Intervento giornalistico – anni ’90

È inutile girare intorno al dito dell’essenziale. Il mercato interno è residuale e comunque insufficiente ad autofinanziarsi.
Anni fa, da senatore, chiesi al collega deputato Silvio Spaventa (militante nel gruppo della Sinistra Indipendente) di darmi il suo parere sull’impatto che un certo programma economico nazionale avrebbe avuto sull’economia sarda. Mi rispose telefonicamente da Tivoli, (ove lo raggiunsi): “Mi chiedi uno studio estraneo alla mia cultura. Ragiono per grandi numeri. La Sardegna non li ha.” Aveva ragione. Ma la mia terra era la Sardegna e non potevo arrendermi all’idea che fatti i calcoli sui grandi numeri, cioè sulle regioni ricche, si riservassero ai piccoli numeri (cioè a noi) gli avanzi, ossia le briciole.
È altresì vero che non sempre abbiamo saputo utilizzare al meglio le nostre risorse e che, nei casi peggiori, siamo sprofondati nella lebbra del clientelismo. Guai a non guardarci dentro e individuare i momenti deboli del fronte interno.
La Sardegna esprime in ogni secolo grandi personalità, in ogni campo. Ma non classe dirigente: il tessuto fitto, robusto d’intelligenze imprenditoriali, intellettuali, sindacali, giornalistiche e politiche che assume su di sé ruolo protagonista e unitariamente, con o senza specifico progetto, ma nel logico concatenarsi d’interessi generali, individua gli obiettivi sui quali puntare per realizzare progresso, sviluppo e nuova civiltà.
Mi sto lasciando prendere dalla penna che scorre in libertà. Ma alla tacita accusa di utopismo (o forse più semplicemente di politico che sbaglia) che Lei con garbo aveva nei miei confronti, pur mantenendo rapporti formalmente e sostanzialmente non solo cortesi, ma operativamente solidali, rispondo:
Ricorda quando nel ’49 nacque la Regione ed oltre 170 paesi in Sardegna non avevano energia elettrica? Il carbone Sulcis, con la centrale di Portovesme e la super centrale di Carbonia ci ha portato da 400mila Kwh a 4miliardi e 400mila Kwh. Tutta la Sardegna, rapidissimamente, ha disposto di energia elettrica (andata a sostituire in 170 paesi l’energia muscolare), esportando per breve tempo gli esuberi non consumati. Oggi insufficienti.
Lei pensa che il carbone di miniera costi più del petrolio. Ma gassificato moltiplica le sue potenzialità mentre il petrolio, fra pochi decenni, sarà destinato non più a bruciare in caldaia per produrre energia, ma per produrre l’infinita gamma di prodotti che la chimica è in grado di ricavarne. Dall’alimentare, ai plastici, alle gamme di farmaceutici, dai tessuti ai nuovi materiali, resistenti alle pressioni e così continuando.
Un bene così prezioso, destinato a finire a ritmi di grandi consumi, dà luogo a folle sperpero, incompatibile con serio progetto di futuro.
La verità è che i paesi produttori, solitamente subalterni a potenze straniere, vendono e svendono per armi, poteri e altre protezioni che la politica dell’oggi può oggi loro garantire. È vero che si parla di energia fredda, che sarebbe una sorta di bomba ridotta a momento produttivo di energia pulita. Ma quando?
Torniamo al tema di fondo: il mare. La zona franca, non parlo più di porti franchi, perché è del tutto ovvio che non ha senso un’estensione puramente territoriale della zona franca, se non è assistita dal complesso di infrastrutture (strade, ferrovie reti elettriche, fognarie, acquedottistiche, elettroniche, ecc.) senza le quali nessuna azienda vi si può impiantare. Si tratta di non subire solo la franchigia nella portualità ma dove serve; quindi anche nella Sardegna interna.
Mare e zona franca. L’avere le materie prime direttamente, con navi da 2/300mila tonnellate, non solo darà alla Sardegna il ruolo di incontro e smistamento della ricchezza di una parte del mondo, ma offrirà agli operatori sardi di accedere alle materie prime in condizioni di privilegio, non solo finanziario, ma fisico, rispetto alla concorrenza che potrà finalmente essere fronteggiata da imprenditori, sardi e no, ma qui insediati, liberati finalmente dalle diseconomie che Ella mi ha sempre contestato. Mare e libertà ciò che non significa sganciarsi da alcuno, ma diventare protagonista attivo non più assistito ma creativo.