Dichiarazioni su uso della Lingua Catalana nelle istituzioni comunitarie

Bruxelles, 10 dicembre 1990

MELIS (ARC) – Signor Presidente, il nostro gruppo sostiene e fa propria la richiesta di assumere la lingua catalana, pur nei limiti previsti nella relazione dell’onorevole Reding, fra quelle ufficialmente usate nelle istituzioni comunitarie, non solo perché appartiene al vigoroso ceppo di lingue neolatine che hanno espresso, fra vivide luci di civiltà e pesanti ombre di oppressione, la storia d’Europa, ma anche perché, rompendo i confini del cenacolo letterario dei serventesi di Pietro il Cerimonioso o le odi di Bernardo Metge, è stata ed è strumento di vita e poderoso momento d’identità etnostorica per un popolo che paria questa lingua da oltre settecento anni.
Una lingua che ha distinto e unito i Catalani nelle complesse vicende del formarsi dell’odierno Stato spagnolo e che, ancora oggi, è parlata e amata nelle regioni di loro insediamento e ove, combattendo, conquistando, usurpando, ma diffondendo cultura e civiltà, ha attraversato la storia di altri popoli come nella mia regione, la città di Alghero in Sardegna.
Italiani, Francesi, Spagnoli, Sardi, Romeni, Catalani, Ladini, Portoghesi trovano tutti origine nella comune matrice neolatina ed esprimono, con le altre realtà presenti in Europa, tutta la forza e la ricchezza delle diversità nelle quali si è sviluppata la storia dei popoli. Comprimerla, negando l’esistenza di una parte per sottometterla a un altra, come hanno fatto tutti gli oppressori antichi e recenti, significa perpetuare prevaricazione ed ingiustizia; ma significa soprattutto innescare irresistibili moti di ribellione, testimoniati, nel nostro tempo, dal tumultuoso insorgere dei popoli che hanno letteralmente disgregato l’impero sovietico, riappropriandosi, con le rispettive identità culturali, di una precisa titolarità politico-istituzionale che li rende o renderà liberi e autonomi.
E l’Europa che vogliamo costruire e di cui oggi discutiamo la bozza di Costituzione dovrà essere espressione di queste diversità o non sarà Europa, ma ii riproporsi, in forme diverse e più oppressive, della prevaricazione di alcuni popoli su altri, costretti dalla logica della forza al perpetuarsi di un inaccettabile e inaccetata sottomissione.
Riconoscendo il Catalano, apriamo finalmente una nuova pagina di storia e di civiltà politica; una pagina nella quale si legge che la libertà non è diritto dei forti, subalternità ed emarginazione dei deboli, ma una forza unificante che, restituendo pari dignità e legittimazione alle diversità, le chiama all’operoso e solidale impegno di costruire le grandi civiltà del domani.