I porti sardi non sono “rivali” tra loro

I porti sardi non sono «rivali» tra loro – Consiglio regionale, dibattito sulla zona franca, 12 giugno 1986

Credo non sia necessario tornare sui temi che legittimano l’impegno della Giunta in ordine alla questione della zona franca. Ritengo che questi siano stati sufficientemente dibattuti; del resto formano da tempo oggetto dell’agenda di impegni sia della Giunta che del Consiglio, delle stesse forze politiche, delle associazioni imprenditoriali e sindacali; è un dibattito che è ampiamente diffuso anche nel mondo scientifico. Tutta la società ha assunto la tematica della zona franca come elemento emergente sul quale perciò non mi pare il caso di ritornare in questa occasione per ribadirne l’attualità e la legittimazione. Ciò che invece il Presidente deve fare è informare il Consiglio delle iniziative che sono state assunte perché il problema sia approfondito e sviluppato, perché assuma una sua più precisa definizione e possa così consentire al Consiglio di assumere le proprie decisioni in ordine alla soluzione da dare, ove se ne ravvisi la utilità e la validità, a questa proposta di incentivazione dell’economia e dello sviluppo della nostra Regione.
Sarebbe un errore ritenere che lo strumento zona franca si prospetti solo in termini di incentivazione della crescita economica. La verità è che esso può costituire uno strumento di governo effettivo e complessivo dell’economia e dello sviluppo della società sarda. Non parlo di uno sviluppo misurabile solo quantitativamente, ma in termini di effetti economici, occupazionali, di produzione di reddito o di incentivazione del processo di accumulazione del capitale ovvero di quei fenomeni che oggi siamo soliti definire, con espressioni rubate al mondo della scienza economica, di sviluppo auto-propulsivo, endogeno, come suol dirsi: parlo di crescita globale della società in tutte le sue implicazioni, anche di natura politica. Si tratta infatti di uno strumento dell’autonomia, che potrà consentire al governo regionale di operare le scelte più opportune, naturalmente d’intesa con gli organi dello Stato o con delega di questo. A seconda delle scelte che verranno nel concreto operate quando andremo a definire un provvedimento di legge, la zona franca potrà costituire uno strumento che permetta agli organi di governo sia della Regione sia dello Stato di dare alla società sarda una forza che derivi dal suo interno e non dai suoi cosiddetti trasferimenti dall’esterno né dalla tradizione di economia assistita che abbiamo vissuto fino ad oggi: uno strumento insomma che consenta di affrancarci dalla dipendenza di decisioni esterne. L’informazione che il Presidente della Giunta, appena ieri sera, ha dato al Consiglio in ordine ai temi delle partecipazioni statali, ha fornito una drammatica conferma di come oggi, purtroppo, la dipendenza da decisioni esterne condizioni tutta la vita civile oltre che sociale ed economica della nostra isola; ecco perché è urgente definire al più presto questo strumento, che potrà utilmente essere utilizzato anche al fine di un avanzamento della nostra democrazia autonomistica su soglie di maggiore capacità di governo.
L’incarico affidato dalla Giunta regionale al signor Van Soest, direttore da una quindicina d’anni del porto di Rotterdam (cioè il maggior porto che sull’Atlantico assolve ai collegamenti commerciali tra l’Europa e il continente americano) e al professor Ladu, che insegna contabilità dello Stato all’Università di Pisa, ha consentito di approfondire questa tematica e di mettere in evidenza alcuni aspetti peculiari relativi all’inserimento della zona franca nel particolare regime che si è andato delineando a seguito della costituzione del Mercato Comune Europeo (e quindi di tutta la normativa vigente anche in materia di franchigie doganali all’interno di questo contesto territoriale, economico, sociale e civile). È noto infatti che l’ordinamento comunitario, in quanto tale, deve vedere tutti i suoi componenti operare in condizioni di formale parità, salvo tuttavia il ricorso, come nel caso di specie, a particolari strumenti che si rivelino utili per incentivare l’economia di aree specifiche e che si rendano necessari per ragioni sociali, per ragioni storiche o per ragioni connesse alla tradizione — diciamo — delle aree medesime. Questo incarico, come dicevo, si è rivelato produttivo di risultati oltremodo interessanti.
Vi è da parte del Van Soest una analisi molto rigorosa — benché sintetica — che legittima l’istituzione della zona franca in Sardegna, indicandone soprattutto per quanto riguarda le implicazioni di natura quantitativa nei diversi settori, da quelli produttivi a quelli commerciali, a quelli finanziari, a quelli connessi con l’integrazione dell’area economica sarda nel contesto europeo e nel più vasto contesto mediterraneo. Il professor Ladu invece formula un’analisi che giustifica l’istituzione della zona franca indicandone i vantaggi che verrebbero alla società isolana sotto il profilo del suo sviluppo complessivo, valutandone cioè le implicazioni connesse alla politica economica e alla politica tout court, piuttosto che le specifiche conseguenze e condizioni settoriali.
Secondo il Van Soest le istanze pubbliche competenti dovrebbero costituire la Sardegna in zona franca per le merci, delineando, all’interno della zona, aree specifiche e precisando le relative condizioni; l’individuazione delle zone non avviene a priori, perché l’intera Sardegna è individuata come suscettibile di una destinazione a zona franca: questa suscettibilità potenziale che investe tutto il territorio isolano deve tuttavia tradursi successivamente in scelte operative nelle quali andrà concretamente a realizzarsi la zona franca. Nel Mercato Comune Europeo i punti franchi non fanno più parte del vocabolario corrente, perché tutto si chiama zona franca, anche se riguarda pochi metri quadrati, ma, ricorrendo alla vecchia terminologia, potremmo dire che i punti franchi sono individuabili a posteriori. Non si propongono perciò investimenti a priori per realizzare grandi infrastrutture: esse saranno realizzate solo dopo una precisa serie di valutazioni che nel concreto saranno gli stessi operatori, in un certo senso, o l’autorità di governo, a compiere, individuando i diversi settori merceologici nonché le diverse e molteplici, numerosissime funzioni cui la zona franca può assolvere; potrebbe trattarsi anche della zona franca finalizzata all’importazione temporanea, estero per estero, che assolva a funzioni di smistamento. In fondo il porto canale di Cagliari con quale filosofia è stato istituito se non con questa? Del resto, cari colleghi, siamo in Sardegna, cioè in un’isola, e l’isola ha possibilità di sviluppo solo se si dà un’economia marittima che oggi non ha. O l’isola è visitata dalle navi che vengono e ne ripartono facendo fluire in questa canalizzazione degli armamenti internazionali i movimenti commerciali, o resterà sempre un’area marginale, come oggi è, come è stata nei secoli e nei millenni, cioè un’area economicamente subalterna. E allora noi dobbiamo vitalizzare l’economia marittima della Sardegna, dobbiamo attrarre traffici commerciali verso la Sardegna, dobbiamo attrarre flussi del traffico marittimo e articolarlo poi nella sua diffusione mediterranea, ma anche nelle sue proiezioni oceaniche. Questa è l’intuizione del porto canale di Cagliari, ma questa deve essere l’intuizione globale per la Sardegna perché altrimenti rischiamo di costituire un enorme polo di sviluppo con attorno un corpo gracile, debole, asfittico.
Noi dobbiamo, attraverso un piano portuale, individuare funzioni diverse per la zona franca: non dobbiamo mettere i porti della Sardegna in concorrenza fra di loro, perché altrimenti non avremmo sortito grandi risultati, ma dobbiamo dare a ciascun porto una sua precisa collocazione e sarà lo stoccaggio, cioè l’arrivare sul mercato mediterraneo in franchigia doganale e tenere le merci in stoccaggio in attesa che i prezzi e il mercato consiglino di reinserirsi. La Sardegna può ben rendere questo servizio all’economia mondiale per quanto attiene al Mediterraneo e può rendere questo servizio al Mediterraneo. È il negozio della piazza principale del paese, può assolvere per la sua centralità e per la sua baricentricità ad un ruolo fondamentale per lo snodo dei traffici mediterranei, ma può diventare anche la zona franca per le grandi trasformazioni, per le industrializzazioni, ed ecco che, in questa gamma di iniziative e di prospettive diverse, occorre andare ad individuare zona per zona quali sono le specializzazioni e le vocazioni delle singole aree.
Questo è uno studio che va approfondito, è un’analisi che occorre articolare. Il Van Soest indica tutta una serie di questioni che meritano particolare approfondimento. Io mi limito a ricordarne alcune: l’identificazione di tutte le navi che attraccano nei porti del Mediterraneo per conoscere da dove arrivano e dove andranno; l’analisi di tutto il traffico dei container per sapere da dove proviene ciò che arriva nel Mediterraneo. A tale proposito, ad esempio, risulta che a Napoli i container arrivano non attraverso il porto, ma tramite i TIR che, attraverso l’autostrada del Sole, provengono da Amburgo e da Rotterdam; in particolare dietro Rotterdam esiste la cittadina di Veulo, che è il porto secco più importante del mondo, da cui passano un milione e cinquecentomila TIR all’anno: è un porto secco per TIR, un nodo viario da cui passa tutto il traffico che attraverso l’Atlantico è diretto verso la Mitteleuropa e verso il Mediterraneo. Ecco perché a Napoli i container più che dal porto arrivano con i TIR: perché c’è maggiore economicità in questo giungere dai porti dell’Atlantico fino all’area economica campana o calabrese.
Ma questo fenomeno non riguarda soltanto noi italiani, riguarda l’Europa intera. E allora noi dobbiamo prendere coscienza di cosa si svolge intorno a noi, di quali sono i movimenti o qual è il flusso di ricchezza che può essere attratto. Noi dobbiamo operare per richiamare i traffici mediterranei e in questo senso dobbiamo conoscere — io mi scuso della mia scarsa dimestichezza con l’inglese, per cui la mia pronuncia e le mie citazioni sono assolutamente inverosimili — i transhipment che riguardano sostanzialmente i traffici dei grandi containers. Queste indagini possono essere svolte anzitutto attraverso le pubblicazioni che cura l’OPEC, per esempio: già così avremo un quadro enorme da leggere e da computerizzare, da rielaborare e da riproporre in relazione agli obiettivi che ciascuno di noi leggendo quei dati può ipotizzare. Ma vi sono anche i dati del Maritime economie research center, che è sostanzialmente il Lloyd di Londra che controlla i traffici marittimi del mondo attraverso le polizze di assicurazione, cioè controlla le maggiori compagnie marittime che governano, arricchiscono o desertificano il mondo.
Questa è dunque un’indagine che la Giunta ritiene meritevole di approfondimento, perché può consentirci l’acquisizione di elementi di cui ancora noi non disponiamo, in modo che possiamo, tra le molte scelte, orientarci nel modo più corretto, nel modo più efficiente, nel modo più preciso. Anche il mondo scientifico sardo ha prodotto degli studi pregevoli: basta ricordare gli studi del professor Sabattini e del professor Bolacchi per dire che già in Sardegna esiste una elaborazione ed una fioritura sul piano culturale che può anch’essa giovare enormemente. Non solo: ma quando disporremo di questi ulteriori dati io credo che potremo mobilitare le Università sarde, gli studiosi sardi, tutti i possibili operatori che nel settore possono recitare un ruolo da protagonisti.
La Giunta è qui dunque, non per declamare aprioristiche certezze né per recitare atti di fede acritici, ma per approfondire con severità di impegno e con grande responsabilità una tematica dalla quale può derivare un contributo importante per lo sviluppo della Sardegna. Ho detto tutte queste cose per motivare la richiesta di una breve proroga, finalizzata ad acquisire questi dati in base ai quali noi crediamo di poter fornire al Consiglio elementi capaci di favorire le scelte e le decisioni che andremo ad assumere.