per le sue implicazioni culturali: non soltanto perché l’essenza stessa della nostra specialità è soprattutto culturale, ma anche perché gli stessi nodi economici e politici che sono alla base di uno sviluppo distorto o bloccato derivano da una cultura della subordinazione che ha impedito di fondere in una visione organica ed omogenea le vere necessità della comunità sarda e la predisposizione degli strumenti per affrontarle.
Ed è in ciò la ragione politica che ha determinato la considerazione della cultura e dei beni culturali come «altra» dai processi sociali in atto, dallo sviluppo economico alle problematiche dell’organizzazione della società. Si sono sempre trovate «ragioni superiori» per relegare in una posizione «secondaria» i problemi della cultura.
Occorre invertire questa tendenza, rimuovere gli ostacoli che hanno vincolato intere categorie sociali in una considerazione limitativa del proprio spazio culturale, restituendo loro la capacità di governo e di autogoverno, oltre che il gusto di dominare conoscenze diverse, di progettare e costruire il proprio futuro secondo le propensioni del proprio costume, come evoluzione delle proprie tradizioni, come affermazione della propria personalità.
Bisogna, perciò, «investire in cultura», secondo una programmazione che chiami in causa competenze culturali e tecniche, per dare risposta alle grandi questioni sociali e ideali della Sardegna, liberando tutto quel potenziale di trasformazione e mobilitazione che in Sardegna esiste e che consentirà di fare della cultura un «moltiplicatore di sviluppo» anche economico.
La cultura ed i beni culturali, quindi, come valore, e investimento. Il patrimonio del passato, la produzione dei nuovi beni culturali sono una delle grandi questioni dello sviluppo, uno dei grandi temi del rapporto uomo-società, uomo-ambiente.
L’azione della Giunta nel campo della cultura avrà come finalità fondamentale la difesa e la promozione dell’identità regionale: è questo un forte elemento di caratterizzazione popolare del suo programma, che risponde ad una domanda politica diffusa e di grande respiro.
Ma è altresì chiaro come il recupero e la valorizzazione del patrimonio storico e culturale della Sardegna non sono antitetici al pensiero moderno e alle grandi correnti di civiltà; anzi debbono coniugarsi ad essi nel rifiuto di ogni mortificazione del valore della propria cultura, ma anche nella consapevolezza che nelle possibilità di scambi culturali si fondano le condizioni di un reale autogoverno.
Gli scambi conoscitivi, le strutture di comunicazione, vanno anch’essi attentamente programmati. Finora è mancata una saldatura tra la tenace volontà di rinnovamento presente tra gli operatori del settore, che in questi anni hanno rappresentato limitati drappelli di punta e larghi strati di giovani, gruppi, forze sociali e culturali che sono venute sempre più ampiamente maturando consapevolezza ed idee al riguardo. Un primo impegno riguarda allora la capacità di mettere in comunicazione operatori specializzati e massa dei cittadini, in un processo che consenta da parte di tutti il riconoscimento e la riappropriazione dei bisogni culturali: in una logica di scambio e di circolazione fondata sull’acquisizione delle metodologie più evolute, ma per determinare un processo di auto-identificazione, individuale e sociale.
In questa prospettiva — rinviando all’analisi della strumentazione operativa e degli obiettivi specifici dell’ambito culturale e conoscitivo proposta fra le politiche di settore — si indica qui la volontà di affrontare, come prioritario, il problema del bilinguismo.
È questo, evidentemente, tema di grande rilievo e oggi quasi sintesi dell’intera questione sarda, elemento di coagulo della riscoperta e riappropriazione dell’identità.
Con le iniziative di questi anni (proposte di legge, giornali, riviste, libri, dibattiti, concorsi letterari, convegni, commissione per l’ortografia unificata) il sardo ha ripreso ad essere utilizzato come lingua pubblica e di cultura. Già si avvertono segni di superamento del concetto di lingua minoritaria, buona per esprimere solo un ristretto arco di concetti (comunque, la lingua minoritaria più fruita in Europa).
A partire dalla grafia unificata, e consapevoli dei rischi di burocratizzazione che comporta ogni codificazione, ma altresì convinti della sostanziale vitalità della lingua sarda, il nostro impegno tende all’affermazione della piena parità delle lingue e delle modalità comunicative dei parlanti.
La questione della lingua comporterà l’utilizzazione di strumenti, quali:
– la raccolta, la conservazione di testi e documenti;
– il suo insegnamento (secondo quanto indicato anche dalla risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 1981);
– la compilazione di grammatiche e dizionari;
– la pubblicazione di libri e periodici;
– trasmissioni radio-televisive in lingua sarda.
La Giunta si propone di elaborare un piano di iniziative in proposito, utilizzando le competenze già previste dallo Stato in materia di istruzione e dalla legislazione dello Stato (istruzione, Rai-TV). E si impegna, inoltre, a sollecitare l’esame da parte del Parlamento della proposta di legge sul bilinguismo approvata dal Consiglio regionale.
Credo che in questa Assemblea vi sia stato un voto unanime, fatta eccezione per la sola parte politica dell’onorevole Murru.
MURRU (M.S.I.-D.N.). Dica pure Movimento Sociale Italiano, con la «i» maiuscola.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. C’è nella grafia qualcuno che sbaglia e che lo scrive minuscolo, se vuole essere una cortese provocazione.
Affronterò, infine, il tema della sanità e degli interventi socio-assistenziali.
La politica sanitaria regionale dovrà meglio caratterizzarsi in rapporto al perseguimento di obiettivi quali: la tutela della salute intesa come intervento unitario e globale, il superamento degli squilibri territoriali nella distribuzione delle strutture sanitarie, l’impiego ottimale delle risorse in termini di efficienza ed efficacia, il coordinamento dei servizi sanitari con i servizi sociali.
Per il raggiungimento di questi obiettivi è necessario realizzare un sistema sanitario regionale capace di stabilire un giusto equilibrio fra attività preventive e riabilitazione, ora trascurate, e attività di diagnosi e cura.
In questa prospettiva diventa prioritario il potenziamento dei servizi sanitari di base, la distribuzione territoriale più equilibrata di poliambulatori — da raggiungersi anche espandendo l’attività ambulatoriale dei presidi ospedalieri — la riconversione, in altre strutture sanitarie o in servizi di grado diverso di specializzazione, dei posti letto ospedalieri eccedenti lo standard individuato.
Queste politiche dovranno trovare articolazione nel Piano sanitario regionale. Sarà valutata attentamente la reale capacità della proposta di Piano sanitario regionale presentata in Consiglio regionale nella scorsa legislatura per interpretare i bisogni sanitari della Regione e di perseguire concretamente e coerentemente gli obiettivi che si intendono privilegiare.
Il varo del Piano sanitario regionale è condizione indispensabile anche per realizzare una corretta politica del personale e per orientare il reclutamento in relazione agli obiettivi individuati.
Appare infine urgente ed inderogabile aprire un confronto con lo Stato sulla ripartizione delle risorse del Fondo sanitario nazionale, considerato che la Sardegna ha ricevuto in questi anni e ancora riceve una quota pro-capite inferiore alla media nazionale.
MURRU (M.S.I-D.N.). Non esiste ancora un Piano sanitario nazionale.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Non sto parlando del Piano ma del Fondo.
PRESIDENTE. Onorevole Murru, lei avrà la possibilità di intervenire nel corso del dibattito. È pregato cortesemente di lasciar concludere il Presidente.
MELIS (P.S.d’Az), Presidente della Giunta. Meccanismi perequativi saranno ulteriormente attivati anche in sede di riparto fra U.S.L. della quota regionale del Fondo sanitario regionale ripartendo secondo il parametro della popolazione e altri criteri demografici e sociali quote progressivamente sempre più ampie del finanziamento totale. Al fine di promuovere maggiore efficienza nelle U.S.L. si renderà necessario, infine, predisporre idonei strumenti operativi che ne migliorino l’assetto organizzativo.
Ma sarà soprattutto opportuno valutare l’utilità di una riduzione del numero delle attuali Unità sanitarie locali, anche al fine di raccordarne gli ambiti territoriali al nuovo assetto dei poteri locali già prefigurato.
La Regione dovrà poi predisporre un organico prospetto di riforma delle materie socio assistenziali al fine di giungere alla formazione di un sistema di sicurezza sociale, diretto a garantire al cittadino il pieno e libero sviluppo della personalità e l’effettiva partecipazione alla vita sociale delle Comunità; un sistema capace di contribuire a rimuovere le cause di ordine personale, sociale ed economico che possono provocare situazioni di bisogno sociale e di emarginazione negli ambienti di vita, di studio e di lavoro.
Il progetto di riforma dovrà includere in particolare, tra le competenze socio-assistenziali da riordinare, quelle trasferite alla Regione con il D.P.R. 480/75 e con il D.P.R. 348/79, gli interventi in favore degli anziani, dei soggetti portatori di handicap e dei tossicodipendenti.
Per esercitare le suddette funzioni, i Comuni si avvarranno delle Unità sanitarie locali che assumeranno la denominazione di Unità locali dei Servizi socio-sanitari.
In quest’ambito di intervento dovranno essere previsti interventi specifici rivolti a soggetti sociali come gli anziani, i giovani. Il mantenimento dell’anziano nel suo tessuto sociale dovrà essere una direttiva prioritaria di ogni programma d’azione: le spinte all’isolamento e alla emarginazione sociale dovranno essere contrastate oltreché da una più attenta politica sociale, con una rete di servizi specifici prevedendo un articolato sistema di interventi che sappiano rispondere ai diversi bisogni dell’anziano.
L’articolazione delle esigenze dei giovani dovrà essere tenuta presente in un programma d’interventi a loro destinato: gli interventi strettamente socio-assistenziali rivolti ai minori e ai giovani dovranno essere parte di una politica sociale a vasto raggio, inseriti in un quadro di servizi e di interventi estremamente diversificato al suo interno.
Sarà perciò predisposto un disegno di legge sui problemi della gioventù, un «Progetto Giovani» come insieme di interventi organici che non solo si propongono d’incrementare l’occupazione giovanile, di renderla stabile e di realizzare concretamente il diritto allo studio, ma che mettano a disposizione dei giovani un «cartello di opportunità», differenti possibilità di aggregazione sociale e di vita.
Un impegno di particolare significato civile sarà costituito per la Giunta dalla presentazione di un disegno di legge volto a garantire alle minoranze politiche, in presenza di adeguati consensi a livello regionale, la concreta possibilità di essere rappresentati in Consiglio regionale.
Signor Presidente, colleghi consiglieri, nel concludere queste dichiarazioni programmatiche voglio rivolgere ai partiti della maggioranza l’apprezzamento della Giunta per l’impegno oggi assunto nel sostenerla. È fuori luogo far ricorso a grandi parole, ma credo siamo tutti consapevoli del momento che stiamo vivendo da protagonisti.
La durezza dei confronti, i tentativi esperiti, con passionalità quando non con vera e propria aggressività, volti a contrastare la formazione di questa Giunta, hanno spesso minacciato di sconvolgere ed annullare il sereno e civile esercizio dell’ordinamento autonomistico.
Va dato atto alle forze politiche, rappresentate in Consiglio e non, di aver respinto questa vasta manovra che minacciava di tradursi, al di là dei fatti di cui siamo protagonisti, nell’inaccettabile umiliazione dei valori di libertà spregiudicatamente utilizzati a fini strumentali per modificare equilibri esterni alla Sardegna, o comunque influire su essi.
Ai socialisti sardi che fra i partiti della maggioranza hanno dovuto affrontare decisioni particolarmente sofferte rivolgo vivo apprezzamento per la coerenza e lealtà che li vede oggi, pur non partecipi diretti della Giunta, schierati con fermezza nel sostenerla onde garantire alla Sardegna quel governo che attende ormai da troppo tempo.
Nel prendere atto della decisione assunta con responsabile e coerente lealtà dai partiti socialdemocratico e repubblicano di non entrare a far parte della Giunta e della maggioranza, esprimo l’auspicio che superino perplessità e riserve poste a base della loro rinunzia. Voglio però esprimere l’apprezzamento della Giunta ai colleghi ed al partito della socialdemocrazia di non assumere ruolo di opposizione, consentendo così spazi operativi e politici di più ampio respiro nell’assolvimento delle responsabilità istituzionali dell’esecutivo.
Auspico che anche il Partito repubblicano voglia, nella sua autonoma decisione, cogliere l’impegno serio e sofferto della Giunta e non assuma nei confronti di questa ruolo di opposizione.
Sono però certo che, qualunque sia la collocazione delle forze politiche rappresentate in Consiglio, l’impegno comune — è il mio più vivo auspicio — non sarà ispirato da visioni preconcette e faziose, ma dai superiori interessi del popolo che insieme rappresentiamo.
Concludendo come ho iniziato, ribadisco che la Giunta non persegue obiettivi volti a dividere i sardi, ma a raccoglierne tutte le energie, facendo affidamento sul grande potenziale morale che costituisce la forza reale della gente sarda, per sconfiggere, con l’avvilente clientelismo, la discriminazione, l’inefficienza, l’alienazione etnica, la grande endemica crisi che da sempre ci ha condannati all’emarginazione ed alla subalternità.
La sfida è questa.
No! Colleghi consiglieri. La Giunta non crea divisione ma grande esaltante unità. Maggioranza ed opposizione, nell’assolvimento dell’essenziale confronto che è fonte di democrazia siamo chiamati a raccogliere questa sfida. Se lo sapremo fare avremo contribuito ad aprire le porte della storia al nostro popolo.
(Applausi).