La Regione nello scenario internazionale – Dichiarazioni programmatiche – Consiglio regionale – 30 luglio 1987

 

C’è in noi questa duplice consapevolezza: del breve tempo disponibile in questo scorcio di legislatura per collocarvi un programma organico, agile, nel quale definire scelte prioritarie; che però (ed è questa la seconda esigenza) abbiano il valore di proiettarsi nel tempo, nel lungo termine, sfuggendo alla logica della congiuntura, del precario, dell’episodico, pur in presenza di una situazione così difficile da potersi considerare quasi un’emergenza sul piano sociale.
Dobbiamo cioè raccordare le opzioni programmatiche ad un progetto di ampio respiro da realizzare appieno. Dobbiamo coordinare queste azioni, quindi, a un’idea guida che emerga forte, che si stagli come punto di riferimento per la società sarda e che costituisca forza trainante per le azioni cui dovremo assoggettare ogni nostro impegno. Un’idea guida che dia coerenza all’azione regionale, distinguendo gli obiettivi dai mezzi per conseguirli, e attribuendo ad ogni componente sociale e istituzionale uno specifico ruolo. L’idea guida, colleghi, non può che riassumersi, emergere, prorompere come forza di autonomia, come forza di iniziativa che però si collochi in una nuova dimensione culturale di livello nazionale e internazionale. Questo non potrà fare certo la sola Giunta: vi dovranno concorrere le forze sociali, le forze politiche, gli intellettuali, la società nel suo insieme; dovremo elaborare una piattaforma di autonomia di respiro strategico, che dia risposta ad una crisi la quale, pur nell’impatto greve, oppressivo, delle mille necessità che incalzano da ogni parte, è soprattutto una crisi di qualità, una qualità che ci deriva dai processi in atto a livello europeo e mondiale di divisione e di specializzazione del lavoro.
E la Sardegna vive questa condizione di precarietà, di insicurezza, collocata com’è nella frontiera periferica fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, in una condizione che può precipitarla nell’involuzione di un terzo mondo che la cultura, l’attenzione, il solidarismo internazionali stanno sempre più allontanando dalla coscienza civile dei popoli; perciò il disimpegno verso il grande sud dell’umanità sta diventando sempre più scelta di governo dei paesi avanzati. In quella frontiera la Sardegna minaccia di precipitare, a meno che, col contributo di tutti i sardi, non riesca a gettare un’ancora che la ricolleghi ai paesi industrializzati. E, su questo piano, l’interrogativo verte sulle cause che costringono la nostra gente e la nostra isola in questa dimensione. Esse sono da ricercare nelle gravi carenze di cui soffre la Sardegna, carenze finanziarie, certo (non è una novità), carenze di tecnologia — e quanto questo sia importante in una società che nella sofisticazione dei processi produttivi trova la forza della sua competitività non ho bisogno di illustrare — e di managerialità. Ebbene, tutto questo si ricollega ad un depotenziamento dell’autonomia.
Non sono certo io a dire che le istituzioni autonomistiche sono in crisi, che l’involuzione centralistica dello Stato segna ogni giorno punti in danno di un regionalismo che arretra, che essa impoverisce la nostra azione di proposta e di governo. In queste condizioni la Giunta viene al Consiglio per dire che rifiutiamo la resa, che rifiutiamo quel senso di frustrante abbandono e di fatalismo che appartiene ai secoli bui della storia del nostro popolo, consapevoli come siamo che dall’iniziativa politica che saremo capaci di sviluppare scaturirà la possibilità di uscire dalla marginalità cui appunto la specializzazione del lavoro oggi ci condanna.
La Regione deve diventare soggetto attivo nello scenario internazionale per acquisire nuove risorse attraverso la modernizzazione dei processi economici, dei processi organizzativi, dei processi culturali e dovremo a questo fine affrontare problemi molto peculiari e specifici, migliorare l’utilizzazione delle risorse ambientali prima di tutto, umane, naturalistiche — perché no? — paesaggistiche, delle materie prime; dovremo riorganizzare il processo produttivo sulla base di nuove tecnologie, se vorremo tenere il passo con il ritmo del progresso che ormai tutta l’umanità va perseguendo e che anche nei paesi sottosviluppati si va sempre più affermando. Dovremo perciò adeguare la società sarda alle trasformazioni culturali e scientifiche che sono necessarie. Perché tutto questo si verifichi dovremo incidere in modo profondo nella sua trasformazione della struttura della società dei servizi. Siamo in una civiltà «di rete»; la rete viaria, quella del commercio, la rete ferroviaria, la rete marittima, la rete aerea; ma ancora la rete della comunicazione, da quella telefonica a quella radiofonica, a quella telegrafica e a quella dell’immagine, della televisione, dell’informazione, che ci rende contestualmente presenti al verificarsi di fatti rilevanti, determinanti nella vita dell’umanità e livello planetario. Nella civiltà «di rete» siamo coinvolti tutti, in quello che oggi sì chiama tempo reale, e siamo chiamati ad assumere decisioni e ad adottare provvedimenti capaci di fronteggiare le situazioni che si vengono a creare con la tempestività che il nostro tempo impone, pena l’essere tagliati fuori e quindi ben più drammaticamente marginalizzati.
Le società che ne dispongono vivono delle reti acquedottistiche, laddove l’acqua diventa elemento non solo di produzione e di economia, ma di sopravvivenza civile; ebbene nella civiltà moderna basta che una di queste reti si fermi perché si fermi l’intera società, ma se esse mancano, se sono insufficienti, la società non cammina. Ed allora ecco l’altra esigenza: attrarre i capitali, attrarre le risorse dall’esterno. Tenendo ben fermo tuttavia che queste non arrivano come variabili indipendenti nei processi economici, ma sono dipendenti dal realizzarsi delle precedenti condizioni. Un ambiente ricettivo, una cultura della tecnologia, un’organizzazione ed un armamento del territorio adeguati all’operare di queste iniziative: ecco le precondizioni, altro che variabili indipendenti!
Ed allora, cari colleghi, la riflessione che dobbiamo fare si incentra su questa domanda: se vi è ritardo, se la marginalità, la perifericità della condizione sarda debbono essere recuperate, quale strumento occorre individuare? L’intervento straordinario forse? Ecco un interrogativo al quale siamo chiamati a dare risposta, perché siamo stati testimoni di un processo che non si è ancora concluso, ma che ha già dato risposte sufficienti ed illuminanti.
L’intervento straordinario è un mito illusorio e mistificante; l’intervento straordinario si pone in termini miracolistici, ma sostanzialmente non affronta i problemi: li elude, costituendo però un alibi per quanti hanno responsabilità di governo. Solo con mezzi ordinari il riequilibrio territoriale, economico, culturale, sociale e civile tra le diverse aree del paese sarà reso possibile; solo attraverso le politiche dei singoli ministeri questo problema potrà essere aggredito e risolto, pena il vivere di assistenza. Così come si è atteggiato fino ad oggi il ricorso al cosiddetto intervento straordinario è da respingere.
Esso può essere legittimo solo come fatto che vada ad aggredire le nicchie di sottosviluppo che nascono in virtù di una peculiarità specifica ed irripetibile nel contesto del paese: ma sono le politiche ordinarie, quelle che realizzano la giustizia distributiva delle risorse. Laddove esistono le carenze l’intervento ordinario deve provvedere a colmarle: nella sanità come nelle infrastrutture industriali, come nelle infrastrutture civili, in quelle viarie come in quelle sanitarie, realizzando gli aeroporti o i porti, le strade, gli asili, le aree attrezzate per la produzione, realizzando strumenti e mezzi in condizioni di parità reale, perché la par condicio tra i cittadini non sia solo parola scritta, mera conquista cartolare della Costituzione, ma realtà creativa, che nel territorio si realizza per merito delle popolazioni che vi operano. L’intervento straordinario può servire solo ad integrare quello ordinario per provvedere alle specifiche carenze di realtà come per esempio, la Sardegna, che si trova in una condizione di insularità non comune a nessun’altra area del Paese, e che esprime una storia, una cultura ed una serie di problemi non riproponibili in altre Regioni. Noi condividiamo con altre Regioni le conseguenze negative di un certo tipo di politica, non necessariamente le cause del mancato sviluppo. L’intervento straordinario è illusorio, è mistificante, è truffaldino: basti pensare alla politica delle Partecipazioni statali, che, nate per costituire punto di forza e di traino dello sviluppo, in Sardegna stanno rapidissimamente disimpegnandosi e cercando di smobilitare, mentre si rafforzano in altre aree dove l’economia è forte, dove è forte l’occupazione, dove nessuno specifico problema economico o sociale ne legittima la presenza. Basti pensare alla politica della pubblica istruzione: si afferma (come no!) l’esigenza di rafforzare gli istituti di ricerca e le Università del Mezzogiorno; si sostiene che la cultura deve avere un effetto diffusivo, per diventare strumento di crescita reale della comunità meridionale; però le risorse vengono ripartite con particolare benevolenza verso i grandi istituti universitari del Nord e date invece col contagocce (quando vengono date) alle Università del Sud. Ecco l’intervento straordinario, ecco l’inganno di un miracolismo che promette illusioni, poi rapidamente deluse da un intervento aggiuntivo angusto e senza respiro. La Regione non può essere semplice destinataria di interventi esterni, ma deve concepire e governare l’intervento ordinario e l’intervento straordinario in termini unitari, e considerare entrambi, insieme alle risorse dei propri bilanci e a quelle che possono provenire dalla solidarietà europea, quali componenti di un’unica manovra politica, di una progettualità globale che consenta di agire nel quadro di una più ampia prospettiva.
In questi termini, affrontando il problema dello sviluppo nel medio periodo, noi riteniamo di dover attribuire un valore centrale alla questione ambientale, proponendoci di massimizzare e razionalizzare l’impiego del suolo e dell’acqua, cioè del territorio e delle risorse che in esso sono utilizzabili. La Sardegna può diventare centro di ricerca, di sperimentazione, di elaborazione di raccolta di tecnologie finalizzate alla salvaguardia e alla promozione dell’ambiente, trasformando quello che è oggi un problema in una risorsa, in una risorsa che abbia valenze economiche.
Noi dobbiamo fare della Sardegna un centro di raccordo, di ricerca scientifica e tecnologica, trasformando l’ambiente in tema di sviluppo, creando così un laboratorio sperimentale di ricerca e di promozione dello sviluppo, di diffusione del sapere e della cultura. Dobbiamo riuscire a coinvolgere l’intero popolo sardo, creando questa scuola globale che le tecnologie di oggi ci consentono di realizzare attraverso la didattica a distanza, con la formazione, la qualificazione e l’aggiornamento di insegnanti, di tecnici, di funzionari, di quanti operano in settori strategici, ricorrendo anche a centri di formazione di rilievo nazionale ed internazionale.
Dobbiamo quindi ripensare profondamente all’istruzione professionale, farne un fatto di alta modernità, un punto di forza, un punto dirompente che innovi dal profondo il modo di stare e di guardare al futuro. Il nostro sistema di formazione, da punto di debolezza quale è, deve diventare punto di forza, e questo lo possiamo realizzare solo in sinergia con gli interventi nei settori strategici dello sviluppo sull’intero ambito territoriale. D’altra parte, poiché la ricerca di base è condizione essenziale per l’innovazione dei processi produttivi, dobbiamo porci come obiettivo e destinatario l’impresa, onde trasferire al sistema delle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, gli arricchimenti culturali che la ricerca può realizzare; dobbiamo cioè coniugare la ricerca pubblica con la produzione quale precondizione per lo sviluppo. E allora, formazione, ricerca, applicazione, sviluppo, valutati nel loro insieme, devono costituire una progettualità globale, in base alla quale articolare un bilancio pluriennale che sia fondato sulle politiche del lavoro, dell’impresa, dell’ambiente, dell’infrastruttura, della ricerca. Solo così possiamo guardare ad una crescita sociale, economica, istituzionale, culturale, in breve: ambientale.
Noi siamo consapevoli che la Sardegna deve internazionalizzare sempre di più il suo ruolo e la sua testimonianza politica. Oggi le nostre importazioni provengono per il 95 per cento dalle produzioni del continente italiano; le nostre esportazioni vanno per il 15 per cento all’estero e per 1*85 per cento nel mercato italiano; tutti questi dati sono depurati dal commercio della petrolchimica e della chimica.
Questo che significa? Che siamo all’interno di un mercato chiuso, che la nostra economia non ha un respiro adeguato ai problemi del nostro tempo, che dobbiamo di necessità internazionalizzare sempre più la nostra presenza. Siamo inseriti già oggi in istituzioni di livello internazionale, ma la nostra partecipazione alla Comunità Economica Europea non può esaurirsi in un sistema di limiti, in un sistema di divieti, in un insieme di norme che avviluppano, che comprimono, che non consentono, a causa dei loro condizionamenti, un’espansione spontanea delle potenzialità produttive del nostro popolo, e che ci offrono, in cambio, una assistenza tutto sommato insufficiente. Noi dobbiamo entrare nell’Europa con la forza prorompente ed originaria di capacità creative e produttive che scaturiscano da quelle iniziative di cui parlavo all’inizio del mio dire e che siamo in grado di determinare.
Noi viviamo in un’isola, non abbiamo economia marittima, non governiamo il rapporto col mare: viviamo il mare come un limite, uno sbarramento, una prigionia, anziché come una risorsa; questa condizione psicologica e culturale ci impedisce ancora oggi di guardare alla prospettiva di una internazionalizzazione reale. Noi dobbiamo essere una forza europea e mediterranea insieme, e perché tutto questo possa realizzarsi, colleghi consiglieri, dobbiamo prima di tutto attuare il nostro Statuto, chiedere che le norme di attuazione non restino anni in attesa di definizione e che siano finalmente approvate dal Consiglio dei Ministri. E ancora dobbiamo utilizzare le risorse che già sono presenti, con una nuova legge sul credito e con una legge che innovi in materia di commerci internazionali. La Giunta regionale, su mandato del Consiglio, ha elaborato uno studio sulle franchigie fiscali e doganali: questo disegno di legge già all’esame del Consiglio e la Giunta ne sollecita la discussione e l’approvazione. Una legge sul credito, dicevo: una legge in materia di istruzione e cultura, inoltre, che consenta, sia pure nell’ambito e nei limiti molto ristretti dell’attuale Statuto, di attuare l’articolo 5, esaltando, in virtù dell’autonomia speciale, il ruolo e la funzione della stessa specialità, riconquistando spazi alla peculiarità della cultura e della lingua sarda. Dobbiamo inoltre invertire il rapporto di dipendenza formulando un’ipotesi di nuovo Statuto, che la Giunta ha già elaborato: il progetto è stato già licenziato dagli specialisti e sarà all’esame della prossima Giunta, per contrastare la linea di una autonomia incompleta.
Ecco: io penso, colleghi, che il rapporto con l’Europa sia la nuova frontiera che noi dobbiamo conquistare. Un rapporto da realizzare attraverso riforme che vedano meglio definirsi quell’intuizione magica che circa settant’anni fa, proprio qui in Sardegna, ebbero i primi regionalisti, quando, per usare una espressione allora molto in voga, si usciva dal dramma della guerra. Quel concetto della patria e delle piccole patrie che non venivano viste, no, come un recinto all’interno del quale chiudersi in una solitudine soddisfatta di sé, nel ricordo di magie perdute nel tempo, ma per diventare protagonisti, per diventare soggetti politici a pieno titolo e dialogare col mondo esterno…
Diceva Camillo Bellieni: «Noi abbiamo levato dinanzi all’impetuoso Mediterraneo le bandiere dei quattro mori, non certo in nome di un partito politico, ma in nome di una sardità che si affacciava al mondo rompendo l’isolamento dei millenni, rompendo la solitudine dei millenni ed entrando nella storia d’Europa da protagonista, non più da subalterna». E questa realtà noi affermavamo allora dalla Sardegna, mentre l’Europa andava vivendo la notte oscura, di tregenda, dei nazionalismi che chiudevano gli stati in un rapporto di potenza e di egemonia che armava gli eserciti e poneva i popoli gli uni contro gli altri. E nel breve volgere di mezzo secolo l’Europa e l’umanità precipitavano in un’altra tragedia sterminatrice, in un’altra enorme carneficina che si concludeva con la seconda guerra mondiale. Dopodiché i popoli, spossati, sfiniti, impoveriti dalla guerra, hanno incominciato a pensare all’Europa, a quell’Europa di cui in Sardegna, con grande intuizione e divinazione politica, si diceva 25 anni prima.
Ecco, questa può essere la nostra nuova realtà e tutto questo ci chiama allora a ripensare in modo diverso la nostra autonomia, perché non è più l’autonomia all’interno dello Stato, non è più l’autonomia, sia pur speciale, all’interno della realtà italiana, ma è l’autonomia da vivere nel contesto europeo con ì diversi poteri di tipo internazionale che siamo chiamati ad esercitare. Poteri che non ci trasformano, no. in soggetti di diritto internazionale, ma non ci impeto con gli stati del Mercato Comune Europeo. Allora la nostra autonomia deve acquistare dimensione, cultura, rilievi, profondità sino ad oggi sconosciuti nella pratica operativa; e noi lo possiamo fare soltanto coinvolgendo il popolo, coinvolgendo le forze sociali, coinvolgendo i cittadini, gli intellettuali, le forze politiche, le istituzioni. Quando andremo a coinvolgere i comuni nella gestione dello sviluppo, in questa dimensione che non è più né comunale, né provinciale, né regionale, né nazionale, ma è internazionale, allorché avremo il mercato unico d’Europa e quando la libera circolazione delle merci, delle culture e delle professionalità ci farà cittadini di un’unica grande realtà democratica, allora noi dovremo essere preparati e tutto questo avrà effetto su Milano o su Capoterra, su Castelsardo o su Cagliari.
Dovremo preparare non più, allora, una società fondata su una democrazia rappresentativa, sempre più in crisi, ma su una democrazia partecipativa. La nostra società oggi esprime nel Parlamento italiano solo tre partiti che superano il 10 per cento dei voti, mentre tutti gli altri sono al di sotto di quella soglia: che significa? Che la gente non vuole dare più mandati a rappresentarla e a farsi rappresentare, la gente vuole partecipare; siamo in presenza di una democrazia partecipativa sempre più prorompente. Lo stesso partito del Presidente che vi parla, nel Parlamento italiano si legittima in termini di partecipazione, più che di rappresentanza; tre soli partiti — dicevo — superando il 10 per cento dei voti possono superare questa visione.
Ed allora andiamo incontro ad una società governante; una società che è coinvolta in tutte le sue strutture; non una società che si fa governare, quasi da una élite di addetti ai lavori, di politici professionisti, ma una società che vuole governare essa stessa, che vuole entrare essa stessa nel vivo dell’azione. E la proposta di programma straordinario che mi accingo a discutere nella seconda parte del mio intervento articolerà proprio questo tipo di proposta, nel coinvolgimento degli enti locali, nel coinvolgimento delle strutture di una democrazia di base della quale abbiamo sempre parlato, della cui partecipazione — ma in termini di pura consultazione — abbiamo sempre parlato e che noi oggi vogliamo invece protagonista e responsabile di iniziative e di azioni che la rendano protagonista.
Ecco, colleghi, a questo punto io vorrei passare alla seconda parte, alla proposta di un programma che, nel concreto, crei un filo conduttore tra le Giunte che ho avuto l’onore di presiedere in questa legislatura e la Giunta che oggi mi accingo a rappresentare, e che, se sarà confortata dal voto del Consiglio, dovrà governare per i prossimi due anni. E a questo fine mi rivolgo alla cortesia del Presidente del Consiglio e a quella dell’Assemblea affinché mi vogliano concedere 10 minuti di sospensione per riposarmi.
PRESIDENTE. Sospendo la seduta per 10 minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 11 e 50, viene ripresa alle ore 12 e 18).
PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori del Consiglio. Ha facoltà di parlare l’onorevole Presidente della Giunta.
MELIS (P.S.d’Az.), Presidente della Giunta. Ringrazio lei e ringrazio l’Aula della cortese sospensione, che mi ha consentito di recuperare, in questa estate afosa, quel minimo di forza per riprendere il discorso temporaneamente sospeso.
La Giunta che oggi si presenta al voto del Consiglio, come formula politica, e direi anche come sua composizione, ha alle sue spalle un lungo impegno, che ha prodotto risultati rispetto ai quali si pone, in termini politici, in un rapporto di continuità.
Non siamo qui per innovare o correggere indirizzi o attività operative, che sono alle nostre spalle e che ricordiamo come impegno profuso con generosità, con intelligenza, con tensione politica ed etica a vantaggio della collettività regionale da parte di tutti coloro che della Giunta facevano parte. Ed è perciò che alle spalle abbiamo un lavoro che trova i suoi elementi caratterizzanti nelle politiche per l’occupazione, per il territorio, per la riforma delle istituzioni. Mentre nel Paese si determinava infatti, soprattutto nell’ultimo triennio, una fase di sviluppo economico che, pur con due pesanti aspetti negativi costituiti dal Mezzogiorno e dalla disoccupazione, tuttavia ha consentito il rilancio nel contesto internazionale dell’economia italiana, la Sardegna ha continuato a mostrare i segni del suo sottosviluppo e a vivere il dramma della disoccupazione di massa.
L’azione del Governo regionale si è dispiegata quindi in direzione del consolidamento e dell’allargamento dell’apparato produttivo e industriale, della sua modernizzazione, rivolgendosi sul versante dell’industria a partecipazione pubblica e attivando normative regionali specifiche di sostegno alle attività produttive. Nel settore agricolo e in quello industriale sono intervenute modificazioni normative rilevanti, così come nelle politiche degli incentivi e dei servizi ed in quelli riguardanti la ricerca e le innovazioni. Nel settore agricolo, in particolare, l’impulso dato all’attuazione della riforma agropastorale ha consentito di attivare un’enorme mole di investimenti, fino a poco tempo fa inutilizzabili. Le cifre sono nell’ordine dei 20 mila ettari interessati, contri i 200 mila: 20 mila nei dieci anni precedenti l’inizio dell’attuale legislatura; 200 mila negli ultimi tre anni, tanto per avere la dimensione dello sforzo e dell’impulso prorompente che la Giunta è riuscita ad imprimere nel proprio lavoro.
Il ruolo rilevante assegnato alle politiche di sviluppo a comparti come quello del turismo e dell’artigianato ha comportato un rilevante impegno di spesa, assunto in questi settori in misura senza precedenti nel passato. La definizione dello schema del disegno di legge per la zona franca, di cui parlavo anche nella prima parte del mio intervento, consente una riflessione ed un approfondimento sugli strumenti di sostegno allo sviluppo e sull’articolazione del territorio rispetto agli incentivi per i servizi e per la promozione delle attività produttive e di scambio. L’area che però ha visto in questi anni Io sforzo più rilevante è quella del territorio: l’arricchimento della dotazione infrastrutturale, la tutela dei lavori ambientali, la valorizzazione delle peculiarità storico-culturali, l’aggiornamento degli strumenti di intervento, sia di carattere normativo che programmatico, rappresentano nella sostanza l’esplicitazione di questo sforzo.
La politica per la casa si è arricchita in questi anni di mezzi finanziari di grande portata e di una strumentazione riformata che consente oggi una operatività più efficace e sollecita. Fra i grandi programmi di infrastrutturazione attivati con i fondi nazionali o regionali, citerei le grandi opere di irrigazione e di acquedotto, gli interventi di enorme portata sulla depurazione delle acque, sullo smaltimento dei rifiuti, la spesa per i porti turistici, per le piccole aree, per gli insediamenti industriali ed artigiani. L’aver inserito la Sardegna nei grandi programmi nazionali, con gli impulsi, evidentemente di cui abbiamo reiteratamente parlato in questa sede, delle ferrovie, delle strade, dell’energia, delle comunicazioni, con volumi di investimento in corso o programmati per un numero rilevante di migliaia di miliardi, fa intravedere l’attivazione di energie imprenditoriali e lavorative di notevole portata. L’elaborazione ormai avanzatissima dei piani per le acque, per i trasporti, per la telematica; l’approvazione delle nuove norme in materia di lavori pubblici, la presentazione dei disegni di legge sul governo delle acque, sull’ambiente, sugli enti locali rappresentano, per un uso finalizzato delle risorse, una premessa che costituisce base per la riforma complessiva del modo di intervento sul territorio, della quale le ipotesi di riforma normativa per l’urbanistica costituiscono parte significativa e rilevante. Ricordiamo sempre, a questo proposito la delega sempre più ampia accordata agli enti locali, sia con norme di settore che con legge finanziaria annuale, per l’attuazione di opere pubbliche.
L’attivazione di programmi di arricchimento della dotazione infrastrutturale non poteva che essere valutata per la sua capacità di creare effetti economici apprezzabili e soprattutto prospettive di allargamento delle possibilità di lavoro.
L’attuazione dei programmi del FIO regionale è andata poi in questa direzione; la creazione di opportunità di lavoro non poteva che essere oggetto di un impegno specifico di carattere normativo, programmatico e finanziario. Le modifiche alla legge 28 per renderla più funzionale e finalmente operativa sono state introdotte con le leggi finanziarie dell’86 e dell’87, mentre la spesa per la formazione professionale e quella complessiva di competenza dell’Assessorato del lavoro hanno registrato incrementi massicci soprattutto nel 1987 anche per effetto di queste norme modificative dei meccanismi di spesa. Abbiamo destinato, nel bilancio del 1987, somme rilevanti a copertura di iniziative di intervento, quali l’Agenzia dei servizi a vantaggio delle amministrazioni locali, che diventeranno poi, nel più vasto progetto dell’osservatorio del lavoro, parte integrante di questo.
E infine il processo di riforma della Regione, che è stato concretamente avviato, sia con provvedimenti di legge settoriali, cui ho già fatto cenno, sia con l’elaborazione di disegni di legge riguardanti l’organizzazione generale ed il funzionamento della Regione, anche nei suoi rapporti con organismi sub-regionali. La Giunta ha approvato il disegno di legge di modifica della 33 sulla programmazione e quello sull’istituzione dei circondari, ha all’ordine del giorno la proposta di modifica della legge numero 1, che dovrà ristrutturare il sistema di esercizio dell’attività di governo ispirandosi ad un criterio di ampio decentramento. Esistono quindi le premesse per un lavoro di fine legislatura che porti a compimento ed attuazione le iniziative intraprese e ne avvii di nuove, di rapida concretizzazione soprattutto sul fronte del lavoro.
E su questo piano io vorrei sottoporre alcune priorità programmatiche. Direi che la prima di queste priorità, la prima emergenza da affrontare per dare credibilità all’azione della Giunta e fare del governo regionale il polo di attrazione di una vasta mobilitazione sociale, è quella del lavoro. Per far fronte a questo problema la Giunta intende varare un piano di interventi straordinari per il lavoro che coniughi la necessità di produrre effetti operativi apprezzabili nell’arco di un anno con la capacità di approntare strumenti efficaci per Io sviluppo. Si punterà per questo a dotare gli enti locali di strutture tecnico-operative efficaci e a potenziare l’operatività della Regione con l’organizzazione di servizi reali sul territorio e con creazione di supporti tecnico-progettuali per le imprese. Per quanto riguarda il primo aspetto si tratta di dar vita a servizi che risultino nel loro complesso perfettamente coordinati con il progetto generale di riforma della Regione e siano in linea con la prefigurazione degli strumenti operativi da fornire agli enti locali. La strada da seguire deve pertanto essere quella dell’assunzione, da parte degli enti territoriali (è un’ipotesi: potrà essere la stessa Regione a doverli assumere, qualora gli enti territoriali dovessero trovare difficoltà in un ordinamento giuridico che ha creato sbarramenti non facilmente superabili) di giovani tecnici e quadri amministrativi formati o da formare in funzione del ruolo che l’ordinamento autonomistico deve assumere per lo sviluppo.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, cioè l’intervento a favore delle imprese, si punterà ad attivare servizi in convenzione o diretti presso le imprese che presentino programmi di sviluppo o di assestamento. Questi servizi possono, i particolare, venire garantiti attraverso le associazioni di impresa o di produttori e attraverso cooperative. I settori sui quali intervenire devono essere tutti i comparti produttivi per i quali siano previste incentivazioni della Regione. In tutta questa parte dell’intervento deve essere garantito uno sforzo rilevante ed immediato per a formazione professionale che coinvolga, come soggetti operativi, la Regione e i suoi enti, gli enti locali, le associazioni di imprese, le associazioni di produttori, le cooperative ed i loro consorzi, le Università, alle quali potrebbe essere affidata, per la parte di loro competenza, l’attività di formazione. È possibile per esemplificare indicare alcune linee di intervento. Incominceremo dai dirigenti di imprese cooperative nei vari settori della produzione e dei servizi; dai dirigenti di imprese; dai quadri per il piano delle acque e per lo sviluppo di reti di servizio tele-multimediali in cui cogliere, oltre i vantaggi della modernizzazione dell’apparato produttivo sardo e delle sue integrazioni nelle economie avanzate, tutte le opportunità di formazione connesse a questi servizi; i quadri per l’assistenza tecnica e la produzione dello sviluppo in agricoltura e forestazione; i quadri per l’artigianato e la piccola e media impresa; i quadri per la pubblica amministrazione, sia per la carriera esecutiva che per le nuove professionalità necessarie. Per là copertura di questa prima parte degli interventi si può ricorrere ai fondi comunitari (Fondo sociale, FERS, regolamento 797), ai fondi della legge 64, sia nei servizi a sportello che nelle azioni organiche previste dal bilancio della Regione. La parte numericamente più consistente del piano straordinario per il lavoro non può che essere quella dell’occupazione, per certo verso assistita, intendendo con ciò contratti a termine, lavori socialmente utili straordinari o formativi ma non legati esclusivamente a momenti produttivi.
La copertura finanziaria dovrà essere assicurata mediante l’autorizzazione a contrarre un mutuo di rilevante entità da utilizzare progressivamente e nel tempo. Le assunzioni saranno effettuate dagli uffici di collocamento.
Passando ad altro tema di notevole rilevante impegno dell’amministrazione, ci ripromettiamo di svolgere un ruolo molto determinato di rivendicazione (lo dicevo nella parte generale) nei confronti dello Stato in ordine ai seguenti temi: approvazione della nuova legge di attuazione dell’articolo 13, che contenga risorse finanziarie aggiuntive adeguate, ed insieme la previsione di strumenti operativi e la determinazione di poteri che garantiscano l’effettiva e costante aggiuntività, assicurando il ruolo di concorso della Regione nella programmazione nazionale e l’autonomia della gestione. In secondo luogo il rilancio del movimento autonomistico e dell’autonomia speciale. La Regione si propone di svolgere un ruolo attivo nei confronti del Governo facendosi, in primo luogo, promotrice di un progetto culturale ad ampio respiro volto a fare il punto sul significato dell’autonomia regionale oggi. Di questo progetto è parte essenziale la definizione della funzione che la Sardegna può assolvere nel contesto delle relazioni internazionali, ovviamente non nel senso, come poc’anzi dicevo, di una rivendicazione di politica estera con soggettività internazionale, ma nel senso di un suo crescente inserimento all’interno delle iniziative di politica estera prese dal Parlamento nazionale per quel che riguarda i campi di propria specifica e riconosciuta competenza. Nello spirito della rivendicazione e della difesa della propria autonomia la Giunta opererà altresì per la richiesta allo Stato di precise garanzie contro l’utilizzo delle basi militari isolane per fini estranei agli scopi difensivi della NATO (a cominciare dalla base di La Maddalena) e per la progressiva riduzione delle attività e dei gravami militari sull’Isola e sui suoi spazi marittimi ed aerei. La Giunta, al fine di concorrere a promuovere una diffusa consapevolezza della necessità che il Mediterraneo diventi un mare di pace e per promuovere la collaborazione tra i popoli rivieraschi, si propone di organizzare una Conferenza delle Isole e delle Regioni meridionali e delle città del meridione d’Europa (ma io direi anche una grossa Conferenza delle Regioni meridionali), per riproporre globalmente allo Stato il tema del riequilibrio, che costituisce la base essenziale perché lo Stato finalmente si assesti su un piano di civiltà, di democrazia e di giustizia che lo metta su un livello di grande ed emblematico significato internazionale.
L’unità del Paese è ancora da conquistare e da realizzare, e ciò potrà avvenire per merito dei cittadini.
Dobbiamo ricontrattare, purtroppo, e mettere rapidamente a regime tutte le entrate previste dal Titolo 3 dello Statuto, in modo da porre fine alla consistente perdita attuale che la Regione deve registrare (e che ha ripetutamente denunziato) delle quote IVA e IRPEF ad essa spettanti.
Dobbiamo individuare le modalità di gestione della legge 64. Dovremo assegnare valore prioritario alla creazione di un clima di mobilitazione sociale idoneo ad alimentare i processi innovativi ed a stimolare la modernizzazione dei processi organizzativi, gestionali e tecnici; a questo scopo si procederà a varare un insieme di proposte tese ad accelerare il protagonismo dei soggetti operanti nel tessuto regionale (nell’ordinamento autonomistico, negli enti locali, nelle università, nelle imprese, tra gli artigiani ed i commercianti), definendo meglio un piano tecnologico, industriale, economico in generale e costruendo un tessuto articolato e diffuso, con relativa uniformità, su tutto il territorio. L’obiettivo da conseguire è quello di stimolare la partecipazione di tutti i soggetti interessati, nell’ovvio rispetto dei singoli ruoli, all’attività di progettazione dello sviluppo e di rendere compatibile la necessità e l’opportunità del decentramento con l’esigenza di assicurare organicità e controllo alla politica di stimolo dell’innovazione e dello sviluppo, con fasi attuative efficaci ed uniformi in tutto il territorio regionale.
Gli strumenti da attivare per conseguire questo risultato sono: la nuova legge sulla programmazione; una nuova disciplina, orientata ai servizi reali, del sistema degli incentivi industriali ed artigiani; un confronto sistematico tra Regione e forze sociali; il coordinamento delle risorse e la loro utilizzazione secondo programmi finalizzati innanzitutto all’occupazione ed allo sviluppo. Questi dovranno essere i principi-cardine ai quali ispirare la stesura del programma e del bilancio pluriennale, da predisporre contestualmente. Per dare valore non fittizio alla partecipazione all’elaborazione del programma di sviluppo da parte dei soggetti regionali, delle istituzioni locali, delle forze sociali, occorre ribaltare la logica a cui sino ad oggi si è ispirato il Governo nazionale nel dare attuazione all’intervento straordinario. La gestione attuale della 64, ispirata ad una logica centralistica, burocratica, clientelare, è l’esatto contrario di ciò che la Regione intende chiedere e realizzare al fine di conseguire gli obiettivi strategici proposti.
Dovremo esercitare un’azione costante sulle Partecipazioni statali, sulle finanziarie meridionali, sulle aziende autonome, perché assolvano pienamente ai compiti e alle funzioni istituzionali loro precipue; né va taciuta in questo momento la tendenza sempre più marcata delle grandi imprese pubbliche al disimpegno nei confronti della Sardegna. Dovremo quindi realizzare, proprio per fronteggiare questi pericoli, una conferenza delle Partecipazioni statali, quella che è prevista in legge, e che già dal 1981 era stata promessa per l’anno successivo e mai poi realizzata. Debbo ammettere che il ministro Da-rida aveva ormai assunto l’impegno di convocarla, quando le elezioni anticipate hanno determinato il dissolversi, per causa di forza maggiore, di questo suo impegno.
Ancora una volta va sottolineata la necessità di non consentire che le grandi imprese pubbliche utilizzino fondi dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno in attività ordinarie o per interventi di istituto, drenando colpevolmente risorse che vanno destinate alla modernizzazione dell’apparato produttivo ed all’innalzamento della qualità della ricerca e della formazione. Va infine richiamata la consolidata posizione dell’esecutivo uscente sulla questione delle ricadute sul sistema produttivo della politica delle commesse e sulla partecipazione delle imprese sarde ai piani e alle attività di sviluppo della Regione.
Riprendendo un tema che ho già trattato nella parte generale, dirò che, nella prospettiva del grande mercato, la Regione solleciterà interventi di sostegno per le aree deboli (con particolare riferimento alla riforma agricola, alle politiche comuni energetiche, tecnologiche, ambientali, infrastrutturali), orientate nel loro complesso a minimizzare l’attività di assistenza e a massimizzare lo sviluppo. A tal fine, come si è detto, la Giunta si preoccuperà di predisporre le condizioni di attuazione di tutti i prerequisiti e i presupposti necessari per avviare un’effettiva politica di sviluppo basata sulla modernizzazione culturale e sull’espansione di nuove linee di attività produttive.
La riforma della Regione (è sostanzialmente l’ultimo argomento sul quale mi riprometto di intrattenere la vostra attenzione) è una delle condizioni basilari perché questo sviluppo possa concretamente realizzarsi. In coerenza con i lineamenti programmatici enunziati, la riforma va concepita e costruita in funzione delle esigenze della società, dando vita ad una Regione-ordinamento che garantisca in primo luogo la trasparenza e quindi, come dicevo, la partecipazione.
Occorre pertanto puntare non soltanto a dare maggiore efficienza all’ordinamento autonomistico, a renderlo più snello ed attivo (obiettivo già di per sé della massima importanza): ciò che occorre fare in via prioritaria è modellare questo ordinamento in modo da renderlo funzionale ai bisogni di una società complessa come la nostra, così da coinvolgere nelle scelte e negli indirizzi delle istituzioni le grandi masse, i ceti produttivi, le forze sociali.
In quest’epoca saranno predisposti dei disegni di legge da presentare al Consiglio, in ordine al decentramento di gran parte dei compiti gestionali alle comunità locali, cominciando dalle deleghe previste dal DPR 348, dalla riforma dell’assistenza, dalla riforma in agricoltura, dalla riforma della formazione professionale; è prevista anche la presentazione al Consiglio dei disegni di legge di riforma della 33, anche come condizione per l’approvazione entro tempi brevi del bilancio triennale, e della legge numero 1, per puntare a realizzare un’effettiva collegialità della Giunta e concentrare la sua attività sulle questioni di rilevanza generale, per riordinare in modo organico le competenze oggi frammentate tra i diversi Assessorati.
È necessario inoltre finalizzare in termini rigorosi la contrattazione tra la Regione e le parti sociali agli obiettivi di sviluppo e impostare una coerente politica del personale, tesa a non appesantire gli organici con nuovi e non necessari inquadramenti, tenendo presente il principio che il personale segue la funzione.
Altri impegni sono: la piena attuazione dell’articolo 5 dello Statuto, con la presentazione di un disegno di legge per l’esercizio delle competenze integrative in materia scolastica; la predisposizione del bilancio pluriennale, attraverso l’attuazione dei lineamenti programmatici presentati, che comporteranno un rilancio della programmazione basato sulla stesura e sull’approvazione di questo tipo di bilancio, che comporta altresì un piano economico pluriennale.
La Giunta si impegna pertanto a presentare per la prima volta entro i termini di legge i bilanci annuale e pluriennale, quali effettivi strumenti dì programmazione; il bilancio sarà per questo accompagnato da proposte programmatiche e operative per l’ambiente, per l’agro-alimentare, per il piano delle acque.
Saranno inoltre con atti autonomi predisposti ed inviati al Consiglio: il piano telematico; il progetto per la metanizzazione; il progetto per la urbanizzazione delle aree interne; il progetto per la riqualificazione delle aree urbane; la dorsale ferroviaria, con l’estensione della rete ferroviaria alla Provincia non collegata; l’ultimazione del primo lotto funzionale del porto-canale; gli interventi per la realizzazione dell’autosufficienza energetica; il piano territoriale regionale e un progetto-ambiente.
In conformità agli orientamenti programmatici generali esposti, il bilancio curerà con particolare attenzione il finanziamento di programmi di formazione e ricerca finalizzati e concordati con le Università sarde, in modo da dare piena attuazione al protocollo d’intesa tra la Regione e gli Atenei della Sardegna e da potenziare questi ultimi.
Un particolare sostegno verrà dato all’ipotizzato e progettato decentramento delle Università sul territorio regionale, nel quadro della realizzazione di un sistema universitario regionale integrato, senza con questo voler chiudere le porte ad altre ipotesi, che sono state e che costituiscono oggetto di vivo dibattito nella provincia di Nuoro e che costituiscono una prospettiva concreta, nella valorizzazione delle potenzialità che la cultura sarda attende di realizzare; di tali concrete proposte la Giunta verrà a rendere conto in Consiglio, in Commissione, e soprattutto in confronti pubblici, che consentano alla società sarda di valutare in termini propositivi un arco di ipotesi attraverso le quali inserire la Sardegna nelle correnti più moderne del pensiero del nostro tempo.
Un progetto così ambizioso, un’ipotesi di così vasto respiro, un appuntamento così difficile — anche per il tipo dì congiuntura che siamo chiamati ad affrontare — si realizza solo con la partecipazione corale di tutte le componenti della nostra società, delle istituzioni prima di tutto, delle forze politiche, delle forze sociali, del popolo. E noi crediamo che il popolo non senta né disimpegno né frustrazione, che il popolo si senta sempre più protagonista, che chieda il nostro impegno e che chieda, sempre più insistente ed incalzante, un ruolo-guida da parte del potere regionale; un ruolo che è di governo e che è di lotta insieme, perché nel rapporto con lo Stato e con la comunità esistono momenti di energia e momenti di conflittualità. Dobbiamo massimizzare i primi e superare i secondi, ma non lo potremo fare in solitudine; lo potremo fare solamente attraverso la mobilitazione di tutte le energie che sono presenti nella società, di tutti i fermenti che promanano da questa forza che è nella democrazia di base e che vuole esprimersi attraverso le istituzioni e di cui noi dobbiamo cogliere tutta la generosità nell’impegno.
Grande è la nostra responsabilità, grande è il nostro compito, alta è la responsabilità cui siamo chiamati. Io sono certo che la Sardegna sarà presente all’appuntamento con tutte le componenti della sua società, che non vi saranno maggioranze od opposizioni, ma che in questo sforzo di crescita sarà presente tutto il popolo di Sardegna, in una società che governa, che governa il suo avvenire, che lo costruisce, che costruisce il suo futuro per merito dei suoi figli.