Progetto Lega – Un pasticcio per difendere i più ricchi – 18 novembre 1994

Diciamolo: è un pasticcio raffazzonato e confuso che del federalismo ha solo nome. Parlo del progetto di nuova Costituzione federale dello Stato presentato recentemente a Genova dal ministro Speroni. Noi sardisti individuiamo nell’orizzonte federalista alcuni riferimenti cardine: le molteplici diversità territoriali ed umane costituenti una federazione di Stati (o, se si preferisce, chiamarli Cantoni o Landers poco importa) unite dal vincolo della solidarietà. Ci si mette insieme cioè non per confondere le rispettive identità ma, garantendo la reciproca indipendenza, per avvalersi del reciproco aiuto s^ da dare a ciascuno la forza dell’insieme e conquistare, in virtù di questo, traguardi comuni. Un tale impegno impone istituzioni coerenti. Ciò non significa che i federalismi sono stampati su un unico clichet. Il presidenzialismo degli USA è profondamente diverso dalle Repubbliche parlamentari dei Cantoni svizzeri, o dei Landers tedeschi, ma tutti hanno alcune istituzioni che muovendo dalla solidarietà e dall’unità assicurano agli Enti federali, nella reciproca indipendenza, parità di poteri, diritti e prospettive.
Prima fra tali istituzioni è il Parlamento che si articola sul sistema bicamerale. Una Camera rappresentativa dei cittadini e quindi eletta in rapporto proporzionale agli elettori dei singoli stati (Cantoni o Landers), la seconda pariteticamente rappresentativa degli Enti federali. Due senatori per ogni Stato americano, due deputati per ogni Cantone svizzero, e rappresentanti direttamente espressi nel cosiddetto Reich Stadt dei Landers della Repubblica federale tedesca.
Così in America lo Stato di New York e quello dell’Ohio pur fortemente squilibrati quanto a popolazione hanno due senatori al Congresso, così come il Cantone di Uri (meno di 100,000 abitanti) e quello di Zurigo (circa un milione) hanno due deputati.
Il motivo è evidente: se gli Stati federali hanno pari dignità devono avere pari poteri.
Il progetto della Lega non la pensa così. I funesti articoli che vanno dal 55 al 58 prevedono la ripetizione delle attuali Camere, entrambe elette con sistema proporzionale, sì da perpetuare il prevaricante potere delle Regioni più forti su quelle più deboli che ineluttabilmente finiscono nel sottosviluppo. Con un’aggravante. Il Senato, rappresentativo dei poteri federali, non ha alcun potere in ordine alla fiducia sul Governo; restando così senza difesa dalle sortite centralistiche dell’altra Camera e del Governo. Questa è l’esatta antitesi del Federalismo: una riproposizione tout court dell’attuale sistema centralistico. Altro momento fondamentale che qualifica gli Stati federali è la composizione della Corte costituzionale eletta, di norma, per la metà dagli Organi centrali dello Stato e, per l’altra metà, dagli Stati federali salvo l’integrazione, come ad esempio in Germani, di alcune insigni personalità designate dal Capo dello Stato. La proposta leghista ripropone pari pari l’attuale composizione della Corte costituzionale prevedendone l’elezione per due terzi da un Parlamento formato con criteri come quelli attuali.
Ancora una volta un giudice di parte: quella del potere centrale. Ancora più dura è la ripulsa della solidarietà. Questa norma di esprime attraverso il sistema fiscale che deve, per sua natura, tendere al riequilibrio fra gli Enti territoriali rimasti in ritardo nello sviluppo e quelli avvantaggiati. I riferimenti nella proposta si riducono a tre articoli: il primo stabilisce la progressività dell’onere tributario in relazione al reddito, mentre gli altri due dispongono rispettivamente l’autonomia di spesa degli Enti federati e l’ipotesi, del tutto straordinaria ed eccezionale, di aiuti finanziari della Federazione nella misura del 50% della spesa occorrente a favore degli Stati federati (che dovranno sopportare l’onere residuo del 50%).
In soldoni: non è prevista alcuna sede di compensazione per la redistribuzione territoriale della massa delle entrate tributarie dello Stato e quindi neppure criteri per tale ripartizione. Morale: le Regioni ricche si tengono la loro ricchezza e le povere la loro povertà. Si perpetua così un processo di sviluppo distorto nel quale i ricchi procedono ad una velocità di gran lunga superiore rispetto ai poveri. Con tanti saluti al riequilibrio. Si realizza così un vero e proprio secessionismo fiscale, non corretto dagli interventi straordinari ma ulteriormente aggravato e reso umiliante. Le aree povere, pomposamente chiamate Stati, continueranno a bussare alla soglia del principe per avere qualche aiuto straordinario, ma di piccole proporzioni perché non potrebbero disporre della metà prevista a loro carico. Si scatenerà la guerra tra i poveri per contendersi le briciole degli investimenti che il Governo centrale potrà erogare. Pochi, perché già previsti come straordinari. S’innescherà così un processo lacerante che mentre accentuerà la dipendenza ed il sottosviluppo delle Regioni povere, favorendo un centralismo sempre più umiliante, consentirà alle Regioni ricche una sostanziale secessione finanziaria e dello sviluppo quale era nei voti dichiarati da Miglio e dalla stessa Lega nord.
Non è una novità. Le carte le avevamo già viste sia nei convegni di Varese che di Cagliari. La prudenza avrebbe dovuto consigliare alla delegazione sardista a Genova minori entusiasmi. Altro che sventolio di bandiere. È meglio stringere le cinghie dell’armatura e chiamare il popolo ad una dura resistenza.