Intervento sulle Elezioni politiche – maggio 2001

 Pinta la legna e mandala in Sardegna

Questo sprezzante giudizio sentivo ripetere da Sardi amareggiati quando, bambino, ascoltavo le considerazioni del grandi che commentavano i fatti del giorno. Il mio sardismo è inconsapevolmente fiorito respirando in casa il clima politico diffuso da discorsi, comportamenti e progetti del miei fratelli maggiori, non posso però escludere che al fondo di quella che poi sarà una scelta di vita, vi sia il bruciore suscitato dalla riflessione popolare che denunziava lo sprezzante giudizio di un mondo esterno, sconosciuto e mitico sulla Sardegna ad i Sardi.
Queste considerazioni sono riemerse nel sentire come i partiti stanno definendo le candidature del futuri rappresentanti della Sardegna nella prossima legislature.
A questo appuntamento il Partito Sardo, pur consapevole che l’elezione alla Camera del Deputati è possibile solo alle liste che riportino almeno il 4% del voti su base nazionale e che anche per l’elezione al Senato sono favoriti i candidati sostenuti da coalizioni di partiti, ha deciso, contro ogni apparente logica, di scendere in campo da solo o con la sola alleanza di Sardigna Natzione il cui apparato non potrà certo farci superare lo sbarramento del 4%, né ci da certezza alcuna per il successo al Senato.
Non è un segreto interno al partito che io, pur apprezzando il valore e la nobiltà di una testimonianza politica non gratificata da sicuro successo, ho contrastato la scelta, autorevolmente sostenuta dal segretario nazionale del partito e da molti altri amici.
Pensavo, e penso, che le elezioni non sono un fatto eminentemente simbolico ma confronto-scontro su diverse correnti di pensiero e il complesso degli interessi che coinvolgono il futuro della comunità chiamata a scegliere i suoi rappresentanti. Puntando su un’alleanza che sia la meno lontana dal nostri traguardi ideali avremmo ottenuto due importanti risultati: 1° mandare in Parlamento uno o forse due rappresentanti sardisti e 2° contribuire a contrastare quella parte politica oggi a noi più ostile. Rischiamo altrimenti di cadere nell’idealismo parolaio inconcludente e frustrante, posto che la sconfitta non esalta ma, di norma, scoraggia e disperde gli sconfitti.
Il Partito Sardo è forza di popolo, radicato nella storia, nella coscienza, nei problemi e nella speranza di un futuro aperto a prospettive capaci di superare il passato di emarginazione, sottosviluppo e subalternità.
Non siamo, non lo siamo mai stati, trogloditi;abbagliati dalla “legna pintata” dei colonizzatori.
Il popolo infatti non è mai caduto nell’inganno ma ha resistito senza illusioni alle mille angherie della oppressione, applaudita solo dai cortigiani asserviti ai padroni di turno.
Ebbene, oggi debbo riconoscere che aveva ragione il segretario nazionale del partito, Giacomo Sanna, nel sostenere la scelta politica di non allearci ai partiti nazionali.
Lo spettacolo, a dir poco ignobile, offerto delle loro direzioni romane, nega le fondamenta dello stato regionalista e supera ogni immaginazione di decenza.
Capisco lo sconcerto e lo sdegno di personalità quali Pinuccio Serra, Nino Giagu, Gian Mario Sells, Tore Amadu, Gian Valerio Sanna e tanti altri che denunziano con le loro dimissioni l’oppressiva ed umiliante invadenza delle rispettive direzioni nazionali nel decidere chi dovrà rappresentare la Sardegna nella prossima legislature, ignorando che l’autonomia è libera scelta popolare delle personalità che dovranno rappresentare, con i valori morali e culturali, gli interessi economici e la dignità dei Sardi nel duro confronto con le altre componenti delle assemblee legislative.
Sono quindi lieto ed orgoglioso che il Partito Sardo non sia stato neanche per un momento esposto all’insultante pericolo d’essere coinvolto in scelte romane che decidono di far rappresentare la Sardegna da candidati sconosciuti che non hanno ottenuto collegi in nessun’altra parte d’Italia o che in Sardegna ci sono nati ma non ne hanno vissuto sofferenze, progetti, utopia e la dura lotta per realizzarli nel giorno dopo giorno, senza vane albagie ma con fervido costante impegno.
È questa la loro autonomia ? Questa la sovranità popolare ? Questa la democrazia?
La solitudine dell’alleanza sardista non si pone tanto contro altri Sardi ma come alto monito che solo nell’unità del nostro popolo potremo scrollarci di dosso subalternità, sottosviluppo, emigrazione.
Chiamiamo tutti i Sardi amanti della loro terra, orgogliosi di una sardità che non sfida, né implora, ma lotta con le sue forze per affermare i valori di una giustizia che la storia del colonizzatori ci ha negato, e ci nega, e che solo l’unità del popolo potrà conquistare.
L’esperienza di oggi chiama tutti i Sardi all’esigenza di dar vita ad un grande movimento regionale multianime che abbia però quale obiettivo primario quello di promuovere lo sviluppo della Sardegna. Strumento essenziale di tanto alto e nobile impegno è l’autonomia elevata, nella sfera delle nostre competenze, a sovranità. Quindi unità delle diverse componenti democratiche sarde nel confronto politico con i poteri esterni, sia economici che istituzionali, riservando al dibattito interno le scelte di politica regionale non soggette a controllo e decisioni esterne.
Solo così la Sardegna potrà vincere la sua battaglia. Divisi perdiamo. Apriamo fra noi un confronto serio, leale su come realizzare la grande unità dei Sardi.
Incontriamoci subito dopo le elezioni, consapevoli che solo muovendo dalle comuni radici sapremo progettare e costruire un comune futuro. Che dire?
Forza Paris!