Commento alla proposta di legge di Francesco Cossiga

Articolo maggio 2002

Ho letto con attento interesse il disegno di legge costituzionale di Francesco Cossiga trovandolo non solo interessante, tempestivo e provocatoriamente aperto al confronto fra le diverse interpretazioni del ruolo sardo in seno alla statualità italiana ed alla comunità europea, ma base seria di costruttivo federalismo sardo.

Viviamo, nonostante il distaccato scetticismo dell’opinione pubblica (sempre più delusa dalla politica dei suoi rappresentanti) un momento, tutto sommato, positivo. L’ipotesi della “costituente” che attraverso le complesse procedure costituzionali dovrebbe autorizzare il popolo sardo a scrivere il proprio status autonomo o federale sia d’Italia che d’Europa, unitamente all’iniziativa delle associazioni culturali di sinistra che, in attesa del definirsi di tali procedure, propone di studiare ed elaborare proposte di cui la costituente, ove approvata dal Parlamento, potrebbe far tesoro utilizzandole in tutto od in parte o respingendone spirito informatore e spazi politico-decisionali, esplode, com’è nella natura perennemente giovanile del suo autore, Francesco Cossiga, con un contributo vigoroso, discutibile, in parte provocatorio, di Statuto della “Comunità autonoma della Sardegna” che arricchisce, senza annullare le altre iniziative politico-costituzionali di cui dicevo. Non condivido, infatti, le pur misurate critiche di Giacomo Sanna che denunzia nel progetto Cossiga un malloppo preconfezionato dall’alto che i sardi dovrebbero subire. Il ragionamento mi pare sbagliato. Condivisibile o meno, il progetto Cossiga è il contributo di un sardo che ama la propria terra, la gente ed il suo futuro. Se il Parlamento darà il via alla costituente i sardi avranno una base di discussione sulla quale, condividendo o discostandosene potranno affrontare il loro lavoro avendo quanto meno un punto di riferimento che, mi creda o no l’amico Giacomo Sanna, ha basi politico-culturali di tutto rispetto.

Anche se, personalmente, su di esso ho molte riserve tanto per cominciare: sul Federalismo.

È bensì vero che l’amico Presidente emerito della Repubblica disegna per la Sardegna uno status dotato di sovranità propria in una serie di materie rilevanti al fine del potere legislativo, di governo e rapporti con la comunità e paesi terzi tali da conferirle, pur senza denominarlo, un ruolo di stato federato. Cossiga parte dal concetto molto preciso della Nazione sarda definendola nazione di volontà come, per altro sono tutte le nazioni perché pur avendo in comune un definito territorio, tradizioni, cultura, religione e lingua comune, se non sono legate da senso di comune appartenenza costituiscono oggettivamente ma non soggettivamente nazione. Ebbene noi siamo Nazione da secoli e tali ci definivano i dominatori catalani e castigliani riferendosi a noi come “nación sarda”. Il problema è quello di collegare il concetto di nazione con quello di stato. Se noi siamo, di fatto, comunità sarda, distinta, diversa ma collegata all’Italia (escluso il ruolo di colonia) ne siamo uno stato federato e come tale soggetto di autonomo ruolo europeo.

La mia cortese ma ferma critica al documento Cossiga viene dalla constatazione che gli stati centralisti non possono affrontare la crisi evolutiva federalista. Restiamo alla storia di questi giorni. Il regno centralista Belga è sfuggito al dramma della disgregazione trasformandosi, del tutto pacificamente, in virtù di volontà dei suoi elettori, Regno federale Vallone-Fiammingo con particolari privilegi in campo culturale e rispetto di tradizioni per la minoranza (poco più di diecimila abitanti) tedesca.

Dice Cossiga: con Cattaneo, Rosmini e Gioberti (io aggiungerei con orgoglio Tuveri e Asproni) abbiamo perduto l’occasione di dare all’Italia unita un’organizzazione federale e siamo scivolati nel greve autoritarismo militar piemontese. Ed al relativo becero sfruttamento.

Oggi non sono più quei giorni e di federalismo parlano, spesso con superficialità ed a sproposito, tutti i partiti. Ne parlano perché la gente, non solo ne parla, ma lo vuole. Va maturando nel popolo italiano – ma direi mondiale – il valore delle diversità e del diritto di queste a un ruolo suo proprio che non si contrappone ma si integra con tutta la ricchezza culturale e civile delle molteplici esperienze storiche e geografiche che eventi e natura hanno definito per ciascuna di queste.

Come potrebbe mai esistere la Svizzera, si è chiesto uno dei maggiori studiosi delle diversità, se non ne esistesse il difficile confine a sud delle Alpi e a nord del Giura?

Eppure in questa nicchia di montagne è uno degli stati multinazionali più uniti e al tempo stesso più ricchi di diversità, dell’Europa: tedeschi, romanici, grigioni, francesi, italiani, ma al tempo stesso cattolici, protestanti (calvinisti) ed oggi forse islamici che vivono, lavorano ed amano la loro patria con tale gelosa fermezza da non essere voluti entrare, non solo per ragioni economiche, nell’Unione europea.

Il federalismo è la forma più moderna, democratica, dinamica della statualità del 2000.

Ma tant’è! Torniamo a Cossiga e alla sua proposta di statuto. Una caratteristica di questo è costituita dalla specificazione delle competenze sia in orizzontale che in verticale. Sono, almeno formalmente scomparsi i prefetti, i provveditori alle OO.PP., i Provveditori agli Studi, etc.

Domanda: nella tua proposta di “statuto della Comunità autonoma della Sardegna” prefiguri un potere sardo che dà attuazione anche ai provvedimenti rimasti nella competenza del potere centrale (così come avviene in Svizzera, Germania federale, Stati Uniti). È così o li consideri tacitamente prorogati anche in futuro in favore degli attuali organi periferici dello Stato? Con quali poteri?

Dopo aver affermato che noi abbiamo diritto alla nostra cultura e lingua che ruolo resta al provveditore agli studi, che ruolo resta ai prefetti, una volta che la comunità provvede alle decisioni essenziali alla vita e al progresso del nostro popolo?

Ma questo vale per la Sardegna e non per il resto d’Italia, che possibilità abbiamo di vincere la nostra battaglia?

Io credo di sì. Bisogna schierarsi e combattere: vieni a combattere con noi.