Disegni di legge in sede deliberante – Senato della Repubblica – VII Legislatura – 8a Commissione- martedì 29 novembre 1977

Disegni di legge in sede deliberante
«Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali»

Presidente. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: «Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali», già approvato dalla Camera dei deputati.
Federici, relatore alla Commissione. L’articolo 1 in esame, come ho già avuto modo di dire, rappresenta il punto nodale del provvedimento: esso stabilisce infatti che l’approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle Provincie autonome di Bolzano e Trento equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse e che gli effetti di tale dichiarazione, tuttavia, cessano se le opere stesse non hanno avuto inizio nel triennio successivo all’approvazione del progetto.
Un altro elemento sul quale desidero ancora richiamare l’attenzione della Commissione è costituito dal fatto che l’approvazione dei progetti da parte dei consigli comunali, anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano, non comporta necessità di varianti allo strumento urbanistico medesimo. Anche in questo costituisce un sistema per accelerare le procedure di cui trattasi.
Ancora, è da sottolineare che la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto costituisce adozione da variante; anche in questo caso, tuttavia, è prevista una restrizione che costituisce una garanzia nel senso che le norme cui ho fatto cenno si applicano per la durata di tre anni dall’entrata in vigore del provvedimento stesso.
In proposito, se il Presidente me lo consente, vorrei chiarire che alcune disposizioni del disegno di legge saranno valide per tre anni. Tutte le altre norme costituiscono invece una riforma sostanziale, della quale si dovrà tener conto anche in seguito.
Per finire, dirò che all’articolo in discussione non sono stati presentati emendamenti da parte del gruppo di lavoro.
Gusto. In relazione al disposto del quarto comma dell’articolo 1 — laddove si dice che l’approvazione di progetti di opere pubbliche da parte del consiglio comunale anche se non conformi alle specifiche destinazioni di piano, «non comporta necessità di varianti allo strumento urbanistico medesimo» — vorrei sapere se ciò significa che non vi è la necessità della adozione di deliberazioni di varianti, il che costituirebbe cosa diversa da quella voluta; in altri termini, l’approvazione del progetto esecutivo dell’opera pubblica comporta, di per sé, la deliberazione di variante.
Federici, relatore alla Commissione. Nel comma seguente, il quinto, si conferma che la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto costituisce adozione di variante.
Segreto. Vorrei un chiarimento in merito al disposto del quarto comma dell’articolo in esame, laddove si dice: « Nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici l’approvazione di progetti di opere pubbliche da parte del consiglio comunale, anche non conformi alle specifiche destinazioni di piano, non comporta…». Orbene, se il consiglio comunale, per un’area destinata a servizi scolastici, rilascia licenza per la realizzazione di altro tipo di opera pubblica ciò non comporta variante?
Federici, relatore alla Commissione. No.
Segreto. Riconosco che tale disposizione costituisce un avanzamento molto importante ai fini dello snellimento delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche!
Melis. Mi pare che il quarto ed il quinto comma dell’articolo 1 ipotizzino due fattispecie diverse; cioè, nel quarto comma si prefigura l’ipotesi che, attraverso lo strumento urbanistico, determinate aree vengano destinate in modo specifico a servizi pubblici e si precisa che se un certo Comune delibera di destinare un’area ad una finalità pubblica diversa da quella originaria non vi è necessità di variante. Nel quinto comma si prefigura invece l’ipotesi che, nel caso in cui le opere ricadono su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto costituisce adozione di variante; in questo caso, cioè, vi è la necessità della variante.
Federici, relatore alla Commissione. La deliberazione del consiglio comunale costituisce di per sé adozione di variante nel secondo caso; nel primo caso, invece, essendo stata l’area già destinata a servizio pubblico, non vi è bisogno di variante.
Stiamo comunque sempre parlando di opere pubbliche e faccio rilevare che al primo comma questo concetto è precisato in modo esplicito.
La Forgia, sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il Governo si dichiara favorevole all’approvazione dell’articolo 1 nel testo approvato dalla Camera dei deputati.
Presidente. Poiché nessun altro domanda di parlare, metto ai voti l’articolo 1, di cui ho dato prima lettura.
È approvato.
Art. 2. (Aree destinate all’edilizia scolastica)
L’ampiezza minima delle aree destinate all’edilizia scolastica può essere inferiore di non oltre il venti per cento di quella stabilita dalle norme tecniche emanate in applicazione dell’articolo 11 della legge 28 luglio 1967, n. 641, e dell’articolo 9 della legge 5 agosto 1975, n. 412, a condizione che l’individuazione dell’area sia disposta entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge.
Federici, relatore alla Commissione. In merito a tale articolo vorrei far rilevare che esso contiene correzioni a precedenti leggi in materia di edilizia scolastica tese allo snellimento delle relative procedure di realizzazione delle opere. L’articolo 2 tende dunque a facilitare gli adempimenti di molti Comuni in questo settore e favorisce concretamente lo snellimento, ripeto, di molte procedure.
La Forgia, sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il Governo condivide le osservazioni del senatore Federici e si dichiara d’accordo sull’approvazione dell’articolo 2 nel testo pervenutoci dalla Camera dei deputati.
Presidente. Poiché nessun altro domanda di parlare, metto ai voti I articolo 2.
È approvato.
Art. 3.
(Stato di consistenza ai fini dell’occupazione temporanea)
Le operazioni di cui agli articoli 7 e 16 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, preordinate all’esecuzione delle opere di cui all’articolo 1 della presente legge, nonché quelle connesse alla formazione di strumenti urbanistici esecutivi, sono autorizzate, nell’ambito della rispettiva competenza, dalle autorità indicate dall’articolo 106 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977. n. 616.
Per le opere dichiarate urgenti e indifferibili, lo stato di consistenza del fondo prescritto dall’articolo 71, primo comma, della leggo 25 giugno 1865, n. 2359. va compilato, dopo che sia stata disposta l’occupazione temporanea a cura dell’ente espropriante o dei suoi concessionari che vi provvedono a mezzo di dipendenti all’uopo incaricati ed in concomitanza del verbale di immissione nel possesso redatto dagli stessi dipendenti.
Detto verbale deve essere redatto in contraddittorio con il proprietario o, in sua assenza, con l’intervento di due testimoni che non siano dipendenti dell’espropriante o del concessionario; al contraddittorio sono
La Forgia, sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Sì.
Presidente. Poiché nessun altro domanda di parlare, metto ai voti l’emendamento tendente ad aggiungere al primo comma dell’articolo 4, dopo le parole «sessanta giorni», le parole: «dalla richiesta».
È approvato.
Metto ai voti il secondo emendamento all’articolo 4, primo comma, tendente a premettere alle parole «saranno corrisposti» le altre: «in caso di ritardo».
È approvato.
Metto ai voti il terzo emendamento tendente ad aggiungere al primo comma, dopo le parole «occupazione temporanea», le parole: «o d’urgenza».
È approvato.
Metto ai voti l’articolo 4, quale risulta con gli emendamenti testé approvati.
È approvato.

Art. 5. {Inosservanza dei termini)
Le regioni stabiliscono le forme e le modalità di esercizio dei poteri sostitutivi nel caso di inosservanza di termini assegnati da provvedimenti normativi agli enti locali territoriali, agli Istituti autonomi per le case popolari ed agli enti ospedalieri per gli adempimenti di loro competenza in ordine a procedimenti amministrativi per la esecuzione di opere pubbliche finanziate dallo Stato o da enti pubblici.
Fino all’emanazione delle leggi regionali, nel caso di inosservanza per oltre trenta giorni dei termini di cui al primo comma l’organo regionale di controllo e, quando trattasi di adempimenti di competenza degli Istituti autonomi per le case popolari, la giunta regionale, di ufficio o su comunicazione di chiunque vi abbia interesse, fissano un congruo termine per provvedere, sentito l’ente interessato.
In caso di ulteriore inosservanza l’organo regionale di controllo e la giunta regionale nominano, entro trenta giorni, un commissario per provvedere agli adempimenti omessi.
Le ordinanze relative alle materie oggetto della presente legge emesse dal TAR ai sensi dell’articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sono immediatamente appellabili al Consiglio di Stato.
Federici, relatore alla Commissione. Propongo un emendamento tendente ad aggiungere, nel primo comma, dopo la parola «territoriali», le altre: «e loro consorzi, alle comunità montane».
Presidente. Il senatore Melis propone un sub-emendamento tendente ad aggiungere, dopo le parole «e loro consorzi», le altre: «e comprensori, per quanto riguarda la Sardegna».
Melis. Con legge regionale n. 3 del 1976 la Regione sarda ha costituito un ente intermedio tra Regione ed ente locale, denominandolo comprensorio. Esso corrisponde ai consorzi cui si fa riferimento.
Tonutti . Il termine «comprensorio» non è ancora entrato nell’uso.
Melis. Ma è l’equivalente del consorzio, in Sardegna, per cui va specificato, limitatamente a quella Regione.
Come ho già detto, la Regione sarda ha istituito con legge il comprensorio. Possiamo semmai chiamarlo «ente intermedio» o con altro termine analogo; ma se ci limitiamo a parlare di consorzi, la norma in Sardegna non sarà applicabile, non esistendovi gli stessi, che postulano il concetto dell’associazionismo volontario degli enti.
Tonutti. L’ordinamento italiano non comprende il comprensorio tra gli esiti territoriali.
Melis. Si parla dei comprensori perché si tratta di organizzazioni tra enti, che programmano, deliberano, adottano strumenti urbanistici ed eseguono anche opere pubbliche. In Sardegna la struttura corrispondente è denominata comprensorio; quindi, ripeto, una norma che parlasse solo di comprensori non sarebbe operante nella Isola.
Presidente. Potremmo allora parlare, nell’emendamento di «consorzi e comprensori».
Federici, relatore alla Commissione. Vorrei avanzare un’altra proposta. Trattandosi di termini equivalenti, potrebbe essere forse sufficiente un ordine del giorno, perché il Governo interpreti la norma nel senso particolare riguardante la Sardegna.
Melis. Non è il Governo che deve interpretare la norma, essendo esso un organo esecutivo. Se bisogna impugnare un provvedimento non lo si fa davanti al Governo, ma davanti al TAR.
Tonutti. Per quanto riguarda la aggiunta relativa alla Sardegna, non ritengo per la verità che sia necessaria. Pongo però un problema di carattere generale: non possiamo inserire in una legge dello Stato il termine «comprensorio», che praticamente è ancora indefinito? Voi sapete che si stanno discutendo i diversi livelli del decentramento, che si dibatte circa l’abolizione o meno delle Province, e via dicendo; siamo quindi in una fase in cui il problema del comprensorio non è stato praticamente ancora affrontalo.
Melis. Ma, lo ripeto ancora una volta, in Sardegna il comprensorio è divenuto una realtà a seguito di una legge regionale, che ne ha specificato attribuzioni e competenze. Comunque, la formula suggerita dal Presidente penso potrebbe risolvere la questione.
Mingozzi. Vorrei far rilevare che in Sardegna, trattandosi di una Regione a statuto speciale, la parola «comprensorio» avrà un suo significato, ma altrove ne ha un altro. I comprensori non esistono solo in Sardegna, ma anche in altre Regioni, che stanno compiendo un’esperienza in proposito. Quindi, l’uso della parola «comprensorio» potrebbe creare confusione, per cui bisogna trovare una soluzione diversa.
Ottaviano. Credo che gli argomenti portati siano convincenti per il collega Melis. In realtà, di comprensori si è parlato: sono stati anche istituiti, assumendo nei paese le configurazioni più diverse. In generale si tratta di organi strumentali: in taluni casi — ad esempio in Emilia —, di organi di emanazione regionale e di concorso di volontà liberamente espresse dai Comuni in altre Regioni: in altre ancora, ad esempio in Umbria, sono consorzi volontari, e via dicendo. Tuttavia il punto fermo è che quello di «comprensorio» è un termine cui non corrisponde ancora un istituto giuridico. Il tema è in discussione ed è perciò che ritengo che solo quando l’istituto assunte le caratteristiche previste dalla legge comunale e provinciale — né, d’altronde, potrebbe assumerne altre — allora si configurerà con precisione la figura de! consorzio. Per il momento la dizione prevista dall’emendamento è largamente sufficiente, perché se si va oltre il concetto del consorzio si finisce per parlare di un altro ente, al quale non possono essere assegnati compiti e funzioni non consentiti dalla legge ad altri enti che non siano quelli previsti dalla legge comunale e provinciale.
Tonutti. La legge n. 1102 definisce i poteri delle comunità montane. Come è stato giustamente detto, nella realtà italiana i comprensori hanno varia natura.
Melis. Io spero che continuino ad avere diversa natura perché in ogni regione si devono avere le strutture amministrative più coerenti alle varie esigenze.
Mingozzi. È difficile poter stabilire poteri analoghi per tutti.
(…)
Mi rendo anche conto che approvando l’emendamento sostitutivo, si verrebbe ad inserire in questo provvedimento un problema di ordine generale; si potrebbe allora esaminare la possibilità di applicare la modifica solo a questo disegno di leggo. Si potrebbe anche dire: «Le ordinanze relative alla materia oggetto della presente legge di cui all’ultimo comma dell’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, non sono appellabili al Consiglio di Stato».
Non so se sono stato sufficientemente chiaro per il collega Avellone.
Avvelone. È stato chiarissimo.
Melis. Devo dire che trovo molto strana queste sentenza del Consiglio di Stato. Io non ho particolare esperienza in questo campo, ma se debbo rifarmi a criteri analogici, per esempio in materia civile, non mi pare che le ordinanze del giudice di merito siano impugnabili in appello, ma sono gravate di appello insieme alla sentenza, cioè con il provvedimento definitivo vengono devolute al giudice di secondo grado.
Pertanto, con il vecchio codice di rito il giudice si pronunziava sempre con sentenze parziali (quelle che oggi vengono chiamate ordinanze) che, come tali, erano appellabili. Con il nuovo codice, entrato in vigore nel 1942, si è snellito il processo e anziché pronunziare sentenze parziali si sono pronunziate ordinanze; e queste sono impugnabili (si la riserva di impugnazione) ma con la sentenza definitiva, che devolve al giudice ad quem l’intera vertenza.
Questo è quel che io affermo anche in base a criteri anagogici di giustizia e di giurisdizione. Tutt’al più è ipotizzato un caso di sospensione temporanea dell’esecuzione della sentenza, dichiarata temporaneamente esecutiva dal giudice di primo grado e da parte del giudice di appello, prima di pronunziarsi sul merito; ma ci deve essere una sentenza dichiarata temporaneamente esecutiva, ed allora, in sede di appello, il giudice dell’appello la sospende temporaneamente prima di pronunziarsi sul merito della materia dedotta al suo giudizio.
Gusto. Io confesso di avere una profonda e consolidata ignoranza in materia giuridica; ma cerco di ragionare con il buon senso.
Qui ci troviamo di fronte alla richiesta di sospensiva di un provvedimento davanti al TAR, il quale si pronuncia e dice: sospendiamo e poi vedremo nel merito. Allora, il problema da risolvere è se è da consentire che l’ordinanza di sospensione possa o non possa essere appellabile al Consiglio di Stato. Per ragioni di celerità, dato che stiamo parlando di acceleramento delle procedure, ritengo che il primo comma, con il quale si pongono dei limiti entro i quali il TAR deve pronunciarsi, e l’impossibilità, stabilita dalla seconda parte di quel comma, di appello al Consiglio di Stato dovrebbero indurre il TAR a pronunciarsi entro quei termini che sono previsti. Questa proposta mi sembra che non escluda che quando il TAR si pronuncia nel merito, possa essere appellato, in quella fase. Ma il giudizio sulla sospensione mi pare che sia difficile per il Consiglio di Stato; ritengo più semplice e più facile giudicare se ordinare o meno la sospensione per il TAR, che ha la possibilità di decidere meglio. Non so se in questa maniera (ripeto, in tale materia sono di una enorme ignoranza) lediamo in qualche modo i riti consolidati.
Melis. È riconosciuto in questo provvedimento che la giurisprudenza è nel senso contrario; questo innova.
Federici, relatore alla Commissione. Non solo innova, ma lo fa in un caso specifico
Gusso. Vorrei aggiungere che ho parlato di questo argomento con il senatore Mancino, che ha proposto un disegno di legare (all’esame attualmente, se non sbaglio, della 1a Commissione), che propende per questa soluzione, cioè di accogliere l’emendamento proposto dal senatore Federici, trovandolo inquadrato in quella riforma della (…)
l’ultimo comma dell’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non sono appellabili al Consiglio di Stato ».
Il problema della limitazione nel tempo della normativa, senatore Gusso, potremmo anche considerarlo, ma sarà più opportuno farlo quando interverrà la riforma complessiva e generale; allora, in quella sede, si potrà decidere in merito. Per il momento, poiché ci dobbiamo interessare al problema dell’accelerazione delle procedure, ritengo che non possiamo fare di più rispetto a quanto proposto con l’emendamento all’ultimo comma dell’articolo 5.
Presidente. Dopo l’ampia discussione svoltasi sull’emendamento stesso, mi pare sia il caso di riepilogare i termini del nostro dibattito.
Innanzitutto, desidero ricordare alla Commissione l’impegno assunto di ultimare entro questa sera la discussione del presente disegno di legge: esso e composto di 33 articoli e, pertanto, vi e ancora un lungo cammino da fare.
Più particolarmente, in merito all’articolo 5 in esame, ritirato dal senatore Federici l’emendamento proposto al suo primo comma relativo agli enti locali territoriali, è sorta una questione in merito al suo ultimo comma. Due proposte sono state al centro del nostro dibattito: la prima, tendente a sopprimere l’ultimo comma dell’articolo 5 la seconda, tendente a sostituire tale comma con un altro contenente disposizioni del tutto diverse in una materia, per la verità, complessa e delicata nello stesso tempo, in quanto attiene ai rapporti tra i diversi organi dello Stato.
Ebbene, ritengo che noi non possiamo approvare un emendamento modificativo dell’ultimo comma dell’articolo 5 concernente, ripeto, una materia tanto delicata da comportare pronunce da parte di un organo che legittimamente poteva emetterle, senza che la nostra decisione sia confortata dal parere della Commissione affari costituzionali, il che, naturalmente, richiede tempi piuttosto lunghi per l’approvazione definitiva del provvedimento, da varare, invece, al più presto.
    Questi sono dunque i termini del problema, spetta ora a noi decidere che cosa fare. Possiamo pensare, comunque, di dare il nostro assenso all’emendamento proposto dal senatore Federici senza sentire, per una materia tanto delicata e complessa, il parere della Commissione competente la quale, tra l’altro sta lavorando attorno a questi problemi? In ogni caso, se decidessimo di attendere un tale parere dobbiamo anche essere consapevoli del ritardo che, inevitabilmente, subirà l’iter del provvedimento.
Federici, relatore alla Commissione. Desidero far presente che l’emendamento in questione costituisce. — per così dire — la proiezione concreta del parere espresso, in merito al problema, dalla Commissione affari costituzionali.
Mola. Poiché il sub emendamento del senatore Federici è coerente con lo spirito del parere della Commissione affari costituzionali, se non ci sono vincoli di carattere regolamentare, io sarei del parere di pronunciarci sull’emendamento presentato dal relatore. Se vi fossero invece vincoli procedurali imposti dal regolamento, allora riesamineremmo la questione. Presidente. Vincoli imposti dal Regolamento non ve ne sono. La convinzione che l’emendamento sia correttamente interpretativo del parere espresso dalla Commissione, ci fa superare la difficoltà.
 Federici, relatore atta Commissione. Vorrei far presente che per correttezza abbiamo proposto il subemendamento. Si tratta della materia di questa legge, nel senso che le ordinanze sono relative alla materia oggetto di questo provvedimento. La questione, quindi, si restringe.
Melis. L’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, prevede che il giudice di appello possa sospendere l’esecuzione della sentenza in via cautelare e provvisoria in attesa di pronunciarsi definitivamente, mentre non prevede che egli possa sospendere l’ordinanza o la determinazione assunta dal giudice di primo grado in relazione alla sospensione del provvedimento. Quindi l’espresso riferimento al potere del giudice di appello, cioè del Consiglio di Stato di sospendere la sentenza e non anche i provvedimenti cautelari, esclude evidentemente che questo potere il legislatore abbia voluto attribuire al giudice di appello. In questo senso si è mosso il Consiglio di Stato, tant’è che questa è la prima sentenza che si discosta da quella interpretazione. Infatti qui si dice: «La quarta sezione, discostandosi dalla precedente giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha ritenuto appellabile…»: cioè, in coerenza con il chiaro testo della legge, il Consiglio di Stato ha interpretato l’esclusione dell’appellabilità. D’altronde esiste però una logica dell’ordinamento giuridico nel suo insieme. Quando facevo riferimento alla mia esperienza di avvocato civilista e non amministrativista, ricordavo che i provvedimenti che non definiscono la causa costituiscono la unica possibilità di definirla. La sentenza nel giudizio civile è chiamata ordinanza e come tale non è appellabile anche quando disponga un provvedimento cautelare, ad esempio, un sequestro.
Leggo qui che il collegamento con il codice di procedura civile consente di ravvisare, nell’ordinanza che decide la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, la forma del provvedimento cautelare che nel nostro diritto positivo e temporale non è applicabile né, di regola, revocabile. Cioè, quanto per intuizione giuridica andavo dicendo poc’anzi, lo trovo confermato dalla autorevole dottrina di questo testo che il collega Federici ha portato per sostenere la sua tesi. Per questo io ritengo che si debba approvare l’emendamento senza bisogno di dover reinvestire della materia la Commissione affari costituzionali, che ha maggiore competenza di noi in questa materia, un po’ perché essa si è già pronunciata in modo chiaro e penetrante anche con la relazione Mancini, e un po’ perché in questo modo ci troveremmo di fronte ad un tentativo del Consiglio di Stato di appropriarsi di poteri che la legge non gli ha conferito.
Presidente. Il Governo è d’accordo sull’emendamento proposto?
La Forgia, sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il Governo si rimette alla Commissione.
Presidente. Allora passiamo alla votazione dell’emendamento sostitutivo dell’ultimo comma dell’articolo 5, con l’aggiunta che è stata proposta dal relatore. L’emendamento così recita:
« Qualora nelle materie oggetto della presente legge venga presentata domanda di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato, a norma dell’articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, detta istanza non potrà essere trattata sino a quando il ricorrente non abbia presentato la domanda di fissazione d’udienza. Nel caso di accoglimento della domanda di sospensione l’udienza di merito deve essere fissata entro il termine massimo di quattro mesi dall’adozione della relativa ordinanza, la quale non potrà comunque avere un’efficacia superiore a sei mesi.
Le ordinanze relative alle materie oggetto della presente legge emesse ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non sono appellabili al Consiglio di Stato ».
Poiché nessuno domanda di parlare, lo metto ai voti.
È approvato.
Metto ai voti l’articolo 5 quale risulta con l’emendamento testé approvato.
È approvato.

Art. 6. (Deliberazioni degli enti locali territoriali)
Gli atti deliberativi degli enti locali territoriali, dei loro consorzi e delle comunità montane, concernenti l’esecuzione delle opere di cui all’articolo 1, possono essere delegati, per periodi di tempo prestabiliti e
per importi determinati, alle giunte o comitati direttivi degli enti predetti. Tali atti sono Immediatamente esecutivi.
Federici, relatore alla Commissione. A questo articolo, c’è un emendamento formale in collegamento con l’articolo 5 e poi una precisazione da fare nella penultima riga, ove invece di «Tali atti» si deve dire: «I predetti atti deliberativi». Si tratta di una precisazione per non incorrere in errori di interpretazione.
Russo. Avevamo anche detto che alle parole «alle giunte o comitato direttivi» si potevano sostituire le parole «gli organi direttivi», perché se tali organi specificatamente si chiamano giunte, comitati direttivi o consigli direttivi, giustamente ed in generale vengono chiamati anche organi direttivi.
La Frogia, sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Nel momento in cui stralciamo dal testo le parole «dei loro consorzi e delle comunità montane», viene meno l’esigenza di mantenere la dizione «comitati direttivi», perché il termine «comitato direttivo» si riferisce ai consorzi e alle comunità montane. Praticamente annulleremmo l’essenza dell’articolo.
Federici, relatore alla Commissione. Li consideriamo compresi tra gli enti territoriali.
Gusso . Per le giunte sono d’accordo. Il problema era la denominazione dell’organo direttivo dell’ente territoriale diverso dal Comune.
La Forgia, sottosegretario di Stato per i lavori pubblici. Il comitato direttivo non è l’assemblea.
Gusto. Possono chiamarsi comitati direttivi o consigli di amministrazione, o ancora in altro modo. Nello statuto del consorzio si stabilisce la denominazione «giunta esecutiva», per esempio. Non so se dal punto di vista tecnico giuridico sia giusto dire «giunte o comitati direttivi» oppure «giunte o organi esecutivi».
Presidente. Il primo problema da risolvere è allora quello relativo al mantenimento o meno della dizione «dei loro consorzi e delle comunità muntane», perché se essa viene soppressa cadono anche le parole «o comitati direttivi degli enti predetti»: resterebbero infatti solo gli enti locali territoriali, i quali, come sappiamo, non hanno altri organi oltre alle giunte.
Piscitello. Mentre mi sembra di dover confermare l’opportunità di sopprimere le parole «dei loro consorzi e delle comunità montane», come si era stabilito, suggerisco che all’espressione «enti locali territoriali» si dia un’interpretazione onnicomprensiva, dato che il consorzio non è sufficiente, avendo origine e natura associativa volontaria — questa era del resto la preoccupazione da cui partiva il collega Melis — e talora anche obbligatoria, ma con carattere di associazione: i consorzi, come tali, non sono enti territoriali, ma organizzazioni di interessi, di omogeneità, di sviluppo, anche di programmazione di interventi, ma non territoriali. I comprensori sono invece enti territoriali, almeno nella interpretazione sarda ed anche in qualche interpretazione in itinere riguardante la Sicilia: dove si è parlato, ad esempio, di consorzi, ora si parla invece volentieri di qualcosa di diverso, cioè di comprensori. In ogni caso si interpreta nel senso più ampio del termine: se tale interpretazione è ammissibile può essere utile, evidentemente, ed è ovvio che nella espressione «enti locali territoriali» debbono essere compresi consorzi, comunità montane e comprensori.
Presidente. Ad ogni modo si può approvare un ordine del giorno interpretativo della volontà in tal senso della Commissione.
Melis. Non sono convinto, perché gli enti locali territoriali sono definiti dalla Costituzione. I consorzi si sono poi costituiti per ragioni specifiche, particolari, come ad esempio i consorzi di servizi.
Comunque, ritengo che il minor danno consisterebbe nel lasciare le cose come stanno, però ricordando che mettiamo in sofferenza un’istituzione che in Sardegna prende un nome diverso, ma svolge le stesse funzioni dei consorzi.
Federici, relatore alla Commissione. Allora possiamo lasciare l’articolo nella sua formulazione originaria. Vorrei però far notare che l’articolo 5 e l’articolo 6 trattano due momenti diversi e che dobbiamo anche tener conto del fatto che, con ogni probabilità, presso l’altro ramo del Parlamento si è svolto lo stesso dibattito, con le conseguenti precisazioni. Ora, per sottolineare la diversità dei due momenti, lascerei, ripeto, la dizione originaria, salvo la sostituzione, nell’ultimo periodo, delle parole «Tali altri» con le altre: «Tali atti deliberativi», per un migliore chiarimento.
Presidente. Allora, poiché nessun altro domanda di parlare, metto ai voti l’emendamento sostitutivo testé proposto dal relatore.
È approvato.
Metto ai voi l’articolo 6, quale risulta con l’emendamento testé approvato.
È approvato.
Art. 7. (Pareri)
Il Consiglio di Stato, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, ivi comprese le delegazioni speciali, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana devono emettere i pareri prescritti sui progetti e sui contratti per l’esecuzione di opere dichiarate urgenti ed indifferibili nel termine di sessanta giorni da quello in cui è pervenuta la richiesta di parere. Qualora il parere sia favorevole, senza osservazioni alle conclusioni della richiesta, il dispositivo è comunicato telegraficamente.
In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, le procedure amministrative riprendono il loro corso prescindendo dall’eventuale parere tardivamente pronunciato. In ogni caso l’istruttoria ed il parere vanno definiti entro sessanta giorni dalla data di ricezione, da parte dell’organo adito, della notizia o degli atti richiesti.
I presidenti dei predetti organi consultivi riferiranno annualmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri in ordine all’applicazione della suddetta norma, indicando le ragioni delle eventuali inosservanze.
Federici, relatore alla Commissione. Propongo un emendamento tendente a sostituire, nel primo comma, il primo periodo con il seguente: «Gli organi i quali, in base alle vigenti disposizioni, devono esprimersi in sede consultiva sui progetti e sui contratti concernenti l’esecuzione delle opere di cui all’articolo I, sono tenuti ad emettere il parere entro sessanta giorni dalla richiesta».
Poiché possono esserci altri organismi competenti per il parere, abbiamo pensato di suggerire questa formulazione.
Presidente. Poiché nessuno domanda di parlare, metto ai voti l’emendamento proposto dal relatore.
E approvato.
Metto ai voti l’articolo 7, quale risulta con l’emendamento testé approvato.
È approvato.
(…)
Ora, in modo conseguente, e mi pare anche coerente, qual è la ragione per cui si parla di lavori in corso? Perché c’è un cantiere, con delle attrezzature sul posto di lavoro, che rimane sempre lì fintanto che non ha ultimato i lavori, e ciò consente un risparmio notevole, a mio giudizio. Questo concedere pochi mesi in riferimento ai lavori ultimati significa che, ovviamente, il cantiere è ancora sul posto, perché non è possibile che si trasferisca quando i lavori sono ancora in corso. In questo caso la trattativa privata non è possibile, ferma restando la normativa prevista; per cui, con un altro cantiere, vi saranno altre spese, eccetera. La dizione attuale, pertanto, mi pare che sia restrittiva rispetto alla filosofia di questo articolo e del provvedimento in senso generale.
In sostanza, c’è la possibilità di fare una trattativa privata, perché c’è anche un problema di riduzione dei costi, con un cantiere che sta già lavorando (e su questo, evidentemente, siamo d’accordo). Però, siccome non si trasferisce durante i lavori in corso, dovrebbe poter partecipare all’assegnazione del nuovo lotto, salvo che non si voglia limitare, in un certo modo, la trattativa privata. Su questo, ripeto, si può discutere perché vi sono opinioni diverse; però se vogliamo andare incontro a questa esigenza, che si manifesta in modo chiaro nell’articolo che stiamo esaminando, mi pare che sarebbe opportuno emendarlo nel senso da me detto (i sei mesi possono diventare anche tre), anche perché — come voi ben sapete — le procedure sono molto lunghe.
Mola. Se ho capito bene i termini della proposta del senatore Fossa, credo che il risultato potrebbe essere completamente opposto allo scopo che egli si prefigge, perché le imprese potrebbero essere incoraggiate a stare ferme sei mesi dopo aver completato un lotto.
Fossa. Per quale ragione?
Presidente. Per avere a trattativa privata il lotto successivo, che è il doppio di quello precedente.
Fossa. Allora diciamo che non vogliamo la trattativa privata!
Presidente. Mi pare che il provvedimento la voglia utilizzare in un quadro di cautele che badano agli interessi generali.
Mola. Io credo che questo emendamento, come ho già detto, si potrebbe tramutare in un elemento di lungaggine, che sarebbe in contraddizione con la filosofia, lo spirito generale del disegno di legge; mentre, se lasciamo il punto 2) così come, esso corrisponde, invece, alle esigenze di accelerazione nell’attuazione delle opere pubbliche.
Melis. Vorrei esprimere il mio parere. Faccio la seguente ipotesi: il cantiere è ancora in corso di esecuzione e vengono attivate le procedure per la trattativa privata; se nelle more di tali procedure il cantiere viene portato a termine, è possibile portare a termine anche la trattativa privata?
Presidente. Se mi permette, la domanda mi sembra un po’ ingenua perché gli interessati saranno particolarmente abili a mantenere la dizione « cantiere in corso » finché non si concluda il nuovo contratto.
Melis. Mi ero proposto questo problema proprio per scongiurare una simile mancanza di candore da parte dei protagonisti. Vorrei dire che forse sarebbe opportuno fissare un termine strettamente necessario all’esaurirsi delle procedure della trattativa privata. In tal modo si eviterebbe di fornire l’esca o l’incentivo all’imprenditore di prolungare i lavori per usufruire del beneficio. Teniamo presente che tutti i ritardi comportano varianti di spesa in aumento.
Gusso. È nota la mia riottosità nei confronti della trattativa privata e quindi mi dichiaro perplesso su tutto l’articolo, ma mi rendo conto che la dizione proposta dal Sottosegretario è più precisa per quanto riguarda i nuovi prezzi, o il nuovo costo delle (…)