Il riscatto delle Regioni – Convegno sulle Autonomie – 30 settembre 1988

Il mio sarà soltanto un indirizzo di saluto visto che il succedersi degli impegni mi hanno costretto a stare pressoché costantemente assente dalla sede tutti questi giorni compresa la giornata di ieri nella quale proprio celebrando il nostro Statuto e le certezze delle entrate finanziarie della Regione garantite appunto dallo Statuto, abbiamo subito dal Governo una falcidia che probabilmente supererà un centinaio di miliardi nelle entrate regionali. Una sperimentazione che affonda nelle carni della nostra comunità di ciò che il potere centrale ritiene essere l’autonomia un potere che si dilata sino a che non si ritiene di doverlo comprimere in relazione alle contingenze, in relazione alle esigenze, in relazione a fattori mutevoli che sono sempre apprezzati da un unico potere: quello centrale che continua ad essere il fattore dominante, emergente, costante, nella vita della comunità.
La verità è che le nostre autonomie sono inserite in un contesto statuale disegnato dai nostri Costituenti in una visione di continuità della architettura dello Stato per le sue tradizioni centralistiche dominanti e sostanzialmente concessive di spazi, di autonomia che nel concreto sono soggetti ad una soggettività di valutazione giuridica e costituzionale che bastasse certezze ai poteri regionali che vengono costantemente compressi, ridotti, depotenziati e quindi attenuati nel loro potere democratico nella loro forza di propulsione nella creazione di una nuova cultura, di una nuova civiltà autonomistica che dia allo Stato quella prospettiva di democrazia reale che dà alle diversità tutta la forza creativa della cooperazione in una visione di unità.
È il concetto del conformismo, dell’appiattimento, il concetto di uno Stato che resta di cultura unitaria che concede dall’alto ma che dall’alto può riprendere in qualunque momento con le più diverse motivazioni, che dall’alto giudica assumendosi anche il ruolo di giudice di se stesso, perché questo è la Corte Costituzionale, emanazione di un potere centrale, coerente nella sostanza e nella tradizione e sostanzialmente nella sua giurisprudenza alle indicazioni e alla politica del persistente centralismo. Il nostro è uno Stato che ha tradizioni municipaliste nella grande maggioranza del Paese, solo alcune eccezioni si pongono nella storia in termini di statualità e fra queste la Sardegna. Si spiega così come nella tradizione repubblicana Turati fosse per le autonomie municipali e non per quelle regionali. %? come ancora oggi le politiche del Governo, dello Stato tendono a contrapporre e sostanzialmente a svuotare le autonomie regionali attraverso una politica di cosiddette autonomie municipali che però vengono governate dal potere centrale e dal potere centrale condizionate attraverso le erogazioni finanziarie, che condizionano, determinano, rendono subalterni e non consentono autonomie finanziarie neppure in sede comunale se non nell’ambito e nei limiti in cui il potere centrale continua nella sua incombenza a determinare.
E così va delineandosi una sorta di contrapposizione fra poteri locali e Regioni, una contrapposizione innaturale, politicamente arretrata ma che sostanzialmente consente di mettere in competizione e in contraddizione i poteri municipali sì da consentire spazi sempre più ampi al potere centrale e in questa contrapposizione continua a ricercare gli spazi per i vice prefetti conchiusi in una sorta di complesso delle Regioni subite ma mai sostanzialmente accettate.
Ed ecco come noi siamo costretti a muoverci. Ieri abbiamo visto come il Governo centrale con semplicità butta all’aria il Titolo Terzo del nostro Statuto, la certezza delle entrate regionali. Nella giornata di ieri, non anni fa. E praticamente ci dice che le nostre entrate non saranno più quelle che sono garantite dal nostro Statuto ma in virtù di una legge che approveranno tra qualche giorno. Le nostre entrate saranno ridotte drasticamente secondo indici di inflazione non reale ma fittizia, così determinata dal Governo e così da noi subita, per cui, pur aumentando le spese non aumenteranno le entrate, anzi queste saranno ridotte in relazione all’anno finanziario sostanzialmente precedente. Ecco quindi come si colloca la specialità dei nostri Statuti, il ruolo che i presidenti delle Regioni hanno, nella partecipazione alle decisioni del Consiglio dei Ministri, laddove si decidono tesi di questa rilevanza. Abbiamo sì diritto di partecipare alla riunione del Consiglio dei Ministri per esporre il nostro punto di vista ma non abbiamo il potere di impedire che il consiglio dei Ministri assuma decisioni lesive dei nostri Statuti, anche perché la Corte Costituzionale che dovrebbe garantirgli e che dovrebbe tutelare la certezza del diritto nel nostro Paese è eletta come giudici da una sola delle parti, dal potere centrale ed è coerente al potere centrale, salvo rare eccezioni, finisce col dare ragione al potere che la elegge e di cui è diretta emanazione. Le Regioni non concorrono in alcun modo, pur essendo parte in causa, alla formazione di questo organo giurisdizionale e pertanto sono costrette a subire gli orientamenti giurisprudenziali che di norma sono coerenti alle indicazioni del potere centrale che è rimasto quello che era, strutturato in termini verticistici con gli organi centrali disegnati secondo lo Stato ottocentesco, centralistico, sede di un potere che prevale e prevarica quello regionale.
L’istituzione dei prefetti, che è certamente espressione di una cultura dello Stato, i grandi valori che è nella tradizione, nella storia, hanno avuto un ruolo essenziale, oggi sono istituzioni superate che non hanno più una loro legittimazione democratica, ilCapo della comunità regionale è il Presidente della Regione, l’espressione più alta della democrazia regionale è il Consiglio regionale eletto in libertà dal popolo, un Consiglio regionale che ha potere legislativo che quindi ha il potere di disegnare il futuro, di tracciare le vie della crescita e dello sviluppo di far emergere i valori civili, morali, culturali di un popolo non di meno lo Stato continua ad essere non espressione delle Regioni, lo Stato regionalista ma è ancora uno Stato disegnato in termini verti-cistici con un potere centrale ancora incombente che esclude le Regioni nel momento formativo dei grandi indirizzi attraverso i quali si aprono le vie del futuro per il popolo presente nello Stato e tutta la ricchezza delle diversità viene cancellata nell’appiattimento dei poteri centrali.
Dobbiamo dircele queste cose che altrimenti non ci possiamo spiegare il senso di frustrazione di un’autonomia che non è riuscita a risolvere in 40 anni i problemi del sottosviluppo, i problemi di un ritardo nella crescita economica culturale, sociale, la verità è che-un’autonomia sotto controllo, condizionata senza sufficiente respiro. Noi abbiamo bisogno dell’autonomia, è un valore irrinunziabile che può consentire non solo l’emergere dei valori di un’identità che esprime peculiarità, che esprime le diversità, che esprime tutta la ricchezza di un potere creativo, unico nelle sue radici profonde che si articolano nella storia, nella sofferenza millenaria di un popolo che avverte esperienze e prospettive irripetibili nel contesto umano. Noi siamo impegnati in questa grande battaglia di civiltà che è quella di dare poteri reali al popolo. Ma sino a che il Parlamento continuerà ad essere espressione dei poteri centralistici dei poteri dello Stato tali quali erano prima dello Stato delle autonomie, sino a che il potere prevaricante del centralismo continuerà di fatto a negare un ruolo concretamente creativo delle autonomie queste saranno sempre accusate di tutti i fallimenti che in effetti risiedono nella politica del potere centrale e i risentimenti, le delusioni, le istanze inappagate del popolo troveranno nell’interlocutore immediato, nella Regione, l’oggetto del proprio risentimento, della propria delusione e imputata sarà la Regione delle molte cose che lo Stato di fatto non è capace di realizzare nell’interesse della collettività nazionale.
Solo questo fermento creativo che le diversità possono garantire costituisce la forza vitale di un popolo che ha grandi tradizioni di cultura, di intuizione, di creatività e che è mortificato da un appiattimento burocratico oppressivo e centralizzante che appiattisce e in fondo comprime le potenzialità creative che sono nel popolo. Noi abbiamo una nostra identità culturale e non è improvvisata né pretestuosa creata più o meno artificiosamente in questi ultimi 40 anni di autonomia per inventarci un motivo polemico, di comodo, una nostra identità culturale etnica che sprofonda nei secoli è stata difesa e salvaguardata come bene prezioso, come gemma fulgente durante tutte le dominazioni che si sono susseguite esterne a noi ma mai capaci oltre l’oppressione di conquistare il cuore dei sardi, di conquistarne la mente dei sardi, la cultura dei sardi che è rimasta fedele a se stessa. Questa etnia nella solitudine mediterranea che è rimasta a testimoniare la forza di un popolo fedele a se stesso, capace di resistenzialismo che doveva trovare finalmente riconoscimento, sostegno e difesa ed esaltazione nei poteri dello Stato, perché lo Stato doveva essere la risultante di queste diversità e doveva arricchirsi della forza e fermenti creativi delle diversità e invece le ha appiattite, le ha banalizzate nei municipalismi, nel folklore, nelle immagini marginali per cui la vera battaglia delle autonomie deve ancora svilupparsi nel nostro Paese, non come concessione ma come diritto che nasce dal profondo e cresce insieme al popolo, conquista di popolo, identità di popolo, non spazi ricavati attraverso gli interstizi delle sentenze della Corte Costituzionale pavidamente retti da…nel non scontentare i vertici di uno Stato che si dichiara regionalista ma che esclude il regionalismo dai momenti decisionali fondamentali: il Parlamento, laddove le realtà diverse presenti nella comunità nazionale contano, contano alla base, contano al vertice, non sono subalterne ai vertici, ma sono e costituiscono nel loro concorrere il vertice dello Stato, costituiscono i Parlamenti dello Stato.
Non da noi, in Svizzera, in Germania, nella Germania Federale, in America, i poteri delle realtà chiamiamole regionali formano un Parlamento o concorrono a formare i Parlamenti dello Stato, uno dei due rami del Parlamento è sempre rappresentativo pariteticamente delle realtà regionali. Il Cantone di Uri conta nel Parlamento svizzero esattamente quanto il Cantone di Zurigo solo che Uri ha poche decine di migliaia di abitanti e Zurigo ne ha centinaia di migliaia. E così è negli Stati Uniti d’America; analogamente, seppure in forme diverse, è nella Germania Federale, dove i poteri delle istituzioni regionali hanno un significato e non sono sotto sorveglianza del potere centrale ma si muovono in piena responsabilità rappresentando tutti i poteri perché… ma perché il potere dello Stato è espressione di quella molteplicità che è presente nel territorio.
Non di meno noi sardi ci vediamo negare il diritto a una nostra identità culturale, che senso ha questo quasi che un popolo possa crescere senza una sua identità?
Non è solo un problema di società per azioni che possono insediarsi in un certo ambito e sviluppare una certa attività economica, che è importante, certo, salvo il giudizio sulle forme e su chi deve gestire e avere la responsabilità di gestire queste entità produttive ed economiche. Ma non si esaurisce in questo, si esaurisce in quella identità etnica che è forza creativa di cultura, di civiltà, con tutte le peculiarità che vi si connettono. E noi da 40 anni continuiamo a dire che siamo un popolo che ha soggettività storica ed etnica che rivendica questo suo ruolo nel contesto dello Stato e se lo vede costantemente negare, hanno diritto a questo riconoscimento soltanto quelle popolazioni che hanno una valenza statuale all’esterno dello Stato italiano perché debbono trattare con le Cancellerie degli altri Paesi.
Questa è la verità e vi è quindi, in relazione a tutto questo, un tentativo costante, pervicace, vischioso di trasformare gli Statuti speciali in ordinari di svuotarli dei loro significati della loro ricchezza, della loro diversità. È un’azione che si va svolgendo in termini sempre più palesi, sempre più pesanti e l’accerchiamento viene soprattutto sul piano finanziario. Il tentativo, per esempio, di negare alle Regioni a Statuto speciale le risorse di particolari leggi che operano in tutta Italia e che in Sardegna, nel Friuli Venezia-Giulia, in Sicilia, o in altre Regioni non dovrebbero operare. Vi è un tentativo, che poi tradotto in termini finanziari per la Sardegna significherebbe circa 600 miliardi, cioè il tentativo di mettere in ginocchio l’economia sarda e quindi ricontrattare i poteri politici dell’autonomia sarda. Così si spiega l’estrema conflittualità che i poteri centrali suscitano in ordine alle leggi regionali 25-30% delle leggi vengono costantemente impugnate. Si è vero probabilmente vi sono da parte delle Regioni iniziative non sempre coerenti alla norma statutaria però la pretestuosità di gran parte di queste impugnative appare evidente e poi vengono superate nelle trattative dirette con i Ministri competenti, vi è cioè da parte delle burocrazie centrali il bisogno di rendere subalterne le autonomie costringendole ad una contrattazione continua, non vi sono certezze giuridiche, non vi sono vie maestre attraverso le quali procedere con sicurezza, vi è una ricontrattazione non in crescendo ma in riduzione. Con una Corte Costituzionale che solo raramente ha dei sussulti autonomistici, devo dare atto che soltanto di recente abbiamo avuto sentenze che sembrano segnare un mutamento di indirizzo più aperto, più disponibile verso le amministrazioni regionali ma è altresì vero che tutto questo avviene a situazioni contingenti, spesso personali, ma che la struttura la composizione della Corte, è pur sempre una composizione, una struttura di parte, la Corte Costituzionale eletta da una sola delle parti unico esempio, credo, al mondo, che la Corte Costituzionale sia eletta da una sola delle parti. Fra quelle che contendono in giudizio. In Germania certamente i Lander concorrono all’elezione dei giudici costituzionali per quanto attiene ai conflitti di competenza fra potere centrale e poteri regionali. Avviene per le isole Faroe in Danimarca, unicamente per quella realtà che è inserita nel contesto dello Stato danese, gli isolani concorrono nei conflitti di competenza fra potere centrale e la loro comunità ad eleggere in misura paritetica i magistrati che giudicano dei conflitti di competenza. Solo da noi no, è solo il potere centrale che giudica e giudica di se e giudica degli altri e si dà anche ragione abbastanza spesso, abbastanza raramente dà ragione alla controparte e così abbiamo larghe parti del nostro Statuto non attuate a distanza di 40 anni dalla approvazione dello Statuto sardo, da quella parte che attiene all’ordine pubblico, ai trattati di commercio, al sistema doganale, in materia di ordine pubblico, per i provvedimenti dannosi per l’Isola, tutte cose che attendono ancora le norme di attuazione e per le quali il dibattito sempre più stancamente si va trascinando. Non sono state adottate ancora a distanza di 40 anni le norme di attuazione, tutte le norme di attuazione e così vengono utilizzate pretestuosamente tutte le norme di riforma economico-sociale per impedire alla Regione iniziative che possano in qualche modo affrancarla da questi condizionamenti.
E noi abbiamo uno Statuto che, diciamocelo francamente, è l’espressione del vecchio Stato Albertino, è ancora uno Statuto disegnato sullo Stato quale era cento anni fa e che esprime questa concezione centralistica pregressa e ancora permanente e la giurisprudenza della Corte Costituzionale tende ad omologare le autonomie verso il basso. La verità è che le autonomie speciali si legittimano in relazione alla peculiarità e alla specialità delle diverse situazioni presenti nel Paese, non è che debbano essere dei privilegi perché non avrebbero senso ma in relazione a situazioni storiche, etniche, in relazione a peculiarità irripetibili nel contesto dello Stato per cui occorrono norme ed ambiti di azione che siano specifici e peculiari a quelle realtà, non sono privilegi gli Statuti speciali sono esigenze fondamentali, vitali, per le Regioni che le esprimono e invece vi è un tentativo di appiattimento non strisciante, palese, clamoroso, da parte degli organi dello Stato, da parte spesso della stessa Corte Costituzionale. Vi è quindi bisogno di una difesa strenua di questi valori, di una difesa sempre più consapevole, dura, spigolosa, non possiamo limitarci a valutare in termini di disquisizione giuridico e teorica questa materia ma coglierne tutta la rilevanza politica perché noi siamo soggetti protagonisti di storia e finalmente nella storia vogliamo entrarci non come oggetto ma come soggetti determinanti. Noi sino ad oggi abbiamo subito la storia degli altri, non abbiamo creato storia, ma l’abbiamo subita, ne siamo stati oggetto di storia per 2000 anni, da quando abbiamo perduto la nostra libertà, salvo il sussulto splendido, luminoso dell’epoca giudicale. Siamo stati oggetto di storia, non soggetto di storia.
Oggi riapriamo la pagina che dobbiamo scrivere noi perché siamo chiamati responsabilmente, politicamente, storicamente a scrivere noi vincendo resistenze palesi ma striscianti, subdole e allora non ci sono mezze misure, non ci può essere un’autonomia non autonoma, un’autonomia concessa, un’autonomia sotto sorveglianza e sotto potere che la controlla, che la comprime, che la riduce, che la revoca, che la annulla. Non possiamo avere un’autonomia che il Parlamento può sempre ridurre con le sue procedure in qualunque momento vanificandola. Questa non è autonomia. Noi dobbiamo essere il Parlamento, le Regione debbono costituire il Parlamento dello Stato così come avviene laddove le Regioni sono realtà politicamente rilevanti, sono soggetti che operano nello Stato e concorrono a creare la politica dello Stato e non solo ad attuarla. Non siamo organi esecutivi dello Stato ma siamo una forza creativa nello svilupparsi della comunità nazionale.
Ecco il ruolo delle Regioni concorrere a formare i poteri reali dello Stato. E allora dobbiamo essere membri del Parlamento, non come singoli, ma come istituzione. L’istituzione regionale deve essere come tale rappresentata pariteticamente nell’assemblea legislativa, in una delle assemblee legislative come poteri magari specializzati a determinati settori, a determinate materie, quelle che in qualsivoglia modo impediscano fatti di prevaricazione e di emarginazione delle diverse comunità regionali, si possono studiare queste diverse forme, ma la Regione o conta nel momento formativo delle grandi scelte politiche dello Stato o altrimenti è un organo periferico di questo, subalterno alle decisioni del centralismo che nel trasformismo italiano può anche prendere tutti i nomi che gli vogliamo dare ma resta un centralismo duro a morire e la Corte Costituzionale, così come avviene dovunque, deve essere espressione di queste diverse realtà e deve esprimere i poteri diversi dello Stato. E allora veramente creiamo un’unità fra pari, allora veramente creiamo un’unità nazionale nella quale tutti concorriamo con pari dignità, con pari forza, con pari entusiasmo, con pari interessi a delineare le vie maestre attraverso le quali la civiltà creativa, propositiva che la nostra comunità nazionale può scrivere la sua pagina di storia.
E così per quanto attiene all’Europa. L’Europa non può essere quella degli Stati, ma deve essere l’Europa delle Regioni, delle realtà diverse nelle quali l’antica civiltà europea si è espressa; ma sostanzialmente continua ad esprimersi. Oggi noi stiamo vivendo un’Europa (….) nel Mercato europeo comandano i poteri economici che prevalgono nel mercato ma non prevale la politica, non prevalgono quei valori unificanti capaci di far emergere le diverse realtà con tutte le capacità propositive, questi fermenti, così ricchi, prorompenti che sono nelle diverse realtà regionali.
Penso alla Sardegna degli anni ’20 mentre l’ombra oscurantista del fascismo si proiettava sul nostro Paese, penso agli anni ’20 mentre l’ombra delle dittature delle involuzioni nazionalistiche che andavano, come una febbre, diffondendosi per l’Europa conquistandola alle dittature, alla violenza e alle prevaricazioni dei diversi nazionalismi. Io penso alla Sardegna di quei giorni e alle intuizioni luminose dei regionalisti sardi che avevano intuito l’Europa per superare i pericoli dei diversi nazionalismi per scongiurare quella carneficina atroce che sarebbe venuta immancabilmente dalla politica degli Stati e che è giunta inesorabile. Penso alle intuizioni luminose dei regionalisti di allora, dei Bellieni, dei Lussu, degli altri che parlavano di Stati uniti d’Europa, allora. Ma di un’Europa delle Regioni, di un’Europa nella quale tutta la ricchezza della creatività dei popoli e non delle creazioni artificiose, di potenza, si sarebbe potuta esprimere in una forza di rinnovamento, di prospettiva e di speranza e la Sardegna ha questi fermenti vitali. Non so quali altri riscontri abbia nella civiltà europea, quella luminosa intuizione, noi crediamo in quell’Europa e crediamo di esserne partecipi a pieno diritto ma non per subire i monopoli delle multinazionali che trasformano i nostri territori solo in un mercato e nel mercato dei più forti per fare una nuova colonizzazione che ci vedrà ancora più deboli, ancora più esposti alla forza travolgente delle multinazionali.
Noi crediamo in un’Europa nella quale i poteri regionali dialoghino con i poteri regionali, nelle quali le alleanze delle diversità creino la grande forza dell’unità. In un’Europa nella quale il mercato non sia solo forza di potenti ma sia forza di politica di scelte coerenti agli interessi che possono unificare. Noi crediamo fermissimamente nel ruolo delle Regioni, siamo testimonianza viva di questa fede indiscussa e se denunziamo tutto ciò che è rimasto inattuato, se denunziamo tutto ciò che si è tradotto in formule non appaganti o addirittura ritardanti. Tutto questo è … di creatività, di crescita, di sviluppo, lo facciamo perché crediamo nel regionalismo, crediamo nelle diversità come forza creativa dell’unità. Buon lavoro.-