Discorso ai 70 anni della costituzione del Partito Sardo d’Azione

(novembre 1991)

Sono passati 70 anni dal Congressi di Nuoro e Macomer della Federazione Sarda del Movimento Combattenti, che poi darà vita al PSD’AZ nel Congresso Costitutivo di Oristano del 1921.
Settantanni di storia intensa, segnata da alterne e travolgenti vicende interne, che hanno visto il partito vivere momenti esaltanti e crisi che ne mettevano in discussione ogni volta la esistenza organizzativa.
Settantanni nei quali il dibattito ideologico interno si è confrontato sul terreno di una duplice concezione dell’autonomia:
1)    Una filoregionalista, che fonda la sua lotta sulla rivendicazione parziale di maggiori poteri dell’istituto regionale e quindi di maggiore capacità decisionale da parte dei Sardi, ma all’interno dell’unità statuale in una articolazione di regioni federate tra loro. Concezioni già espresse da Tuveri, Asproni e più recentemente da Cattaneo;
2)    L’altra che afferma l’esistenza della Nazione sarda, quindi il diritto del nostro popolo all’autodeterminazione totale, in sostanza all’indipendenza.
Due strade, quindi, che pur partendo entrambe dalla presa di coscienza della condizione coloniale della Sardegna, portano ad obiettivi molto lontani fra loro e pertanto, alla lunga, finiscono per costituire una forte contraddizione ed un elemento di incompatibilità.
Ed è quest’ultimo elemento, l’incompatibilità, a segnare le tappe più drammatiche della storia del sardismo: la prima nel 1947, nel Congresso del 12 e 13 aprile, presso il teatro della Manifattura Tabacchi, a Cagliari.
Fu in quella sede che Emilio Lussu, Dino Giacobbe e molti altri dirigenti, schierati su posizioni regionaliste e federaliste, accusavano il resto del partito di separatismo e quindi l’abbandonavano, per confluire, più tardi, nel Partito Socialista Italiano. La spaccatura fu verticale e la crisi che ne conseguì gravissima.
Più tardi, esattamente dopo 30 anni di sopiti dissapori e divergenze, nel 1967, Pietro Mastino, Armandino Corona, Peppino Puligheddu ed altri confluiscono, per le stesse ragioni ideologiche, nel Partito Repubblicano Italiano.
Qualche anno dopo, un’altra scissione, sia pure considerata “mini”, nel 1975; i partecipanti, dopo una breve esperienza autonoma (fondarono il MAPS), confluirono nel PRI anch’essi.
È nel Congresso di Oristano del ’79 che si creano le premesse per il rilancio del Partito e per una definizione delle sue linee ideologico-programmatiche, che giungeranno a maturità nel Congresso di Porto Torres, con l’elaborazione dei cosiddetti “tredici punti”, ma soprattuto con un nuovo progetto, che vuol portare la Sardegna all’indipendenza, sia pure come momento di transizione, fino al raggiungimento di un patto federativo con l’Italia ed altri Stati europei e mediterranei.
Da una lettura attenta della storia del Partito emergono alcuni dati fra loro connessi e che costituiscono forse la grande contraddizione interna: i momenti di maggiore produzione ed elaborazione ideologica emergono e sono quasi la risposta o il meccanismo di reazione a momenti meno fortunati, e proprio su queste elaborazioni si ricostruiscono i periodi di ascesa e di nuovo consenso.
Noi stiamo chiudendo, compagni, un periodo storico!
Ci rendiamo conto che quest’affermazione non piace molto e non trova quindi il consenso di alcuni dirigenti, ma noi siamo profondamente convinti che sia così. Stiamo chiudendo un periodo storico che in questi anni abbiamo vissuto con spontaneo coinvolgimento, entusiasmo e passione.
Siamo stati tutti testimoni e protagonisti di una stagione esaltante, che ha visto il Partito cogliere consensi e successi come non mai e oltre ogni aspettativa. Abbiamo visto le nostre idee diventare idea guida della politica regionale e riferimento di formazioni politiche italiane, che fondano la loro azione politica sul concetto dell’autonomia, quindi di uno stato federalista.
Queste realtà dobbiamo assolutamente tenerle presenti, altrimenti corriamo il rischio di trasformare la dialettica interna al Partito in pura lamentazione e una mentalità che è stata vincente in una forma mentis rassegnatamente perdente. Tuttavia non intendiamo neppure enfaticamente esaltare tutto ciò che abbiamo fatto.
Abbiamo certamente commesso errori, pagato lo scotto di una crescita troppo veloce, della mancanza di quadri dentro il Partito e nelle istituzioni.
Crediamo di essere stati penalizzati dal non essere riusciti a distinguere ruoli diversi, come Partito di governo che deve mediare con le altre forze politiche la propria azione e come Partito di proposta di un progetto di indipendenza.
Crediamo che lo sforzo massimo, che è d’obbligo in questo Congresso, sia quello di analizzare la storia di questi anni con la massima obiettività e pertanto, per ciò che ci riguarda, non intendiamo farci travolgere dalla disputa circa la responsabilità di ciò che avremmo voluto e potuto e invece non c’è stato.
Inadempienze e carenze sono da attribuire alla Giunta regionale oppure ogni responsabilità va addebitata alla dirigenza del Partito? Schierarsi al Congresso sull’onda di questa disputa è fuorviante e pericoloso, ma soprattutto sterile e improduttivo, se è vero invece che oggi siamo qui riuniti per fare un’analisi e quindi una critica costruttiva dell’operato del Partito in questi ultimi anni; critica tesa appunto a delineare nuova operatività e a ritrovare gli stimoli e le energie per la sua realizzazione.
Da un attento esame potrebbe desumersi che forse la responsabilità è dell’una o forse è dell’altra, forse di tutt’e due, forse è (colpa) di tutti, noi compresi, perché abbiamo creduto che un progetto rivoluzionario come il nostro potesse affermarsi in così breve tempo.
È vero anche che in politica gli spazi temporali sono tre: il passato, che è la tradizione, la storia; il presente, che è il momento nel quale operiamo per costruire il futuro e il futuro, che rappresenta gli obiettivi, il coronamento del nostro impegno, delle nostre battaglie; quindi sia il passato che il presente servono per costruire quello che più ci interessa.
Ed è partendo da questa considerazione, solo apparentemente elementare, che bisogna, a nostro avviso, andare al 23° Congresso.
Abbiamo un obiettivo politico ormai a tutti ben chiaro e non nuovo (leggendo le mozioni infatti non abbiamo trovato elementi di rilievo che possano far ipotizzare qualche cambiamento). Abbiamo il consenso di circa 130 mila elettori, che debbono costituire il patrimonio da amministrare in questa nuova fase storica.
Il problema da affrontare è con quale strumento e con quale progetto raggiungiamo il nostro obiettivo. Lo strumento è evidentemente il Partito, il progetto sono le strategie che il Partito deve attuare.
IL PARTITO: forse è questo il nodo più stretto e quindi più difficile da sciogliere. I problemi concernenti il Partito sono di due ordini: uno, partendo da una considerazione già fatta sul ciclo storico che si chiude, pone il problema di un establishment, che per ragioni diverse (non ultima quella anagrafica), deve pensare a prevedere la propria successione, il passaggio del testimone, come abitualmente si dice.
Il secondo problema riguarda invece la selezione di una classe dirigente fra le nuove generazioni.
Questi anni, nonostante tutto, sono stati anni nei quali si è attivato un processo di crescita interna, che ha portato alla maturazione di quadri attraverso varie esperienze di impegno nelle istituzioni e di impegno dentro il Partito; quindi, dal punto di vista potenziale, è maturata una nuova classe dirigente, che consentirebbe un new deal, come si dice in inglese.
Purtroppo la mancanza di una politica di rinnovamento, la carenza di regole di democrazia interna, hanno trasformato la normale concorrenza in conflittualità, in litigiosità esasperata, con la conseguente frantumazione di quelle forze che devono essere fautrici del rinnovamento.
È evidente che chi ha interesse allo status quo si insinua nelle divisioni cercando di mantenerle e anzi di alimentarle. Ne è esempio chiaro ciò che succede ogni volta che si devono preparare liste elettorali.
Qualcuno potrebbe osservare che questo fenomeno, in misura più o meno accentuata, è presente in tutti i partiti, ed è vero. Però, lungi dal definirlo “mal comune mezzo gaudio”, si può notare che la mancanza di rinnovamento complessivo della classe dirigente sarda crea la sclerotizzazione dei processi politici; i segni più evidenti sono l’assenza di un confronto globale, quindi la nascita di lobbies trasversali ai partiti e il grosso problema della questione morale, che sempre di più coinvolge l’intero sistema democratico.
IL PROGETTO: posto che sul piano progettuale gli obiettivi ideologici rimangono validi, bisogna, a nostro avviso, fissare l’attenzione del Partito sulle strategie, che devono stabilire i modi e i tempi per la realizzazione dei 13 punti di Carbonia ed è in questo contesto che il Partito deve prendere in esame il proprio modello organizzativo ed attrezzarsi adeguatamente per gli impegni che lo attendono.
Siamo anche convinti che per ragioni di tempo – il Congresso dura tre giorni – non si possano affrontare queste questioni in termini esaustivi e che quindi sarà necessario che il Congresso fissi la data di una Conferenza per l’Organizzazione di un’altra Programmatica, nelle quali i temi in questione si definiscano dettagliatamente.
Questi sono, crediamo, i nodi veri che l’8-9-10 dicembre dobbiamo affrontare.
Parlando con alcuni compagni si osservava come, nella sostanza, stiamo riprendendo dall’inizio le questioni del 22° Congresso; si può dire, tutto sommato, che abbiamo perso tre anni.
Crediamo, ne siamo convinti, che queste siano le questioni vere e, solo se riusciamo a prenderne coscienza e a superare falsi ostacoli e falsi problemi, daremo corpo ad una maggioranza congressuale in grado, sulla linea delle cose dette, di proiettare il Partito verso il futuro; diversamente, sarà l’oblio di una stagione, che abbiamo vissuto con grande entusiasmo e passione, a cancellare ogni divisione e ogni ostacolo, che oggi può impedire il rilancio del Partito.
Come dire che i bambini che litigano per il giocattolo finiscono per romperlo e non gioca più nessuno (o meglio come recita il proverbio d’antica memoria “tra i due litiganti il terzo gode”).
Ma il nostro Partito non è un giocattolo; non deve essere l’oggetto passivo, anzi facciamo in modo che diventi, come noi tutti qui desideriamo ardentemente, lo strumento di emancipazione e di crescita complessiva del popolo sardo.
LA CULTURA Punto d’arrivo della battaglia politica e ideologica del Sardismo è la costituzione della Nazione Sarda. Tale realtà statuale affonda le radici nella storia; si pensi solamente alla civiltà nuragica e ai Giudicati medievali.
La Sardegna è Nazione perché costituisce una unità etnica, con una propria, universalmente riconosciuta, peculiarità culturale e linguistica. Ogni premessa di sovranità politica passa, oltre che sulla non prossima autodeterminazione, sul recupero e sulla salvaguardia di questa peculiarità.
E qualunque progetto di valorizzazione della cultura sarda passa prima di tutto attraverso la scuola e poi attraverso l’opera degli uomini di cultura e di quelli impegnati nelle istituzioni. Noi abbiamo in Sardegna gli uni e gli altri.
Pertanto l’operazione politica (in senso lato) più valida, comunque d’obbligo, è per il Partito, la richiesta immediata di attuazione di quella parte dello Statuto che dà facoltà alla Regione di modificare i programmi scolastici.
In tutte le scuole sarde deve trovare posto l’insegnamento della storia, della cultura e della lingua sarda (come primo passo verso il bilinguismo e verso l’inserimento nell’articolo 6 della Costituzione).
Ogni sardo deve poter conoscere la storia del proprio paese, deve conservare la memoria storica del proprio passato, se non vuole essere come lo smemorato di Col legno.
Il Partito deve in questo progetto impegnare tutte le proprie forze, deve scendere in piazza, deve mobilitare la gente, gli intellettuali, la scuola. A fiancheggiare l’Impegno del Partito possono essere chiamati uomini di cultura simpatizzanti delle idee sardiste, che sono molti di più di quanto si pensi.
E così, partendo dalla Nazione siamo arrivati alla scuola, che, secondo noi, è l’unica vera istituzione rivoluzionaria del paese, non condizionata e non condizionabile, da quando si è allentata la presa che su di essa esercitavano le scuole clericali e i sindacati cattolico-marxisti.
L’ AMBIENTE La terra su cui viviamo è l’unico posto che possa conservare le tradizioni culturali, che fanno di un popolo una nazione.
Il Partito in tempi non sospetti di “verdismo” fu l’unico ad opporsi al nucleare nel Cirras, battendosi contro i partiti e i sindacati filo-nucleari italiani. Ma ora, sono altre le emergenze sul territorio sardo. L’industria pretende nuovi spazi e finanziamenti senza preoccuparsi di risanare le aree degradate dall’inquinamento. L’allevamento ha ormai necessità inderogabili di diminuire la quantità ed aumentare la qualità.
Nella agricoltura sono troppi gli incentivi ad abbandonare le colture tradizionali per una nuova monocoltura chimicamente inquinante.
Si potrebbero invece recuperare i terreni marginali, riprendere le colture di montagna, al posto di quella forestazione troppo soggetta a speculazioni imprenditoriali e politiche.
In realtà dobbiamo capire la vocazione del territorio e valorizzarlo di conseguenza; e questo vuol dire istituire subito: i parchi, senza copiare la esperienza sulle Alpi dove è diverso il contesto socio-economico.
Dobbiamo pretendere tutti che vi sia un corretto rapporto tra attività umane e ambienti naturali, tutelati e migliorati rispetto al degrado crescente dovuto al turismo incontrollato e inquinatore perché il bene ambiente possa essere dato ai nostri figli, difeso da incendiari speculatori e palazzinari costieri.
L’ECONOMIA Sulla questione economica il problema non deve essere, come sostiene qualcuno, quello di colmare il divario tra nord e sud, bensì quello di andare oltre affermando il nostro diritto alla autodeterminazione ed alla costruzione nazionale. La nostra terra è sempre stata utilizzata, storicamente, come area di sperimentazione economica con l’insediamento di strutture funzionali allo sviluppo dello Stato italiano. Uno sviluppo che, per potersi consolidare, ha avuto ed ha per necessità l’esistenza di una colonia interna da sfruttare.
Tale posizione si può battere, nel rispetto della democrazia, affermando la necessità di una economia che abbia come riferimento la Sardegna e la valorizzazione delle sue risorse locali, perseguendo un progetto che tenda sempre più all’accumulazione interna, decidendo di scegliere sulle problematiche industriali secondo le nostre esigenze e i nostri bisogni.
Tale sviluppo endogeno, che non è autarchico, rappresenta la base necessaria per avviare in maniera paritaria le relazioni con l’esterno.
Per far questo i centri decisionali devono stare obbligatoriamente in Sardegna, creando le condizioni che legittimino le nostre scelte di fondo: capacità di orientare gli investimenti, controllo delle risorse naturali e quindi capacità di decidere sulla utilizzazione; controllo e acquisizione delle tecnologie; riduzione delle diseguaglianze sociali.
L’ORGANIZZAZIONE Al Partito viene rivolta da sempre una richiesta: organizzazione. Ma organizzazione non è una parola e non è un semplice slogan, seppure facile e di sicuro effetto. Organizzarsi è una esigenza vitale del Partito, se vogliamo che vi sia democrazia, se non vogliamo cadere in balia di metodi e schemi vecchi di potere.
L’organizzazione passa attraverso un sano e trasparente finanziamento del Partito, ad esempio. Non è tollerabile sentirsi affermare, come è stato fatto, che “non si può fare il congresso perché mancano i soldi”; non è tollerabile e non è vero. Oggi il dissesto economico è cresciuto e stiamo andando a celebrare un congresso.
Allora, per evitare questi fin troppo scontati alibi, dobbiamo dare un nuovo assetto al finanziamento del Partito. Un assetto che preveda in misura percentuale ben determinata i contributi obbligatori da parte di chi riveste a qualunque livello cariche retribuite. D’altra parte, non essendo questo un metodo risolutore per rinsanguare le nostre casse, è necessario individuare altri modi trasparenti di autofinanziamento, che sappiamo non mancare. Allora, si potrà parlare di chiarezza in termini concreti.
L’organizzazione non prevede solo questo; prevede la soluzione del problema del movimento giovanile, riconosciuto dall’art. 8 dello Statuto. Ad oggi, che si sappia, il Partito non l’ha neppure messo in cantiere. Eppure esistono i fermenti, valutabili anche in termini elettorali, ed esiste anche qualcosa di più. Ma questo qualcosa, come spesso accade nel nostro Partito, ha dovuto decidere di nascere autonomamente e operare in un susseguirsi di riconoscimenti e scomuniche, sostituendosi spesso al PSD’AZ, in occasione di vicende politiche importantissime dalle quali eravamo assenti.
Ad una vera organizzazione del Partito deve anche essere demandato il compito di collegare le forze sindacali sardiste ovunque e in qualsiasi ambito operanti. Deve essere posto fine al comportamento ambiguo nei rapporti, da una parte con la C.S.S., e dall’altra con i nostri sindacalisti all’interno delle altre organizzazioni sindacali. Il Partito ha bisogno di entrambe le componenti attivandosi, non per tenerle distanti, ma per farle cooperare nei temi comuni, pur nella piena e reciproca autonomia.
Un Partito organizzato non può sottovalutare l’importanza dell’informazione. Oggi, il PSD’AZ non ha un giornale, e neppure il famoso bollettino col quale si giustificava in parte l’aumento delle tessere. Le informazioni, politiche e non, siamo costretti a leggerle solo sulla stampa democristiana o socialista o comunista. E questa stampa, come sappiamo non ci è certo amica. Abbiamo necessità di un foglio agile, di rapida consultazione che riporti fatti e non solo parole. Un foglio, quindi ben diverso dal “Solco”, bella palestra intellettuale, che nelle sezioni restava per mesi chiuso nei pacchi, invenduto. Il nostro foglio “Atzione” che circolerà in congresso, ha la funzione di provocare stimoli, reazioni. Chiederemo al Partito di farlo suo, negli stessi termini di azione spregiudicata e trasparente. Appunto!
LA QUESTIONE MILITARE Sa “Chistione militare” con gli scenari che hanno travolto i blocchi Est-Ovest deve essere rivista alla luce dei nuovi accordi. La Sardegna non può rimanere un oggetto passivo.
Evidentemente, cessata l’importanza degli arsenali nucleari, si deve rientrare in possesso di La Maddalena e si devono rivedere i giochi di guerra aerei.
Non sono accettabili i divieti di sorvolo e navigazione dei nostri confini, e conseguentemente non vogliamo neppure il patteggiamento di chi pensa di “far pagare” le esercitazioni.
Il nostro Partito è amico di tutti i popoli e vuole da sempre il superamento degli eserciti.
Le aree militari devono rientrare nel possesso della Comunità sarda per essere adeguatamente risanate e tutelate da appetiti speculatori. Il Partito diventi forza centrale per ridiscutere tutte le servitù aeree militari nel quadro della smilitarizzazione del Mediterraneo. Solo navi di pace e non di guerra devono attraversare le nostre acque.