Che tristezza! – intervento giornalistico – Nuoro, 17 novembre 1995

A leggere le cronache e le dichiarazioni pubbliche di questi ultimi giorni sulle vicende del Partito Sardo c’è da fare amare riflessioni.
Vecchi e qualificati militanti quali Pilleri ex Segretario Nazionale del Partito e Casula già Direttore del “Solco” (da quasi settant’anni organo ufficiale del Partito) costretti ad appellarsi ad un Tribunale per contestare un’espulsione determinata dal dissenso critico nei confronti della Segreteria sulla formazione della Giunta tecnica presieduta dall’On. Palomba.
La Segreteria a sua volta definisce i suoi critici “personaggi screditati e dannosi” affermando che il mancato rinnovo della tessera ai suoi critici è un fatto politico interno al P.S.d’Az. da affidare al giudizio degli organi statutari.
Fanno seguito poi alcuni messaggi in codice ai gruppi interni oscuramente legati alle vicende della prima Repubblica e della prima autonomia colpevoli di non fare passi indietro per consentire così il rinnovamento.
Sì, è davvero molto triste assistere a questo inverecondo spettacolo.
Certo che i problemi politici di un Partito vanno risolti e definiti dagli organi statutari ma se questi, espressione della maggioranza, violano le norme statutarie alla minoranza non resta altra scelta che subire l’ingiustizia o il ricorso alla giurisdizione ordinaria.
È un fatto eccezionale; è ben triste che proprio al Partito Sardo, che per sua natura è Partito di minoranza, sia accaduto che una minoranza interna sia stata costretta a ricorrere ai giudici per ottenere il rispetto del diritto al dissenso.
Per l’intelligenza dei lettori ricordo che Pilleri e gli altri amici avevano pubblicamente criticato la Segreteria che aveva rifiutato la designazione di Bachisio Bandinu all’Assessorato alla Pubblica Istruzione proposta dal Presidente Palomba, preferendole una personalità degna della più alta considerazione ma, per la verità, estranea alla tradizione sardista.
Quelle critiche, giuste o sbagliate che fossero (io dico giuste), erano comunque legittime.
Da noi non hanno mai allignato alcune forme di stalinismo e il dibattito all’interno del Partito è stato sempre estremamente vivace e, di norma, pubblico.
Ricordo mie personali polemiche giornalistiche con il mio amico Michele Columbu, pubbliche riserve e aperte critiche fatte da Michele Columbu all’allora Segretario Carlo Sanna e, tornando indietro agli anni mitici del sardismo primigenio, gli scontri sui giornali dell’epoca fra Bellieni e Lussu, fra Fancello e Bellieni e così continuando.
Ma Cecilia Contu ha un precedente in famiglia; quando Michele Columbu venne candidato alla Camera dei Deputati in alleanza elettorale con il Partito Comunista, Anselmo Contu si dissociò pubblicamente da quella decisione; in piena campagna elettorale rilasciò interviste critiche cui i giornali dettero giustamente – data l’alta considerazione di cui era circondato il personaggio – grande rilievo che sicuramente influirono negativamente sul voto dei sardisti.
Ne soffrimmo tutti a cominciare dallo stesso Anselmo e gli altri amici che gli volevano bene ma che in quella circostanza non seguimmo.
A nessuno però venne in mente di revocargli la tessera e di considerarlo nemico del sardismo.
Queste cose le fanno i regimi totalitari ove chi comanda ha sempre ragione e chi si oppone è un traditore, un venduto al nemico e contemporaneamente abbarbicato alle poltrone e in quanto, manco a dirlo, espressione di un torbido regime superato da eradicare perché appartenente (quale originalità) alla prima Repubblica e, perché non ci siano dubbi, alla prima autonomia.
Lei si considera evidentemente, non si sa ancora in base a quali ideologie innovative, alfiere della “seconda”. Un primato sicuramente Cecilia Contu l’ha ottenuto: offrire un’immagine del Partito rissosa, livida e, al di la dell’alleanza di Governo, asfitticamente isolata.
Conclude nel peggiore dei modi la sua esperienza. Ma io ho poco da protestare perché pensando a prospettive del tutto diverse l’ho, a suo tempo, votata contribuendo al suo devastante successo.