Il Parlamentare – fine anni ’90

All’emozione esaltante dell’elezione, delle felicitazioni ed auguri di tanti amici che a quella elezione hanno contribuito e del rappresentanti istituzionali che assolvono così ad un tradizionale rito di cortesia, si accompagna, di norma, un sentimento di viva e calda partecipazione dell’eletto ai tanti problemi che, in positivo e in negativo, dominano la vita della Comunità.
L’eletto in quel momento si ripromette di intrattenere un intenso e solidale dialogo con tutti e con ciascuno nel bisogno sincero che avverte di rispondere alle loro aspettative e di sentirsi confortato dal loro caldo e costante sostegno.
La realtà però non tarda a rivelarsi nel suo scabro quanto funzionale dispiegarsi.
Quegli obiettivi costituenti patrimonio ideale della militanza politica che il candidato ha proposto, con convinta enfasi, al voto popolare assumono in Parlamento un profilo più incisivo e definito, conchiuso, direi quasi imprigionato, in formulari di cui sono capaci solo gli addetti ai lavori e che solo gli addetti al lavori capiscono.
Battaglioni di numeri statistici abilmente assemblati dagli uffici studi di Partiti schierati contro quell’obbiettivo e dalla burocrazia istituzionale normalmente contraria a qualsivoglia cambiamento che riduca il suo potere, evidenziano le difficoltà che l’eletto sarà chiamato ad affrontare.
Ma vi e di più. Se l’eletto è militante in un grosso partito dovrà iniziare un serrato confronto all’interno del suo Gruppo parlamentare la cui attenzione e prevalentemente concentrata sugli obiettivi indicati dalla Segreteria politica del partito, considerando le iniziative del singoli niente più che patetici tentativi di richiamare su di sé, attraverso i giornali locali, l’attenzione e l’apprezzamento del proprio elettorato. Le iniziative, salvo rarissime eccezioni, si spengono così nell’indifferenza dell’aula andando da aggiungersi alle tante promesse elettorali non mantenute.
Il partito per contro gli chiederà di svolgere nella commissione che ha scelto o, frequentemente, cui e stato assegnato, di svolgere le tesi che sui singoli problemi l’ufficio studi del suo partito ha già elaborato e di sostituire nelle Commissioni di cui non fa parte, di norma ai soli fini del voto, i colleghi di partito assenti, e, sempre per esigenze di voto, di partecipare a tutte le sedute dell’aula, nella quale, ben raramente, gli è concesso di prendere la parola a nome ed in rappresentanza del suo partito.
Una presenza oscura, senza echi, sostanzialmente scollegata dalla realtà sociale, economica e culturale che con tanta trepidante speranza lo ha mandato in Parlamento.
Al parlamentare rappresentante una piccola forza politica sono invero con-sentite maggiori possibilità. Può prendere la parola in aula (solitamente semivuota) sugli argomenti più diversi rendendo testimonianza fervida, appassionata e, se ne ha vocazione e capacità, anche eloquente, sui diversi temi all’ordine del giorno nel corso di tutta la legislatura; altrettanto può fare in Commissione.
Privo com’è di un ufficio studi che gli offra supporti conoscitivi sui diversi problemi che intende discutere è costretto a un artigianato parlamentare che, pur conservando freschezza di pensiero, tensione politica e forza propositiva, manca di norma di quella sintesi ordinamentale senza la quale difficilmente e proponibile al voto dell’Assemblea.
Il problema sarebbe di ben poco conto se intorno a quelle proposte si for-masse apprezzabile consenso politico. A ciò si oppone però la vocazione al parlamentarismo delle assemblee italiane, parlamentarismo che è l’antitesi del molo del Parlamento, sbriciolato com’è dall’estenuante gioco delle furberie trasformiste, costantemente impegnate a dissimulare con l’enfasi dei grandi principi di Dio, Patria e Famiglia, corposi, dominanti interessi di cui tutti si sentono zelanti soccorritori.
Sì, una grande solitudine politica contrassegna l’impegno del Parlamentare sia del grande che del piccolo partito, una solitudine che diventa anche fisica visto che le aule si affollano solo per sentire i leaders, e sono malinconicamente semivuote quando questi non sono direttamente impegnati e lo stesso Governo, in assenza del Ministri, si fa rappresentare in aula, salvo casi di rilevante importanza, dal Sottosegretari. Né sono di grande aiuto ai Parlamentari i rapporti interpersonali con i colleghi di norma dai temi del comune lavoro, più che nel dialogo si esauriscono nel confronto fra le diverse tesi alla cui elaborazione di tesi e antitesi hanno provveduto le Segreterie del rispettivi partiti, lasciando all’isolato del piccolo partito, di cui è magari unico rappresentante, l’impegno a scavare tra i valori che costituiscono il suo patrimonio spirituale, ideologico e culturale quelle scelte che, pur avendo talvolta il pregio dell’originalità, solo raramente scuotono e coinvolgono l’attenzione ed il ripensamento del colleghi.
A contrastare l’azione politica del rappresentante di un piccolo partito, finito di norma nel cosiddetto gruppo misto, concorre ii regolamento interno delle Camere che danno ingresso a iniziative parlamentari quali Ordini del giorno e dei lavori, solo se la richiesta è sottoscritta perlomeno da un capo gruppo parlamentare o, in mancanza -per quel che ricordo- da non meno di 20 parlamentari.
Sì, il Parlamento Italiano è profondamente malato, ridotto com’è a far da cassa di risonanza alle Segreterie nazionali dei partiti che depotenziano in modo incisivo il suo principale ed essenziale ruolo di potere legislativo che in uno all’esecutivo e al giudiziario va a costituire la base vitale dello Stato di diritto.
Né meno pesante e la solitudine di vita del parlamentare.
Ciò soprattutto per un sardo che non risieda a Cagliari o a Sassari, cioè in vicinanza degli aeroporti. Costantemente preoccupato di trovare posto in aereo, specie in occasione degli affollati voli del periodo turistico, giunge a Roma di martedì per ripartire di venerdì. Le sue giornate sono cadenzate dagli orari di lavoro delle Commissioni e dell’aula che lo tengono occupato mediamente dalle 8 alle 10 ore quotidiane, cui vanno aggiunte quelle dedicate alla lettura di documenti e preparazione dei propri interventi.
Un rincorrere incessante gli orari per riuscire ad affrontare proficuamente e con dignità intellettuale vari temi all’ordine del giorno.
Guai a dire banalità o peggio fare scena muta, si entra rapidissimamente nell’aneddotica delle topiche parlamentari.
A conclusione della giornata infine la solitudine diventa malinconia. E bensì vero che si cerca di stabilire rapporti umani con colleghi insieme ai quali rilassarsi con argomenti intellettualmente gratificanti, nell’intervallo fra dopo cena e l’ora del riposo, ma si tratta di soluzioni episodiche a causa degli impegni gravanti in modo temporalmente diseguale sui singoli parlamentari che, fra l’altro, non tutte le settimane raggiungono Roma, o perché trattenuti da impegni di partito o personali nella propria sede, o perché partecipi di Commissioni in viaggio di studio in Italia o all’Estero.
Salvo i leaders che hanno amicizie nell’ambiente e che sono contesi dal sa-lotti più prestigiosi dell’alta società romana, nonché da associazioni culturali, i parlamentari sono di norma attesi da lunghe malinconiche serate vuote che solo la proiezione di qualche bel film è in grado di stemperare.
Ma gli stessi rapporti con la base elettorale diventano sempre più episodici per cui si va a stabilire una sorta di incomunicabilità fra eletto ed elettori.
C’è chi tenta di rimediarvi con decine di interrogazioni e, regolamento per-mettendo, interpellanze da destinare ai giornali locali, ma del tutto irrilevanti nelle annoiate sedute parlamentari.
Da queste premesse sembrerebbe che il mio un giudizio sia totalmente negativo sull’esperienza parlamentare: non è così. Soprattutto per il rappresentante di un piccolo partito che si impegni costantemente nel richiamare l’attenzione dell’Assemblea e del Governo sui temi e problemi che costituiscono la base ideologica e programmatica del suo mandato parlamentare, pur non ottenendo risultati immediati e risolutori sui singoli problemi di volta in volta trattati, finisce col diventare, per un numero crescente di parlamentari e di Ministri, un punto di riferimento conquistando crescente apprezzamento, simpatia e consenso.
La tenacia, la tensione morale, la forza propositiva, la lealtà intellettuale che ne guidano l’azione politica ne fanno, in breve tempo, un personaggio che si ascolta volentieri, psicologicamente disarmati, posto che l’interlocutore ha dalla sua parte solo il rigore morale dei suoi convincimenti e gli interessi di aree deboli ed emarginate di cui intende far emergere i valori nel rispetto dell’Assemblea.
Il problema politico non è quindi tanto quello di mandare molti rappresentanti in Parlamento, quanto di aggregare intorno al valori emarginati una partecipazione crescente di cittadini.
Solo in virtù di questo il consenso di trasforma in un fatto politico capace di incidere sulle decisioni volte a risolvere i problemi che nessuna solitudine può cancellare.