La spallata con la quale Giacomo Sanna ha spazzato dallo scenario politico sardo una fantasmatica “Casa comune dei sardi” ha colto tutti di sorpresa.
A ben guardare però la sua iniziativa è del tutto naturale ed in perfetta coerenza con l’ambiguo quadro politico che l’ha generata. In effetti i soggetti politici partecipanti alla costruzione avevano ben poco in comune.
I sardisti, forti di ottantanni di storia, rivendicano una sovranità istituzionale che trova la sua legittimazione nell’organizzazione federale dello Stato; i nazionalitari di Sardigna Natzione sono addirittura separatisti; Mariolino Floris che non è mai stato federalista e men che mai separatista viene da una recente esperienza di alleanza berlusconiana, (era fra i massimi dirigenti nazionali del CCD di Casini ed ora dell’UDR), mentre Niki Grauso, che non ama il linguaggio cifrato ed amicante del politichese, ha detto papale, papale che lui è alleato di Berlusconi.
Esclusa quindi una qualsivoglia consonanza politica che cosa poteva tenere insieme soggetti politici così diversi?
In assenza di qualsivoglia traguardo comune niente più che il tentativo di sgomitare insieme per ottenere il maggior numero di possibili incarichi dall’uno o dall’altro fronte, con evidente preferenza verso il fronte berlusconiano.
Tendenza confermata non solo dall’aperta dichiarazione di Niki Grauso ma dalle reiterate dichiarazioni pubblicamente espresse da Mariolino Floris circa la sua collocazione a destra e dalla posizione assunta da Efisio Serrenti, alleato alle elezioni comunali di Cagliari di Niki Grauso e, a suo tempo, assertore convinto del “forum delle opposizioni”; in ultima analisi del polo berlusconiano.
Nessuna meraviglia quindi che un militante, radicato nelle tradizioni popolari delle storiche battaglie del Partito sardo qual’è Giacomo Sanna abbia colto tutta l’artificiosa, avvolgente ambiguità delle trattative in atto dissolvendole con l’aperta denunzia fattane all’opinione pubblica sarda ed il contestuale abbandono dell’innaturale consesso. Appellandosi – come ha fatto – alle decisioni del Consiglio Nazionale del Partito ha restituito dignità e legittimazione al ruolo della politica che rischiava di spegnersi nelle trattative sommerse volte di fatto ad ottenere incarichi e ruoli che esulando dalla politica restano saldamente incardinate nel potere fine a se stesso.
Appellandosi al Consiglio Nazionale del Partito Giacomo Sanna è ben consapevole che questo non può contrapporsi e far violenza all’elettorato sardista che, a grandissima maggioranza,, nel ballottaggio del 26 giugno, ha votato a favore della coalizione delle sinistre.
Dei circa 63.000 voti riportati il 13 giugno dal listone sardista e dei 40.000 delle circoscrizioni provinciali praticamente nulla è andato a favore del Polo berlusconiano visto che non è aumentato di neppure un voto ma ne ha addirittura perso circa 3.000.
Poiché l’unica alternativa offerta dal ballottaggio era costituita dalla coalizione autonomista e che questa è cresciuta di oltre 70.000 voti, non credo che vi sia molto da discutere sull’orientamento del popolo sardista circa il futuro del governo regionale.
Escluso che abbiano votato in favore della coalizione autonomista gli amici di Grauso e gli elettori dell’UDR non resta che il voto del popolo sardista.
Infatti, ovunque i sardisti fossero significativamente presenti i voti della sinistre sono proporzionalmente cresciuti, mentre dove il Partito sardo ha perso voti è cresciuto il Polo.
Ciò è avvenuto proprio in quelle aree dove i sardisti si dichiaravano favorevoli al governo delle destre: in una piccola oasi ogliastrina e nella provincia di Cagliari.
Questi dati sono eloquenti perché costituiscono le sole eccezioni numericamente significative rispetto ai risultati regionali del 1994 che sono rimasti costanti sia in provincia di Nuoro che di Oristano e cresciuti in provincia di Sassari. Si è mantenuta una percentuale media del 6% contro il crollo al 2,4% che ha eletto Serrenti nella provincia di Cagliari.
Né si può sostenere che nell’oasi ogliastrina il calo sardista e la corrispondente crescita del polo sia dovuta alla candidatura di Vincenzo Demontis perché nei paesi ove egli ha riscosso il maggior numero di voti il 13 giugno (Escalaplano, Escolca, Esterzili, Gergei, Orroli, Nurri, Perdasdefogu, Seulo, Seui, Tertenia;, Villanovatulo) al ballottaggio la coalizione autonomista è nettamente cresciuta.
In tutto il resto della provincia di Nuoro, di Sassari e della stessa Oristano alla crescita o almeno al mantenimento della forza sardista ha corrisposto un marcato e, insisto nel dire, proporzionale aumento di voti a favore della coalizione.
Certo può ben dirsi che qualche sardista per ragioni di amicizia, di parentela o altre motivazioni personali abbia votato il Polo ma la grande massa così come almeno una parte dell’area di Sardigna Natzione (disubbidendo all’invito all’astensione diffuso dalla dirigenza) ha votato compatta per un governo autonomista di centro sinistra.
Poiché non dubito del voto finale del Consiglio Nazionale Sardista (vincolato fra l’altro dal voto congressuale di Alghero, confermato dall’assemblea dei delegati convocati a Quartu nel dicembre successivo, che s’impegna a ricercare alleanze «tra le forze laiche, riformiste e moderate, nazionalitarie e dell’area del centro e dell’area di sinistra nei le quali il Partito sardo storicamente si è sempre collocato, auspico di tutto cuore che anche l’UDR, Mariolino Floris in testa si unisca alla grande famiglia della coalizione autonomista di centro sinistra.
Del loro contributo, della loro esperienza la Sardegna ha bisogno come credo abbia bisogno di una opposizione preparata, incisiva ed incalzante.
La destra sarda vanta uomini di sicuro valore in grado di assolvere con grande dignità a tale ruolo; a cominciare da Mauro Pili, Mariano Delogu, Gianfranco Anedda, Usai, Floris Junior, Pittaiis ed altri della cui stima ed amicizia mi onoro.
Ma loro rappresentano il principe e noi vogliamo rappresentare il popolo.
Mario Melis