L’insularità crea a noi sardi problemi e prospettive in larga parte diverse da quelle di tutte le altre regioni italiane. Basta pensare che da quando il nostro popolo ha perduto la libertà e subìto l’imperio di dominazioni esterne, ha perduto il rapporto con il mare diventandone prigioniero, tanto che ancor oggi non abbiamo economia marittima e dipendiamo totalmente dall’esterno per i potenziali processi d’integrazione economica e civile con i paese rivieraschi del Mediterraneo e di oltre oceano.
Il nostro problema, che va ben oltre l’orizzonte economico, è da questo fortemente condizionato e può trovare soluzione nelle nostre capacità d’iniziativa rese possibili solo da piena autonomia di governo dello sviluppo.
Questo non può, come in altre realtà, realizzarsi in virtù di un forte mercato interno, data la vastità del territorio sardo e la modestia numerica della popolazione insediata, ma deve utilizzare – come han sempre fatto tutti i popoli – anzitutto la sua posizione geografica: la centralità nel Mediterraneo nord occidentale, quale punto di snodo e incontro di civiltà e commerci fra i continenti d’oltre oceano e i paesi rivieraschi del Mediterraneo a noi vicini, sopratutto del Nord Africa.
Una politica fortemente impegnata nel vitalizzare la nostra portualità rendendola competitiva per la marina mercantile internazionale farà della Sardegna, in uno con le moderne forme di franchigia fiscale, la Svizzera del Mediterraneo.
Altro aspetto irripetibile in altre realtà italiane e la presenza nel nostro territorio di un patrimonio archeologico unico al mondo.
La crescita tumultuosa del turismo costiero dovrà integrarsi con quello culturale delle zone interne ove i turisti scopriranno il fascino misterioso di un popolo che nella preistoria, pur impegnato nell’allevamento del bestiame ovino, caprino e bovino, non si sentiva prigioniero del tempo e costruiva strutture nuragiche ove regalità e trasfigurazioni religiose testimoniano una ricchezza spirituale espressione di una forza interiore capace di guardare oltre l’orizzonte dei millenni.
Una gente forte che sfidava la vastità dei mari per incontrare altri popoli, scambiare con essi merci e reciproche civiltà, che era in grado di esprimere la bellezza e le angosce del quotidiano nella raffinata eleganza delle statuine bronzee raffiguranti, fra le altre, il severo e trepido raccoglimento di una madre che raccoglie nel suo seno il figlio esanime.
I turisti colgono tutta la forza e l’umanità di questo popolo, riandando nel fantastico vagare fra le lande del passato, ove la suggestione del mistero li lega alla Sardegna con ricordi incancellabili.
Ma, ripeto, il nostro problema va oltre gli aspetti economici, pur rilevanti, complessi e aperti su tutto l’arco dei processi evolutivi in atto, per incentrarsi sul crinale politico.
Lussu ci definì “nazione mancata” ma penso si riferisse, con tale espressione, al mancato realizzarsi dello Statuto sardo.
Infatti noi sardi costituiamo, secondo l’insegnamento mazziniano, una nazione posto da millenni siamo insediati in un territorio conchiuso da precisi confini, protagonisti di una storia che ha avuto i suoi bagliori di civiltà, e le amare, durissime esperienze di dominazioni diverse che pur vincendoci con la violenza degli eserciti, non hanno mai spento nel popolo il profondo senso di appartenenza ad una sordità diversa e unica che non si è mai integrata con gli usurpatori della loro indipendenza. Certo le cosiddette classi dirigenti, politici, intellettuali, operatori economici e alto clero (d’importazione) vestivano i panni e parlavano con lingua dei padroni di turno, ma il popolo no. Ha conservato gelosamente la lingua che, pur facendo parte della romanità, ci fa diversi dalla cultura italiana, francese, spagnola e degli altri popoli di cultura neolatina. Siamo i sardi e abbiamo, nella sofferenza dell’oppressione politica come dell’inumano sfruttamento economico, elaborato valori etici, forme produttive, organizzazione sociale, poesia e canti di struggente bellezza.
Ebbene, l’insieme di queste esperienze, maturate nei secoli, hanno il palpito vitale della civiltà; quella che si è soliti definire la civiltà pastorale.
Certo quel mondo oggi si è evoluto ma non snaturato. Si pensi alla letteratura che dalla Deledda si arricchisce dei capolavori quali “Il giorno del giudizio” di Salvatore Satta, la poesia di Sebastiano Satta, le opere di Dessì, la prosa politica d Gramxi e di Lussu che, pur così diversi, esprimono una concezione della vita da cui traspare l’amara dolcezza di una maternità incompiuta, debole, indifesa e perciò intensamente amata. La Sardegna
Irrinunciabile lo Statuto speciale della Sardegna – fine anni ’90
22 Novembre 2022 by