Un Presidente “Sardista” votato dalle destre – 29 novembre 1999

Giusto per capire: il Partito Sardo d’Azione conserva ancora l’organizzazione ed i valori di partito politico o s’è trasformato in una delle tante correnti di pensiero aperta a tutte le possibili soluzioni dell’umana fantasia?
Sinceramente non capisco.
Insegnamento ed esperienza mi avevano chiarito che l’appartenenza a qualsivoglia partito politico presuppone il consenso dei militanti su alcuni obiettivi di fondo, costituenti il patrimonio ideologico che li impegna alla difesa gelosa dei suoi valori ed alla lotta per affermarli nella Società e nello Stato.
Il partito, pur organizzato in termini gerarchici, non definisce le sue strategie attraverso ordini militarmente sanzionati, ma stimola la discussione e il confronto delle diverse opinioni finalizzate al raggiungimento dei traguardi di fondo istituzionalmente definiti.
Il dissentire dall’impostazione proposta dalla dirigenza per la migliore soluzione di un determinato problema non costituisce quindi una lacerazione interna all’unità del partito, ma un arricchimento del dibattito volto alla individuazione del migliore itinerario per conquistare vittoriosamente la meta proposta.
Il problema è diverso quando sui mille giorni (per dirla con Mao) germogliati sul dibattito, l’assemblea del partito – o gli organi abilitati a farlo in base a statuto – sceglie e decide vincolando così, in virtù di prassi democratica, l’intera militanza. Chi si ribella alle norme che danno ordine, dinamismo o certezze alla vita del partito se ne mette volontariamente al di fuori. Del che il partito non può che prendere atto.
Ovviamente non basta criticare la decisione assunta dalla maggioranza per mettersi fuori dal partito. È infatti compito delle minoranze lottare, attraverso la critica, tentare di modificare le decisioni che non condivide, e diventare, con il consenso dei più, la nuova maggioranza. È questa regola fondamentale di democrazia.
Ma quando da legittimo dibattito si passa ad atti ostili alle legittime decisioni del proprio partito, non solo lo si è abbandonato ma si è passati nello schieramento opposto.
Un partito degno di questo nome non può che prenderne atto ed adottare i provvedimenti conseguenti.
Nel nostro Partito l’ultimo congresso ha deliberato la collocazione nell’attuale schieramento politico a sinistra.
Apro breve parentesi per significare che sinistra per noi non significa lotta di classe e vocazione collettivistica, ma volontà di cambiamento; impegno a contrastare la destra storica italiana la cui politica ha inflitto alla Sardegna ed all’intero Mezzogiorno, il sottosviluppo economico, l’emarginazione sociale ed in ultima analisi, attraverso l’assistenzialismo clientelare, il più torbido isolamento isterilito dal perenne suicida conflitto fra poveri.
In questo contesto storico è invece nostro preciso impegno perseguire una politica liberale che, fatti salvi valori sociali preminenti su tutti gli altri, attraggano nell’isola capitali d’investimento, creino nuove attività produttive, risanino la piaga della disoccupazione, offrendo lavoro e futuro alla collettività operaia, intreccino nuovi e vitali rapporti con i paesi mediterranei, dando alla Sardegna, restituita al governo reale dei sardi, un ruolo protagonista internazionale che le meschine pratiche di accattonaggio istituzionale, imposto per oltre un secolo dalla logica coloniale delle destre italiane, ci ha sino ad oggi imposto.In tale contesto sinistra è per noi libertà, forza di popolo, impegno di futuro, riscatto storico del popolo di Sardegna.
Questo con la sua scelta, che per altro confermava precedenti deliberativi, ha voluto il congresso di Alghero.
Ebbene Efisio Serrenti, con rispetto parlando a quanti lo sostengono, abbacinato dalla prospettiva di personale successo nella gerarchia istituzionale della regione, si è messo contro il deliberato del Partito. Non solo, ma in Consiglio Regionale è passato ad atti ostili, facendosi votare, in contrasto con deliberati congressuali, Presidente del Consiglio Regionale dalle destre (tali apertamente autodefinitesi) assumendo di queste la rappresentanza e la difesa.
Non solo: ha votato contro la giunta sostenuta dal Partito Sardo che aveva designato a farne parte due suoi rappresentanti.
Di più: alle riunioni convocate per derimere e comporre contrasti fra le forze politiche presenti in Consiglio Regionale, ha partecipato, così mi dicono, non nella veste di arbitro, ma di componente della parte che lo ha eletto: come uomo di parte; ed ancora una volta contro il suo partito.
Ciò che però mi offende non solo e non tanto da militante, ma da cittadino sardo, è la ferita inferta all’istituzione autonomista che fa sintesi di tutti i valori della sardità e la rappresentanza nel mondo.
Ha banalizzato il ruolo del Presiedente del Consiglio (obbedendo all’intimazione pubblicamente rivoltagli dalla destra consiliare) che gli ricordava di essere a quel posto in loro rappresentanza e solo in virtù del loro voto) umiliando il nobile ruolo d’istituzione super partes, garante della legalità democratica, privando così il Parlamento sardo del suo rappresentante indiscusso visto che ora bisognerà andarlo a ricercare nella confusione degli schieramenti ed all’interno delle correnti che li agitano.
Cinquant’anni gettati al vento. Da Anselmo Contu ad Efisio Serrenti (con rispetto parlando). Anselmo ingigantito dal nanismo politico del suo (politicamente parlando) abusivo successore.
Come non ricordare che proprio Anselmo Contu, durante la prima legislatura, ha scritto una limpida pagina di democrazia, dimettendosi dalla carica di Presidente del Consiglio Regionale quando il Partito sardo uscì dalla maggioranza che lo aveva eletto e passò all’opposizione nel suo impegno militante, nella circostanza, Anselmo ha ritenuto di dover concorrere con il proprio voto al successo della linea sardista. Ma questo avrebbe tolto al suo agire il ruolo di super partes proprio del Presidente del Consiglio; semplice: si dimise da Presidente del Consiglio e votò. Votò e lottò fino alla fine dei suoi giorni discutendo, dissentendo e proponendo ma mai contrapponendosi e men che mai tradendo il proprio partito. Ma soprattutto difendendo ed esaltando, anche con proprio sacrificio il ruolo delle istituzioni dell’Autonomia Regionale.
Tutto ciò premesso: che ho da condividere con chi, seguendo Serrenti contrasta le decisioni e la politica del Partito sardo schierandosi con altri partiti sino a formare con questi maggioranza contro il Partito sardo?
Se la nostra dirigenza non sa, o non vuole fare chiarezza su questo punto, il Partito come tale non esiste più. Ciascuno è libero di non rispettare le decisioni, di contrastarle, di entrare organicamente in schieramenti partitici contrapposti a combattere la politica militante del Partito sardo.
Ci siamo così trasferiti in un aggregato abbastanza disorganico ed anomalo, accostabile al circolo culturale ma senza far cultura e, per la verità neppure politica, visto che ciascuno se ne sceglie una che ha per giunta il pregio di non impegnare il futuro, ma solo la ricerca di ciò che più conviene al momento e per il momento. Vogliamo finire così?