Intervento al Convegno su Salvatore Satta – Nuoro – 6 aprile 1989

Signor Ministro, benvenuto in Sardegna e grazie di aver voluto sottolineare con la sua partecipazione il significato di queste giornate di studio così importanti nella storia della Sardegna per la comprensione di un personaggio che e diventato figura emblematica del modo di essere della nostra gente.
Ieri, concludendo un dibattito sulla giustizia a Lanusei, ho avuto modo di esprimere questa riflessione: la vita in Sardegna è dominata, secondo Salvatore Satta, dal “Giudizio” Il giudizio0come momento ineluttabile di critica sociale, come analisi di fatti che coinvolgono persone e famiglie; come analisi di modelli di comportamento assunti dal la comunità e da questa trasformati in tradizione, in codice di comportamento.
Il giudizio è in sostanza, secondo Satta, una vocazione del sardi; vocazione alla perfezione, vocazione ad una sorta di santità che sconfina nell’utopia; . una società che nella perfezione estatica diventa statica, ferma, immobile nel tempo. Una società che non entra nella storia. Infatti è proprio lui a dire che questo modello,così assurto dalla comunità dei sardi, ci vieta di inserirci nel processo della storia. Il sardo è giudice per sua naturale vocazione ed è un giudice severo che non ha spazi di indulgenza nel suo giudicare perché è prima di tutto giudice di sé stesso e negli spazi sconfinati cena coscienza non vi sono luoghi dove nascondersi e dove nascondere colpe e riserve. Questo lui afferma soprattutto in “Soliloqui e colloqui di un giurista” ed è su questa filosofia che si incardina la concezione “de s’homine” nuorese, sia questo pastore, contadino, avvocato, sacerdote, giudice o perdigiorno. Perché tutti nella vita, secondo
Satta, siamo giudici e giudicati; giudici, giudicati o avvocati.
I sardi hanno comunque una rapporto con la legge secondo Satta. Ma non con la legge dello Stato, con la legge che si configura come ordinamento statuale, ma con quella che scaturisce dal profondo di una elaborazione plurisecolare che i sardi hanno assunto come momento etico nel quale norma giuridica e norma morale si fondono in una genesi profondamente religiosa.
È una concezione che ritroviamo anche in Grazia Deledda, che individua questa connessione profonda, direi indissolubile, fra momento religioso, momento etico e momento giuridico. Ecco, allora nessun fatto è neutrale per i sardi, nessun fatto è irrilevante; tutti i fatti, tutti gli accadimenti sono di per sé momento di giudizio,’ ma il vero momento del giudizio, secondo Satta, è il giudizio finale, è il giudizio che non investe solo le persone, ma le persone nella loro collegialità, le persone come comunità. Ed è il giudizio che ha trasparenze assolute.
Questa concezione della vita Satta la contesta e rimprovera a noi sardi, perché è una concezione del tempo non nel suo divenire, non nel suo svolgersi, ma statico, circolare; di un tempo che non ha storia, che non crea storia. È un tempo cadenzato dal ripetersi di atti, di comportamenti, di luoghi in una cornice immutabile, in un ritrovarsi al Corso, nel disquisire nel caffè Tettamanzi.
Personaggi che un po’ sono i protagonisti di fantasmi giuridici che ripetono il rito; Fileddu, il giullare, Donna Vincenza che è custode del tempo. Un rifugio nell’illusione, una fuga dalla realtà.
È un giudizio quello di Satta che folgora gli avvocati, sacerdoti di questo rito; la folla di beoni che trascorrono il loro tempo nel rito del bere, dentro una società che accomuna ladri, oziosi e santi; le figure più diverse che però praticamente sono i testimoni di un unico fatto e di un unico accadimento: la devastazione dei corpi e degli spiriti.
Il suo romanzo è un raccontare storia che non ha storia perché “si sta nel mondo perché c’è posto”.
Ecco, Nuoro ha, come dire, due momenti fondamentali. Ha la chiesa, da un lato, il tribunale dall’altra.
Sig. Ministro, dovrebbe verificare questi momenti nel luogo che Satta ci propone quale affresco di straordinaria bellezza; una realtà che abbiamo vissuto in tutta la sua forza emotiva.
Questi due templi della giustizia divina e della giustizia terrena, che conchiudono uno spazio che li collega e dove si consuma il dolore e l’angoscia del giudizio; perché sono due sedi di giudizio, la chiesa e il tribunale. Di un unico giudizio.
Ma perché? Perché, dicevo all’inizio, peccato e reato per i sardi non hanno differenza. Perché la genesi profonda di ciò che turba questa società votata alla perfezione e all’utopia è un qualcosa che turba la coscienza ancor prima che l’ordinamento giuridico, prima che le leggi scritte. È una distinzione che ha poco senso per noi – dirà Satta, così come la Deledda – questo rapporto indissolubile fra etica, religione e norma giuridica. Il luogo vero del giudizio è pero “Sa tanca ‘e Manca”: è il cimitero! Questa città che cresce, questa città dei morti che non muoiono e che attende i vivi che non vivono perché non sono creativi.
Beh, diciamo che c’è in un certo senso una vocazione nichilista o, più che una vocazione nichilista, un giudizio nichilista che non contiene in sé un bagliore di speranza, una indicazione di salvezza, perché nel giudizio che crea spazi così angusti si nega la libertà; in questa società statica ferma, si nega l’iniziativa. E Satta questo propone. Ma quanto lui ci credesse (non nella sua coscienza raziocinante che è illuminata dalla cultura e che lo fa protagonista di civiltà giuridica e quindi pioniere nel mondo di un avanzamento civile) nel suo subcosciente, dentro i suoi cromosomi, quanto fosse nuorese lui stesso e quanto lui stesso avesse queste vocazioni, io credo sia un interrogativo che meriti di essere approfondito.
Ma ecco, io che ho avuto la grande ventura di conoscere Salvatore Satta (per noi Bob Satta – questo diminutivo americaneggiante, nato in famiglia Satta, perché così lo chiamavano i fratelli, così lo chiamavamo noi concittadini) dico che in lui vi è stata una trasfigurazione poetica, l’interpretazione fascinosa di una realtà, in effetti, profondamente diversa. Consentite al Presidente della Regione di contestare radicalmente questa concezione sattiana di Nuoro, perché Nuoro era esattamente il suo contrario. Nuoro, nel momento in cui esprimeva Salvatore Satta, questa figura così vigorosa, possente, i cui vasti spazi di orizzonte venivano colmati da un pensiero creativo così pregnante, esprimeva ad esempio, un’altra grande figura che sapeva diffondere un messaggio tutto sardo di valenza universale.
Nuoro:paesino di settemila abitanti!
E già nomi di Satta e della Deledda, basterebbero per dimostrare come Nuoro fosse creativamente protesa verso il mondo.
Ma a Lei Prof. Vassalli, docente di Scienze Giuridiche, voglio ricordare quel grande Maestro che fu Sebastiano Chironi – nuorese e contemporaneo del Satta e della Deledda – al quale va il merito di avere intuito e proposto al mondo una nuova pagina di civiltà giuridica: la Procedura Civile, strumento essenziale per garantire al cittadino la tutela del diritto.
Ma ricordo anche, per restare nel mondo dell’arte, lo scultore Francesco Ciusa che ha arricchito la cultura e l’arte italiana di opere insigni fra le quali emerge la “Madre dell’ucciso”. Opera che nelle conchiuse linee della forma così essenziali, esprime l’angoscia struggente del dolore materno, sorgente di ispirazione per alte composizioni poetiche e sinfoniche.
Francesco Ciusa, anch’egli contemporaneo di Salvatore Satta e forse frequentatore del Caffè Tettamanzi.
Nella stessa Nuoro emergevano figure di artisti come Antonio    Ballero nei cui affreschi si colgono vibrazioni di luce e di colore, il mormorio, direi il brusio, dei meriggi estivi che rendono mitici e quasi estatici i vasti silenzi della nostra campagna.
E con lui Bernardino Palazzi e tanti, tanti altri artisti e poeti quali Sebastiano Satta nella cui ispirazione si sublima l’etica e l’umanità della civiltà pastorale.
Ma Nuoro ha espresso, nell’oscuro ventennio della dittatura, una forza resistenziale di alto valore democratico che ha coinvolto il mondo contadino-pastorale, quello operaio e dei liberi professionisti sì da costituire punto di riferimento per l’intera comunità sarda e, per tanti versi, italiana.
Come dimenticare, sempre di quel periodo, un uomo – poco più di un ragazzo – della forza creativa, dalla ricchezza propositiva capace di impulsi, stimoli, iniziative culturali e politiche fervide e coinvolgenti, quale è  stato Attilio Deffenu: una fulgida meteora che nella sua breve esistenza ha dato luce ad un’intera generazione.
Ma non sarei completo se non ricordassi, fra questi personaggi eminenti, l’intera famiglia Satta, la famiglia di Salvatore. Tutti protagonisti che, nelle professioni più diverse hanno saputo arricchire la nostra vita, la nostra vicenda umana.
Mi riferisco in particolare a quel fratello che forse leggeva di nascosto i libri che, secondo Salvatore, non apriva mai.