Sono grato agli organizzatori del convegno d’aver proposto alla nostra riflessione la figura, l’impegno civile ed, in ultima analisi, gli alti significati testimoniati della vita di Dino Giacobbe.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo sin dall’adolescenza a causa della calda amicizia che esisteva fra le nostre famiglie ed in particolare fra lo stesso Dino Giacobbe e mio fratello maggiore Giovanni Battista Melis.
Di quella amicizia ricordo non solo la consuetudine dei rapporti, la confidenza e la gioiosa cordialità che dava luce e calore al nostro stare così frequentemente insieme, ma altresì un che di più indefinibile, impalpabile, immateriale che però ci coinvolgeva, grandi e piccini e per certi versi ci faceva sentire componenti di un’unica famiglia.
Era un clima, un’atmosfera, una tensione che ci accomunava anche ad altri amici della Nuoro di allora.
L’ ho capito più tardi. A sublimare la solidarietà affettiva fra di noi vibrava un sentimento che li sovrastava tutti, li dominava e, non di rado, per tanti versi, li condizionava: la comune militanza politica.
Questa può essere letta ed interpretata così come hanno fatto gli organizzatori del convegno. Quella militanza aveva fatto di Dino Giacobbe un “uomo contro”; avendone conosciuto, pur nel rispetto del diverso parere, dico che “contro” erano gli altri.
Lui era uomo “per” e mi spiego: Dino Giacobbe era un combattente che viveva il coraggio con disadorna semplicità; una qualità in lui d’istintiva spontaneità tale da costituire momento essenziale della sua personalità; un coraggio che non conosceva gerarchie d’intensità.
Una dote naturale che gli consentì di affrontare in consapevole fermezza gli atroci mortali pericoli della guerra elevandosi nell’immaginario dei suoi soldati ad eroe mitico di cui eseguivano gli ordini e seguivano l’esempio trascinatore.
Lo stesso coraggio col quale affrontò la violenza del potere di Stato guidando il mondo contadino, ed in particolare i più diseredati fra le plebi sarde, nelle grandi lotte per il riscatto sociale ed il trionfo della democrazia che il regime fascista pretendeva di imbavagliare spegnendo ogni anelito di libertà.
La verità è che Dino Giacobbe conosceva una sola guida: la verità ed a quella era fedele, semplicemente fedele, rocciosamente fedele e, con inflessibile coerenza operava per realizzarla.
Non so se conoscesse la paura; quel che è certo non conosceva la fuga, l’arretramento, l’opportunismo, il compromesso.
Credeva nella democrazia e nella giustizia sociale non come valori astratti, ma come momento vivo ed operante delle comunità e dei singoli nei quali si realizzava.
La privazione violenta o strisciante di questa lo chiamava alla lotta, non per vocazione di questa ma, quale necessario, difficile eppur esaltante impegno volto a conquistarle per costruire un mondo di pace, di libertà e giustizia.
Per questo Dino Giacobbe era fraternamente amico, ma altresì compagno di militanza, di Giovanni Battista Melis (conosciuto subito dopo la scarcerazione di questi da San Vittore ove, quale sardista, era rinchiuso con il sardo Flavio Batzella, il milanese Lelio Basso, il siciliano Ugo La Malfa ed altri militanti nell’antifascismo giovanile degli Anni Venti), di Luigi Oggiano, di Ennio Delogu, di Pietro Mastino e Sebastiano Puligheddu, suoi compagni di fede sardista, ma altresì vicino a Salvatore Mannironi, Filippo Satta Galfrè, Antonio Dore, Gonario Pinna ed altri meno conosciuti ma non per questo meno vicini, in nome del comune antifascismo.
Non vi sono nella sua testimonianza di vita momenti alti perché non vi furono mai momenti bassi ma una continuità alta che si è espressa in fatti significativi all’insegna di coerenza che ne ha costantemente caratterizzato l’azione.
In pieno fascismo, quando un qualificato esponente di questo espresse giudizi gravi ed insultanti sulla moglie Graziella e su Angela Maccioni (tratte in arresto dalla polizia fascista, perché colpevoli di solidarietà con la madre di un giovane nuorese morto nella lotta contro Franco) seppe resistere all’impulso di schiacciare l’offensore, ma offrendo la propria vita per esaltare la nobiltà dell’impegno politico della sua compagna, lo sfidò a duello.
Lo sfidato capì subito che non si trattava di una sfida rituale da concludere alla prima schermaglia per cui, accettando il duello, si sarebbe esposto a un concreto pericolo di vita; preferì perciò informare la polizia per impedirne l’effettuazione. Giacobbe ebbe la forza morale di non abbandonarsi alla vendetta e quindi all’omicidio ma credo non sia senza significato la scelta dell’esilio subito dopo questo episodio.
Nel corso degli anni in cui fu lontano dalla Patria Sarda visse la costante struggente nostalgia di questa in nome della famiglia (i figli ancora in tenera età), della gente di Sardegna insieme alla quale sognava di lottare per liberarla dal cancro fascista, ma altresì della terra di Sardegna, delle sue contrade, dei paesaggi, delle suggestioni di valli incastonate fra giogaie rupestri, ove il lavoro plurisecolare degli uomini ne raccontava la storia, i sacrifici e, fra aurore e tramonti, le speranze.
In questo spirito ha elaborato con Lussu un’ipotesi di sbarco in Sardegna per iniziare proprio da questa terra la riconquista della libertà e quindi della democrazia in Italia.
Sì, Dino Giacobbe amava la terra di Sardegna, le sue rocce, i suoi contrafforti misteriosi; ne era un esploratore attento ed appassionato. Se oggi Dorgali può vantare una delle gemme più preziose del turismo sardo lo deve, non solo alla passione, ma alla cultura e alla professionalità oltre che alla tenacia di Dino Giacobbe, speleologo ed archeologo della preistoria sarda come pochi.
La grotta del Bue marino è stata da lui esplorata, studiata e svelata all’emozione delle centinaia di migliaia di turisti che continuamente da anni la visitano.
Ho vissuto con lui gli anni esaltanti e magici delle lotte autonomistiche del secondo dopo guerra. La battaglia per l’occupazione delle terre incolte da parte del bracciantato agricolo senza terra trovò in lui il protagonista operoso, il trascinatore che alla parola preferiva l’azione.
Chi non ricorda a Nuoro la cooperativa de “Sos massajos” presieduta da tziu Innassiu Poggiu (io ne ero il giovane legale).
Di Dino Giacobbe non abbiamo una rilevante documentazione scritta perché allo scrivere privilegiava l’azione e questa era sempre ricca di significato, incisiva, determinante.
Di Dino Giacobbe si può dire che ha dato un rilevante contributo a modellare la società del nostro tempo scalpellandone la storia con la forza determinante dell’azione.
Mi onoro di essergli stato amico, di aver condiviso con lui momenti esaltanti della storia dell’autonomia di cui è stato sin dai momenti fondanti uno dei massimi dirigenti.
Lo dico con umiltà ma altresì con affetto ed orgoglio: negli ultimi anni del suo ritiro nuorese Dino Giacobbe era assiduamente presente e partecipe agli incontri di rilevanza politico sociale che si svolgevano nella nostra città e non mancava, con la disadorna spontaneità dei suoi modi, di dire la sua lasciando trasparire senza falsi pudori i sentimenti che ne illuminavano la limpida serenità dello spirito; la ricchezza di un’umanità che non sapeva nascondere la dolcezza degli affetti.
Ebbene, lasciatemelo dire: mi voleva bene.
Dino Giacobbe Un uomo contro – Sala Conferenze Camera di Commercio Nuoro, 9 ottobre 1999
4 Febbraio 2019 by