Caso P.S.d’Az – Gheddafi, Consiglio regionale 1984

Mi accingo a svolgere, signor Presidente, il mio discorso di chiarimento, di replica, agli interventi che sono stati testé pronunciati, sui temi proposti dall’intervista da me rilasciata a un quotidiano locale e che ha dato motivo di interpellanza da parte di numerosi gruppi del Consiglio regionale, in particolare della Democrazia Cristiana, del Movimento Sociale-Destra Nazionale, del Partito Socialista, del Partito Comunista e del Partito Sardo d’Azione.
Colgo alcuni passaggi degli interventi pronunciati stamane per manifestare anzitutto apprezzamento su alcuni concetti espressi dal collega Mulas, circa l’impegno che la Democrazia Cristiana sta dispiegando per riscoprire un ruolo di rinnovamento e un nuovo rapporto con la società e nella società. Non credo che l’on.le Mulas si riferisse ai servizi segreti, quando parlava del ruolo del suo partito nella società.
Proprio il riferimento a questo rinnovato impegno della Democrazia Cristiana ha il significato al di là degli sterili contrapposti, di individuare unitariamente momenti di riforma istituzionale di cui la Regione, l’autonomia sarda nel suo complesso, avverte ogni giorno di più la necessità.
È nelle cose. Bisogna trovare – diceva Mulas – temi comuni tra maggioranza e opposizione: sul modo di essere dei partiti, sul ruolo che i partiti debbono assolvere nella società, (che non è necessariamente quello dello scontro ad ogni costo); sul ruolo che l’istituzione regionale nel suo insieme è chiamata a svolgere nello Stato. Mulas richiamava il ruolo nazionale e nel contempo regionalista del suo partito. Io voglio cogliere questi momenti propositivi, perché costituiscono la premessa di impegni che vanno al di là delle forze politiche di cui siamo rappresentanti, degli schieramenti all’interno dei quali siamo inseriti, dei rispettivi ruoli che nella gestione dell’autonomia siamo chiamati a svolgere come partiti della maggioranza. Per il resto cercherò di dare alla Democrazia Cristiana ed ai suoi interpellanti, le risposte sugli interrogativi che mi hanno posto, pur facendo alcuni rilievi preliminari, che per certi versi coinvolgono (ma lo stile e i contenuti erano in verità molto diversi ed anche il contributo al dibattito è stato certo di diverso taglio) l’intervento del rappresentante del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale. Voglio rilevare, in sede preliminare, una strana carenza nel valutare il momento politico in cui questa dibattito si svolge, quasi che i Servizi segreti, all’interno dei quali si è sviluppato un focolaio di infezione tra i più destabilizzanti e sconvolgenti della vita dello Stato, non abbiano riempito le cronache dei giornali e non abbiano costituito motivo di ansietà, di preoccupazione in tutte le più alte cariche del nostro ordinamento, dal Governo al Parlamento, alle forze politiche, alle organizzazioni sindacali. Tutta la società italiana si è sentita investita, offesa e minacciata. La democrazia italiana si è sentita offesa e minacciata dai comportamenti del Servizi segreti.
Noi rischiamo di fare questo dibattito isolandolo dal contesto storico politico nel quale si colloca, quasi una operazione asettica e neutra nella quale imputato è il cittadino che denuncia un pericolo; denuncia un ruolo destabilizzante e inquinante della democrazia, quindi corretta ed esatta, sbagliata so¬lo per difetto nella sua ampiezza e gravità.
Si chiama a rispondere chi ha osato levare la sua voce! Ecco, colleghi della Democrazia Cristiana, quando voi, a conclusione della vostra interpellanza, ritenete di ravvisare in questa denuncia del ruolo che, in seno ai Servizi segreti, vanno assumendo le cosiddette strutture parallele, i cosiddetti “super S”, quando accusate chi vi parla di assumere un atteggiamento quasi di rottura all’interno delle istituzioni, revocandole in dubbio, adducendole a sospetto, gettandole in una luce torbida, ecco, mi pare che non abbiate colto nel giusto significato politico quella denunzia, perché quella denunzia voleva essere semmai una difesa dagli inquinamenti e dai pericoli, e quindi una salvaguardia delle istituzioni, una difesa della legalità repubblicana, della legalità democratica.
Io non ho parlato come Presidente della Giunta, ma come cittadino, come militante, come persona che ha testimoniato per una vita intera un impegno politico in un partito di minoranza.
Ora questi duplici ruoli, nella prassi e nella costituzione, sono compatibili, sono stati svolti e vengono tuttora svolti – del resto la Presidenza del Consiglio dei Ministri solitamente è spettata alla Democrazia Cristiana, è stata la Democrazia Cristiana ad inaugurare questa prassi.
Nessuno può negare a me il diritto di conservare la mia umanità, di conservare i miei convincimenti politici, di conservare tutta la dignità e l’orgoglio della mia militanza politica e di po¬ter parlare nelle sedi di partito ed anche nei comizi elettorali ed anche nei dibattiti che eventualmente si potessero tenere, da sardista. In questa sede parlo da Presidente della Giunta regionale, ma quella intervista io non l’ho fatta da Presidente della Giunta regionale.
On.le Giagu, voglio ricordarLe che ella ha avuto sempre il riguardo che si doveva al ruolo delle opposizioni come delle maggioranze, e non sarebbe male che, oggi che fa questa esperienza diversa, tenesse conto di questi precedenti.
Sono modelli di comportamento che si conquistano con sacrificio, lo capisco, ma bisogna accettare anche il sacrificio. Dicevo, liberi di non crederci, liberi di continuare a pensare diversamente, ma io quell’intervista l’ho rilasciata, come ho detto in precedenti occasioni, in maniche di camicia, con un senso, così rilassato e sereno di chi coglie un primo giorno di vacanza nel corso del quale conversa con un giornalista che gli ha chiesto di poter tratteggiare, la figura del Presidente, espresso da un partito che dopo oltre trent’anni di testimonianza autonomistica finalmente ricopre la massima carica istituzionale della Regione.
È una esperienza umana che ha il suo significato, la sua nobiltà, mi creda. Una cosa è vivere l’esperienza all’interno di un grande, grosso partito, che offre anche la possibilità di un successo di questo genere, una cosa è viverla in un partito di minoranza, dove tutto è più difficile, dove il cammino è più aspro, e dove le salite sono più ingrate.
Detto questo, vorrei tornare invece alle mie risposte, riprendendo da dove sono stato interrotto e cioè dallo spirito col quale io, secondo quanta mi richiedeva il mio interlocutore ho affrontato quella intervista, come cittadino, cioè come militante del Partito Sardo d’Azione.
Si pretendeva di abbozzare questo ritratto, di farne scaturire l’umanità del personaggio, questo era il dichiarato intento del giornalista, io non so se sia riuscito in questo intento. Certo mi chiamava Presidente, perché da una settimana ero Presidente, non poteva chiamarmi sotto capo, non mi poteva chiamare assessore, non mi poteva chiamare con un altro nome, mi chiamava Melis o Presidente, perché da una settimana avevo conseguito questo titolo, però il fatto che qualcuno mi chiami avvocato per la strada non significa che mi sta consultando per una causa. La denominazione non comporta necessariamente l’esercizio dell’attività conseguente.
E allora, colleghi, mi dispiace che quelle dichiarazioni che io ho reso così in una forma molto discorsiva, molto serena, se si dovesse riascoltare il nastro che registrava la nostra chiacchierata, si scoprirebbe che dura più di dieci ore: siamo in una casetta di campagna in mezzo al verde, sereni e rilassati, per me era la prima giornata di vacanza, non mi potevo permettere di utilizzare un altro giorno perché erano da dedicare tutti all’attività istituzionale, quel giorno di vacanza l’ho utilizzato per tracciare questo ritratto.
Ma colleghi consiglieri, voglio dire anche che queste circostanze hanno influito anche nella forma dell’intervista perché, badando più alla sostanza che alla forma, molte affermazioni che erano espressioni di una posizione soggettiva hanno finito con l’avere un rilievo oggettivo che non era nelle mie intenzioni. Sono passate come certezze obiettive laddove erano certezze soggettive, personali. Non voglio contestare la correttezza del giornalista nel riportare, nel trascrivere, salvo le correzioni grammaticali che saranno state numerose perché non credo che la consecutio temporum fosse quella che è riportata nelle mie risposte e neppure nelle sue domande. Ma salvo quelle correzioni io debbo dire che non ho motivo di dubitare della correttezza della trascrizione. Quelle dichiarazioni hanno una valenza soggettiva e non quella oggettività che ha finito per configurare la trascrizione del giornalista. Senonché quelle riflessioni colleghi consiglieri, io le vado dicendo da più di un anno, all’indomani dell’arresto di un gruppo di giovani incriminati per questo reato. L’esecutivo regionale del Partito Sardo d’Azione ha licenziato un documento nel quale si diceva, fra l’altro, che non si poteva escludere che le trame provocatorie, poste in essere dai corpi separati dello Stato, avessero potuto fare qualche ingenua vittima.
Quindi sin da subito la dirigenza del Partito Sardo, ed io che ne facevo e ne faccio parte, ha individuato nei corpi separati dello Stato la possibile genesi di questa provocazione accusatoria, ne si è preclusa l’ipotesi che qualcuno ingenuamente fosse caduto nella provocazione. Quindi le cose che ho detto oggi, il Partito nella sua collegialità, nel la sua responsabilità dirigenziale le ha dette all’indomani. E ci si meraviglia perché le ripeto oggi!
Si scopre improvvisamente che tutto questo è destabilizzante, si scopre improvvisamente che il ripetere quelle cose dette per iscritto di nostra mano nel 1981 crei scalpore e scandalo nel 1984.
Credetemi la meraviglia è mia ed è davvero una meraviglia notevole, ma d’altronde queste cose appena una settimana dopo sono state ripetute, ribadite, in una grandiosa assemblea di popolo che si è svolta a Nuoro, convocata dall’esecutivo del Partito. In quella sede questi concetti sono stati ribaditi e ampliati anche in un mio personale intervento. È un convincimento che da democratico ho avuto onore e responsabilità di denunciare ed abbiamo anche chiesto, colleghi consiglieri, in quel documento e in quella manifestazione la solidarietà del partiti democratici perché l’attacco alla credibilità e alla libertà di un partito non è un attacco che investe i militanti di quel partito, ma investe la democrazia nella sua globalità.
Anche il fascismo partì come forza che doveva contenere e contrastare i comunisti, ma nella macina che distruggeva la libertà italiana finirono ben presto il Partito popolare, i socialisti, i liberali e ogni forma di civiltà democratica.
Non è minacciando un solo partito che si salva l’organismo, perché ogni partito è espressione vitale di democrazia e se si spegne una voce si aggredisce il sistema democratico e si mette in pericolo tutto l’organismo.
Ma davvero noi siamo stati temerari dubitando del ruolo dei Servizi Segreti in questa operazione? Ci si accusava di avere rapporti con Gheddafi, di farci finanziare da Gheddafi.
Vi leggo questo titolo: “Rapporto riservato sui miliardi promessi da Gheddafi al Partito Sardo D’Azione”. È uno scritto del dicembre 1975. Non solo nell’82 il Partito sardo viene coinvolto nel sospetto di rapporti politici torbidi, inquinati ed addirittura criminalizzanti con lo Stato libico, ma anche nel 1975 viene indicata nel suo segretario nazionale, unico parlamentare, Mi-chele Columbu, la persona che, in compagnia di un certo Marras noto “Zampa”, avrebbe concordato con un funzionario libico nell’ambasciata di quel paese l’erogazione di due miliardi, da accreditare in un istituto bancario svizzero.
In quegli stessi giorni la stampa denuncia la manovra del SID in tutta questa operazione. Non solo, ma il Partito Sardo d’Azione è stato accusato in quegli stessi giorni dai Servizi Segreti di trarre fonti di auto finanziamento dai sequestri di persona, e si facevano i nomi anche dei sequestrati: l’onorevole Pietrino Riccio e l’ingegnere Travaglino. Certo, la procura di Cagliari apre un’inchiesta sui miliardi del Partito Sardo d’Azione; sembrano le notizie stampa dell’82. Nulla di nuovo sotto il sole, il bersaglio è ancora il Partito Sardo, il complice è sempre Gheddafi, il rapporto sono sempre miliardi. Aleggia incombente l’ombra dei Servizi Segreti, non perché lo dica il Partito Sardo d’Azione, ma “Tutto Quotidiano”, la “Nuova Sardegna”, “L’Unione Sarda”, i giornali sardi unanimi.
E le forze politiche insorgono: insorge il Gruppo Comunista della Camera con una interpellanza di fuoco rivolta al Governo: Pirastu, Pani, Marras ed altri; insorge lo stesso Michele Colombu con un’interpellanza ironica, direi piena di sarcasmo secondo il suo stile, al Ministro degli interni ed al Governo; insorgono Anderlini, Chanoux, Terranova. L’onorevole Terranova, quello massacrato dalla mafia, il giudice Terranova che leva il suo dito accusatore sui Servizi segreti.
Certi precedenti sono necessari per capire ciò che capita oggi, perché è difficile che un albero si sviluppi senza radici, ed anche il nostro ragionamento non può svolgersi senza quelle premesse che ci hanno reso estremamente diffidenti, estremamente sospettosi.
Essendo stati già aggrediti da quell’istituzione, aggrediti proditoriamente, falsamente, in modo infamante e criminalizzante, avevamo tutti i motivi per sospettare che anche questa volta non fossero estranei alla manovra e all’operazione che vedeva la linea sardista, più che i sardisti, coinvolti nella accusa. Intanto ci chiediamo perché mai il governo libico voleva prendere contatti col Partito sardo; secondo l’accusa: per strumentalizzarlo al fine di staccare la Sardegna dallo Stato italiano e farla confluire non so se all’interno dello Stato libico o nell’area di influenza dello Stato libico, tipo Ciad, tipo Niger o altri Paesi sui quali vorrebbe estendere la sua influenza come su Malta.
Allora i protagonisti di una siffatta operazione non potevano essere né Meloni e tanto meno Piliu, che non fa parte del Partito Sardo d’Azione, che ne è uscito da molti anni a quella data, e neppure Meloni, che pur facendo parte del Comitato centrale del Partito, ha una figura ed un ruolo tutto sommato irrilevanti. Il Comitato Centrale è un organo collegiale, nel quale non contano gli individui ma l’assemblea, e Meloni era una figura così scarsamente incisiva, che all’indomani del suo arresto non ha avuto lo straccio di un comunicato né di protesta né di solidarietà e questo ha una valenza politica per chi sa leggere il comportamento del partiti.
Era nessuno. Altra considerazione meritava l’arresto di quei ragazzi, con tutto quello schieramento, con tutto quel battage pubblicitario. Ma per Meloni, non c’è stata una parola di politica solidarietà né dal comitato centrale, organo del quale faceva parte, né della direzione del partito, né della sua segreteria. Allora Meloni era veramente nessuno, e conquistare il Partito sardo attraverso due figure che nel Partito sardo non contavano assolutamente nulla, perché una non ne faceva parte e l’altra aveva un ruolo di militanza o poco più, appariva ai nostri occhi piuttosto inverosimile.
Ecco, io non vorrei fare paragoni, ma davvero credete che l’aver contattato eventualmente un deputato al Parlamento di un partito X significhi coinvolgere tutto il Partito e conquistare tutto il partito da parte di uno Stato straniero? Evidentemente no.
E allora, colleghi consiglieri, se è legittima questa riflessione, io chiedo a voi, se questa riflessione non aveva una sua valenza politica precisa. Ma davvero i servizi segreti libici erano così ostilmente schierati contra l’Italia, così protesi a mettere in crisi, a destabilizzare la nostra statualità? lo direi di no, e ciò per alcune considerazioni. L’Italia è il primo partner commerciale della Libia. L’Italia occupa il 25% del mercato libico; non sono dichiarazioni mie, ma del Ministro del commercio estero, che nell’81, riferendosi all’80, fa questa affermazione, ma nell’83 questa affermazione è ancora vera, è ancora più vera nell’84. Le maggiori imprese italiante, sono tutte in Libia, la stessa Sardegna stava per essere coinvolta attraverso le officine di Porto Torres nella costruzione delle piattaforme oceaniche perché l’ENI, ha stipulato con la Libia un contratto da favola, il nostro esport-import è salito ad oltre 4150 miliardi più nell’import che nell’export e andiamo occupando spazi sempre più ampi del mercato libico e la Libia non ha interesse a rompere i rapporti con l’Italia o a renderli difficili. La Libia compra le partecipazioni azionarie in Italia, ha oltre il 13% del pacchetto azionario della FIAT e ha investito in buoni ordinari del tesoro centinaia di miliardi.
È un risparmiatore attento, compra in Italia i BOT come un qualunque pensionato che vuole mettere da parte i soldi perché sa che i BOT gli renderanno grosse riserve di interessi.
Ha interesse a destabilizzare questo risparmiatore? Ha interesse a mettere in crisi l’economia italiana? Ha interesse a mettere in crisi le istituzioni? Ha interesse a mettere in crisi la nostra democrazia? Certo, è uno che spara ad alzo zero che, quando prende la parola, minaccia e solleva polveroni, perché fa parte del suo bagaglio, del suo lessico e della sua forma molto singolare di diplomazia, l’intrattenere rapporti a sciabolate così dure e pesanti, ma nella realtà, i suoi rapporti sono molto cauti, molti concreti, volti a realizzare interessi economici e a non correre avventure inutili che lo possano mettere in difficoltà e in crisi.
Così come mi pare un po’ strano il modo in cui si articola tutto questo episodio: sto parlando in termini politici ovviamente, non processuali, perché questa parte attiene ad altre sfera che non possiamo qui coinvolgere, quindi non sono in questa sede chiamato a dare prove processuali, ci mancherebbe altro, io sto dando indicazioni politiche, giudizi politici e credo che le riflessioni che ho sottoposto alla vostra attenzione, meritino l’attenzione responsabile di tutti,
Ma dicevo, l’episodio come nasce? Chi è il pronubo di questo incontro sardo-libico? È accertato, ci sono le dichiarazioni rese e ormai consacrate in atti, certo Michele Papa, avvocato, molto più noto per costituire punto di riferimento dei servizi segreti italiani e non italiani, che non per i successi riportati in aule giudiziarie, mentre negli ambienti dei servizi segreti è popolare. L’avvocato Michele Papa, noto per essere l’uomo di Ghedaffi in Sicilia, Michele Papa che è il presidente dell’associazione di amicizia siculo-libica, Michele Papa che si incontra con Meloni più volte prima della grande manifestazione celebrativa della ricorrenza della rivoluzione di Gheddafi della Giammailhia e lo presenta a Mohamed Angeli? credo che si pronunzi così.
Ecco Michele Papa è al centro di una operazione che finisce in tribunale. Michele Papa è al centro di altre operazioni? Quando un certo Carter Billy si affida a Michele Papa per essere presentato a Gheddhafi, e per avere da Gheddhafi incarichi per consulenze pagate, chissà perché dopo breve tempo lo viene a sapere un certo Pazienza Francesco, capo del super ESSE, chissà perché lo viene a sapere un certo Leden, uomo dei servizi segreti italiani ancorché americano che tiene percorsi di alta scuola ai servizi segreti italiani, subito dopo il sequestro Moro.
E lo vengono a sapere come? Lo dicono loro stessi e chi ne riferisce è il capo del servizio affari riservati del Ministero degli Interni, Federico d’Amato, che dice: Pazienza e Leden mi hanno riferito, una sera che siamo stati a cena insieme, che Michele Papa aveva presentato a Gheddhafi il fratello del Presidente degli Stati Uniti, in un momento in cui lo scontro verbale tra Stati Uniti e America era violentissimo e ne aveva ottenuto finanziamenti e denari.
La cosa viene utilizzata dai Servizi segreti italiani, cioè da Pazienza alla vigilia delle elezioni, attraverso una serie di articoli pubblicati dalle grandi catene di giornali. Cioè i Servizi segreti Italiani tendono ad interferire nelle elezioni americane, tendono a determinare un danno per una parte, vantaggio per l’altra e Pazienza dirà: “Tutto questo mi è servito, l’amicizia personale di Haig, Ministro segretario di Stato”. In effetti è molto amico di Haig e nonostante tutte le domande di estradizione l’amministrazione americana non lo restituisce. Sono riflessioni anche queste. Questo Michele Papa che da una parte ha la Libia e dell’altra le vittime di turno che si chiamano Billy Carter; certo è che quelli che lui collega in modo segreto vengono travolti in modo pubblico.
Ecco, una riflessione aggiuntiva io credo che questo la meriti; ma poi i Servizi segreti italiani che rapporti hanno con lo Stato libico? Intendiamoci, io non voglio dire che Michele Papa sia un delatore, può darsi che tutta questa vicenda e queste vicende passino sulla sua testa, che egli sia stato strumentalizzato, non lo so, certo è allegato a sospetto, è una figura che lo stesso Gheddafi ha dovuto mollare, ed oggi a rappresentarlo in Sicilia è un certo Cappone o Capponeto, un altro personaggio.
Se un militane sardista viene inchiodato a possibili responsabilità mi chiedo se si voleva coinvolgere quello o se si voleva coinvolgere invece il Partito; perché l’operazione non era coinvolgere Billy Carter, del quale non importava niente a nessuno, neppure all’America, era coinvolgere il fratello, candidato alla Presidenza degli Stati Uniti; non era coinvolgere Meloni, ma il Partito Sardo d’Azione. Questo si che è un possibile pericolo, non lo affermo, perché io non posso neppure affermare che complotto vi sia stato.
Dicevo il rapporto fra Servizi segreti libici e servizi segreti italiani è un rapporto che è stato giudicato di connivenza, di complicità, altro che di fair play, altro che di generica collaborazione. È noto che il Generale Miceli è venuto a conoscenza che nel porto di Trieste transitava la nave Conquistador 13 carica di ribelli algerini, soprattutto di armi, diretta in Libia per organizzare un push anti-Gheddafi; danneggia quella nave mandando degli agenti del servizio segreto e cospargendo di piombo i motori della nave che non può più partire e sventa l’operazione, avverte Gheddafi. E la repressione diventa di una violenza così devastante e sanguinosa che molti debbono fuggire, cercando scampo all’etero. Nemmeno i quattro che sono venuti in Italia troveranno scampo; perché sono stati massacrati in modo clamoroso. Hanno subito esecuzioni sommarie nelle stanze d’albergo, per la strada, nei locali pubblici con scandalo di tutte le polizie del mondo. I servizi segreti che pure dovevano accorgersi del giungere dei sicari non si sono mossi, hanno assistito. Chi dice queste cose, Mario Melis? I giornalisti italiani? No, l’ambasciatore libico in India : Mohamed Iusef Magarif.
L’Ambasciatore libico in uno degli Stati più importanti del mondo; un ambasciatore quindi di alto livello e di alta responsabilità. Certo, ad un certo punto può rompere.
Come non è vero che il generale Santovito scopre e denuncia il tentativo di ribellione della guarnigione di Derna e il comandante viene catturato e giustiziato sul posto per informazioni tempestive del nostri servizi segreti? Due imponenti episodi di ribellione anti Gheddafi che i servizi segreti italiani hanno scongiurato informandone il dittatore libico. Ma voglio dire anche che altri episodi non meno allarmanti hanno visto protagonisti i servizi segreti italiani del generale Miceli, di colui il quale viene ammanettato perché allegato a sospetto dai giudici di tradire i fini istituzionali per i quali è stato investito dell’alta responsabilità di guidare i servizi segreti. Dicevo il Generale Miceli mette a disposizione l’aereo Argo 16, per trasportare in Libia tre terroristi libici sorpresi all’aereoporto di Fiumicino a Torvaianica con un Sam 7, un missile terra-aria, che doveva abbattere un aereo di linea israeliana. I carabinieri li colgono sul fatto, li fermano, il tribunale di Roma li condannerà a cinque anni e due mesi, però l’aereo Argo 16 del generale Miceli li porta per i cieli del Mediterraneo all’approdo sicuro della Giamailia, in patria, dove vengono accolti come eroi. E i servizi segreti italiani hanno risparmiato ai terroristi questi cinque anni e due mesi di reclusione, quei servizi segreti che hanno sottratto ai magistrati i condannati della loro sentenza, o che forse l’omissione nella richiesta di estradizione di certo Abdallah Moahmed Rayd che uccide un commerciante libico in piazza a Milano e poi si rifugia in Francia, in Francia viene arrestato, ma poi lo si deve rilasciare perché nessuna richiesta di estradizione, per merito dei servizi segreti, viene avanzata e così la Francia lo deve rilasciare e torna in patria.
Non si dice, forse che tutti coloro i quali vengono tratti in arresto nel mondo arabo per ragioni di terro¬rismo passano per l’Italia e dall’Italia vengono restituiti. Sono gli atti formali, sono le notizie stampa, io non ho accesso ai segreti del Ministero deli Interni, non ho accesso ai documenti dei servizi segreti, ho accesso ai documenti pubblici, e queste cose le apprendo da notizie stampa firmate e controfirmate di cui i giornali assumono piena responsabilità che non hanno mai avuto l’ombra della più modesta smentita. D’altronde questa presenza così invadente dei servizi segreti italiani nell’attività criminosa, persecutoria, posta in essere dal terrorismo libico, questa interferenza, a salvamento dei servizi segreti italiani, provoca un incidente diplomatico, tanto che i servizi di polizia francese chiedono formalmente, monsieur Le Mercier, mi pare, Foubol, cioè il capo della polizia francese che chiede che i servizi segreti italiani non interferiscano e lascino che gli affari interni libici si muovano secondo logiche che all’interno di quel Paese muovono le forze politiche, gli aneliti di libertà, le diverse possibilità di assestamento. Ma badate che la stampa italiana, Sandro Ottolenghi, Giancarlo Rossella, scrivono che la confusione tra politica ed economia hanno provocato nei rapporti tra l’Italia e la Libia una tradizione ben coltivata di manovre, di intrallazzi, traffici illeciti. Ha prosperato negli anni scorsi e sopravvive una vera e propria Libian Connection, nella quale compaiono servizi segreti, spie, mercanti d’arme, terroristi, mercenari, cacciatori e fornitori di tangenti.
Non le ho scritte io queste cose, perché non si chiamano a render conto i due giornalisti che, documenti alla mano, hanno affermato queste cose? Le cose che io ho letto le poteva leggere qualunque cittadino, perché le riporto dalla documentazione della pubblicistica italiana. Certo, dopo la sentenza della Corte di Cassazione forse il pubblicarle diventerà più ardimentoso ma, oggi, questi documenti sono acquisibili da tutti e non è che l’aver scritto da parte del Professor Samer, che è un noto esponente della politica americana, che l’amicizia dei servizi segreti italiani con il capo libico dura da troppi anni e deve finire, perché da Miceli a Santo Vito, allo stesso Luganesi, si continuano a rendere visite e omaggi a Gheddhafi.
Sono i giornali che si pubblicano a Parigi, nel Niger, in Inghilterra in diverse parti del mondo, che affermano queste cose ed io vengo sottoposto a severe censu¬re perché ho detto fatti che hanno suscitato lo scalpore, lo sdegno e la preoccupazione di quanti amano i valori della libertà e della democrazia. Quello che è avvenuto a Londra qualche mese fa non è un fatto di poco conto, le ambasciate sono sedi di dialogo, le ambasciate sono sedi dell’incontro e non dello scontro; ebbene dall’ambasciata libica si spara contro dimostranti e si spara sul mucchio, tanto che viene ferito mortalmente un agente di polizia. Ecco, sono fatti questi di una gravità, di una pericolosità, che devono rendere preoccupati tutti. Io non credo di avere commesso esagerazioni, di avere espresso in modo scorretto la ripulsa di un sardista e di un cittadino democratico a queste forme di governo.
Forse la mia sensibilità di sardista mi ha indotto a giudizi particolarmente severi, forse in altre forze politiche può esservi un giudizio ed un metro di valutazione di tipo diverso, ma non credo, perché la democrazia e un valore comune e tutti siamo condizionati dal suo affermarsi o dal suo affievolirsi.
Mi si chiedono anche prove materiali e io invece porto riflessioni, argomenti, deduzioni, condotti perché sul filo di fatti certi, e se proprio devo ricordare la mia esperienza personale di avvocato, dico che la prova per indizi è una prova ben più forte della stessa prova diretta. Per me siamo in presenza di una prova per indizi, perché sono molteplici, sono provenienti da fonti diverse, sono convergenti, univoci, cioè assomano tutti quegli elementi che caratterizzano la prova per indizi. Non è che io volessi fare una disquisizione né giuridica né processuale, e chiedo scusa di questo riferimento, ma ho voluto legittimare un processo logico attraverso il quale, nella mia modestia intellettuale ho ritenuto di giungere a certe deduzioni anziché a certe altre.
Non voglio lasciare senza risposta coloro che mi chiedono il significato di una espressione, quale partito di liberazione nazionale; un partito che tende a liberare la nazione sarda, non lo Stato sardo che da solo non esiste. La nazione è un concetto Mazziniano, è un popolo parlante la stessa lingua stanziato su un determinato territorio.
Questo il concetto di nazione, ce lo ha insegnato Mazzini più di un secolo fa, e noi che siamo vecchi repubblicani, che crediamo anche a quell’insegnamento, crediamo che esiste una nazione sarda. Non siamo noi a dirlo, lo ha detto Dettori, lo ha detto Pietrino Soddu, lo hanno detto grandi pensatori del mondo politico sardo e anche non sardo. Qualcuno ha chiamato la Sardegna “Nazione mancata”. Non è che sia un concetto del tutto pacifico, è comunque un concetto che si è affermato, come nascente.
La liberazione è un concetto che va inteso in una portata che tende a vincere la subalternità economica, culturale, la subalternità dei poteri della Regione.
Certo se si equivoca, qualunque cosa, una volta male interpretata ed equivocata, può diventare pericolosa.
Non è vero, onorevole Anedda, che io abbia atteso a diventare Presidente della Giunta regionale per denunziare questo pericolo. Sulla mia buona fede, sulla mia lealtà, sul profondo convincimento che mi guida in queste mie affermazioni, voglio ricordare le mie conversazioni col Ministro Scalfaro che sono di oltre un anno fa, quando chiedevo al Ministro di riaprire le indagini, non in sede giudiziaria, perché quello non rientrava nei suoi poteri, ma di riaprire le indagini con tutti gli strumenti di cui poteva disporre perché io sospettavo, per tutte le considerazioni che abbiamo sin qui svolto e per altre ancora che risparmio, perché il tempo a un certo punto ha anche una sua logica, sospettavamo dei servizi segreti. Llui non ha ritenuto così infondate l’ipotesi tanto che mi ha messo in contatto con il capo attuale dei servizi segreti, un gentiluomo col quale ho avuto l’onore di intrattenermi in una lunga conversazione, il Prefetto Parise, che mi ha ascoltato, ed è venuto a trovarmi in Parlamento, ha discusso di tutte le possibili implicazioni, e ha finito col disporre accertamenti ulteriori di cui non sono a conoscenza. Ne ho parlato anche col capo della polizia dello Stato, il Prefetto Coronas, e anche a lui ho esposto le stesse preoccupazioni di democratico che chiede di conoscere la verità e non di scappare in avanti. Fate indagini, accertate, andate a scoprire, scavate nel profondo, andate a vedere che cosa è successo realmente, voi gli strumenti li avete, non siete certo al servizio o al soldo del Partito Sardo D’azione; quindi non avete condizionamenti, andate a cercarla questa verità.
L’ho chiesto al sardo che aveva in quel momento, e ora ha, la più alta responsabilità parlamentare, seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato.
Il Presidente del Senato, nell’ambito e nei limiti del suoi poteri, sollecita e stimola questi accertamenti, perché la Sardegna ha vissuto un momento di pericolo, un’ora torbida nella sua democrazia. Non mi sono sentito rispondere né con scherno, né con domande sarcastiche, ma con la responsabilità, la serietà e la nobiltà di un democratico che si fa carico di preoccupazioni che sono legittime – e io dal Ministro Scalfaro come dal Prefetto Coronas, come dall’onorevole Cossiga ho avuto parole di rispetto e di solidarietà.
Se qui qualcuno ritiene di poterne fare a meno, fa a meno di valori di democrazia.
Bene, mi si dice anche: “ma spiega i rapporti finanziari tra i servizi segreti libici e i servizi segreti italiani”. Ecco, io proprio a voi democristiani che siete gli interpellanti direi: Perché non fate una riflessione proprio su questo capitolo, posto che la vittima designata di una operazione che è venuta clamorosamente alla luce era proprio il vostro partito? che forse l’operazione M. Fo Biali, cioè il tentativo del generale Miceli di procurare i denari a Foligni attraverso una fornitura di petrolio libico fuori dei prezzi OPEC non era destinato a finanziamento del partito popolare “N.P.P.”, così come lo stesso Foligni ha dichiarato? “Una operazione destabilizzante volta a turbare gli equilibri democratici all’interno del nostro Paese, volta a creare un nuovo partito cattolico in concorrenza con la Democrazia Cristiana”. Io rifletterei sul ruolo avuto dai servizi segreti, io rifletterei sul significato di quella operazione finanziaria.
Perché si uccide Mino Pecorelli, direttore del periodico “OP” e il giudice Sica con un altro magistrato, anziché andare a fare i sopraluoghi sul posto del delitto, corre a casa dell’ucciso e fa una vasta perquisizione attraverso la quale si porta via due casse di documenti e, fra gli altri, questo fascicolo? Foligni chi e? Lo dice Maletti, un uomo di Miceli; il petroliere corrotto, il petroliere che deve fare la grande operazione e fondare il nuovo partito. Sì ci sono tutta una serie di riferimenti sul conto corrente acceso da Foligni in Libia, presso una banca libica, che poi, a operazione chiusa, diventa un processo per esportazione di capitale, dal quale sarà assolto perché dimostrerà che è una operazione fatta dal consenso di (…)
Bene, sono questioni che hanno una loro valenza politica, si interferisce nella politica italiana, si interferisce nella politica americana, si interferisce nella politica sarda, accusando il nostro Partito di autofinanziarsi attraverso sequestri e di cercare attraverso l’ambasciata libica i miliardi del dittatore. È proprio così ardito pensare che questa escrescenza cancerogena che sono i corpi separati dello Stato che si sviluppano all’interno delle istituzioni dello Stato, perché nel loro complesso i servizi segreti fanno il loro dovere istituzionale, ma all’interno si sviluppano queste cosiddette strutture parallele, che non si incontrano con quelle istituzionali che marciano in tutt’altra direzione e per altri obiettivi; non danno motivo di preoccupazione e di allarme in una società democratica.
Cosa è successo in questi giorni, colleghi? Quali sono i fatti di questi giorni? Camorristi che volano per i cieli d’Europa con gli aerei pagati dal contribuente italiano, inseguiti da mandati di cattura; terroristi che ricevono soldi tramite i Servizi segreti, operazioni ignobili, turpi, compiute con la protezione, con i denari dei Servizi segreti.
No, non abbiamo dubitato della moglie di Cesare; noi abbiamo esercitato un nostro preciso diritto dovere che è quello di inserirci nella società con la consapevolezza di dover difendere da tutte le possibili insidie questo valore supremo che è la nostra democrazia, quella nella quale interveniamo critici non per annientarla ma per esaltarla e crescere con essa.