La Regione nel momento delle scelte – Convegno sulla riforma della Regione – Cagliari – 29 giugno 1988

 

I dati significativi che sono emersi nel corso di queste due giornate costituiranno senza alcun dubbio un momento centrale di riferimento per lo stesso Consiglio regionale quando sarà chiamato ad esaminare ed a decidere su questi disegni di legge e per tutta la società civile che è estremamente interessata alla soluzione di temi e problemi così essenziali per la vita della nostra comunità.
I disegni di legge non sono considerati da noi come messaggio di verità assoluta e sono perciò, come altri hanno giustamente sottolineato, suscettibili di modifiche, di arricchimento e anche di migliore formulazione atteso che diversi provvedimenti esprimano con chiarezza la loro datazione essendo superati da altri provvedimenti che vengono presentati contestualmente, ma è bastato il trascorrere di un anno fra l’uno e l’altro per evidenziare una maturazione nella valutazione politica di certe istituzioni ed è un evolversi del pensiero dei proponenti verso nuove forme di governo. Basti pensare alla ipotesi del piano pluriennale di sviluppo che, secondo la legge mi pare 400 viene affidato all’assessore regionale alla Programmazione e alla lettera N o M dell’articolo che riguarda le competenze del Presidente della Giunta nella riforma della n. 1 che invece affida al Presidente della Giunta l’elaborazione della Programmazione. La legge n. 1 è successiva alla riforma della n. 1 successiva a quella che riguarda la riforma della 33 e quindi si tratta di stabilire un coordinamento tra queste due norme per andare al superamento di contraddizioni che sono molto più apparenti che non sostanziali. Gli esempi che sono stati citati dai diversi interventi possono trovare in larga misura queste spiegazioni, si tratterà di costituire un gruppo di lavoro, avvalendosi anche della collaborazione di esperti del mondo scientifico, accademico. Gruppo di lavoro che era stato istituito a suo tempo con la Giunta precedente a quella attuale e non è ancora sciolto; qualcuno non ne fa più parte perché incompatibile con gli attuali uffici che è chiamato con tanto prestigio ad assolvere; altri invece sono ancora disponibili per dare all’Amministrazione regionale quei supporti che sono necessari per dare una valenza unitaria, una coerenza globale a questo insieme di disegni di legge che costituiscono nella loro valutazione globale un vero e proprio organico disegno di riforma ancorché non completo dell’Amministrazione regionale.
Io però colgo alcune indicazioni che sono emerse dal dibattito per sottolineare che in effetti noi potremmo riformare l’Amministrazione regionale, dare a questa un dinamismo, una duttilità, una capacità di adeguamento ai problemi e al divenire di questi con ritmi e le cadenze così intensi del nostro tempo.
Ma difficilmente potremmo dare risposte alle attese dei cittadini se la Regione come Ente non riesce a contare nella vita dello Stato. Se si continua ad essere un Ente di gestione amministrativa, se non conta nel momento delle grandi scelte che lo Stato effettua nella individuazione degli obiettivi, nella ripartizione delle risorse, nei rapporti internazionali che vedono il nostro Paese soggetto che decide attraverso gli organi centrali dai quali le amministrazioni regionali sono escluse. Soprattutto se non riusciamo a recuperare quel rapporto con lo Stato, in virtù del quale l’amministrazione regionale emerge come momento essenziale della vita nazionale. Nello Stato regionalista la Regione è compressa fra diverse forze emergenti che in fondo vengono mobilitate dal potere centrale, che tende a riappropriarsi di poteri, di funzioni, di competenze che gli Statuti, che la Costituzione, che le leggi attribuiscono alla Regione, in particolare alle Regioni a Statuto speciale e che i poteri centrali dello Stato tendono a rioccupare con i metodi più diversi anche con nuove norme di legge ma anche con la creazione di Enti ed istituzioni che hanno compiti settoriali ma che esercitano funzioni che vanno ad indebolire, a infiacchire, a smembrare il potere regionale per cui vi è una sorta di antinomia fra potere centrale e potere regionale, direi una sorta di conflittualità permanente all’interno dello Stato fra organi dello Stato, fra momenti decisionali rilevanti dello Stato, una conflittualità nella quale gli organi centrali dello Stato assumono il ruolo di supremi garanti dell’unità nazionale e si coprono dei manti più retoricamente e enfaticamente patriottici allegando a sospetto non solo localismi sprezzanti i poteri regionali ma allegandoli ancor peggio a sospetto di forza destabilizzante che toglie coerenza all’azione unitaria del Governo e del Parlamento.
L’antinomia sta nel fatto che nello Stato regionalista permane la struttura verticistica dello Stato. Non vi è coerenza tra il verticismo delle strutture centrali, Governo e Parlamento, e i poteri orizzontali che si realizzano attraverso le istituzioni regionali. Verticismo al centro, poteri orizzontali alla base. Ma il verticismo del centro vanifica, frustra, mortifica i poteri democratici dello Stato regionalista e crea quella insoddisfazione in virtù della quale esigenze reali, il bisogno di soggettività politica delle grandi comunità emergono con irresistibile forza ma in forme talvolta devianti che possono prendere il nome di Lega Veneta, Lega Lombarda, di Famiglia Piemontese, di altre formazioni che sono presenti in Liguria e in tutta l’Italia Settentrionale dove si tende a chiudersi in solitudini veramente aride, dove il senso dello Stato viene veramente messo in grande crisi e tutta la tradizione propositiva, feconda, creativa del regionalismo che nasceva come bisogno di solidarietà, di esaltazione delle diversità come soggetti propositivi nella forza unitaria e creativa dello Stato, tutto questo viene messo in discussione, in crisi, per cui io non so se sarà un grande successo quello di quanti vanno riproducendo il centralismo dello Statuto Albertino, ma ritrovandosi uno Stato ingovernabile che riscopre il razzismo, che riscopre l’egoismo delle aree ricche contro le aree povere, che riscopre tutte le solitudini degli emarginati da un lato, dei privilegiati da un altro.
Non si costruisce lo Stato nel centralismo, lo si costruisce nel regionalismo, nel rispetto di diversità che non sono diaspora, ma sono solidarietà, sono forme originali peculiari irripetibili, civili, attraverso le quali un popolo irripetibile come quello italiano, può distinguersi dagli altri proprio in virtù di esperienze storiche diverse, di tradizioni, di costumi, di culture diverse, ma che tutte riconfluiscono nel grande alveo di una tradizione che orgogliosamente può dirsi italiana, ma che si cerca di cancellare nell’appiattimento, nel conformismo, e quindi nella destabilizzazione che sta emergendo, solo che si guardi a certi risultati elettorali leggendoli non solo nel trionfalismo del momento ma nelle valutazioni più profonde e serie che questi avvenimenti comportano.
Ma io credo che sia solo l’Italia, non concordo con le molte cose serie che il dott. Selis ha detto da questa tribuna stamane, che gli stati europei stanno rivivendo un momento centralistico, stanno riscoprendo il regionalismo gli stati europei. È solo l’Italia che li sta negando, ma anche la Francia che aveva la cultura giacobina del grande centralismo sta riscoprendo le regioni, la Spagna di Franco sta riscoprendo le regioni, non parliamo poi del Belgio o dell’Olanda, la Germania. Certo le grandi concentrazioni economiche, certo dialogano tra di loro e vanno cercando coerenze ed interessi comuni; ma questo non significa che la politica dei governi sia una fotocopia dei Consigli di amministrazione e delle decisioni dei Consigli di amministrazione.
Noi dobbiamo operare per contribuire a creare uno Stato più civile, più moderno, più democratico, più capace per rispondere alle esigenze reali di una democrazia che sia meno provinciale, meno subalterna, meno condizionata di quanto oggi lo sia.
E allora i grandi temi nei quali la nostra amministrazione regionale è stata presente e partecipe nella Conferenza dei Presidenti, nel dialogo della Conferenza dei Presidenti col Parlamento, con il Governo nella proposta…, nel dialogo con le massime istituzioni, con lo stesso Presidente della Corte Costituzionale, nelle proposte, ad esempio, della Camera delle Regioni che è momento essenziale perché il regionalismo trovi una sede istituzionale nella quale cominciare ad essere determinante. Una Camera delle Regioni che abbia la capacità di concorrere con la Camera dei Deputati nelle grandi scelte di politica interna, di politica internazionale. Ed ecco il ruolo internazionale delle Regioni, un ruolo che è riconosciuto e che di fatto viene gestito dalle Regioni forti che costituiscono comunità internazionali operanti che determinano veri e propri trattati commerciali, che sono forze che determinano la politica dello Stato che è al seguito di quelle scelte. Uno Stato che trova tutte le maglie possibili per infrenare l’azione dei deboli e che però trova modo di mettersi al seguito ed al servizio, troppo spesso, dei più forti.
Le missioni economiche e commerciali guidate dai Presidenti delle Regioni sul piano internazionale, i protocolli firmati dai Presidenti delle Regioni sul piano internazionale sono cose che di fatto stanno esplicando tutta una serie di conseguenze e in altre realtà nazionali sono operative. La verità è che io ho la sensazione che la Sardegna sia una sorta di vigilata speciale sulla quale esercitare un controllo costante, continuo, preoccupato, per cui noi possiamo benissimo essere gestiti nei nostri collegamenti con l’esterno, collegamenti marittimi, da un Consiglio di amministrazione che siede in un’altra regione che gestisce una compagnia di navigazione che per l’80% collega la Sardegna con altre regioni italiane che deve stabilire i costi, deve stabilire le aree economiche con le quali collegarci, i tempi e le velocità commerciali, il ritmo di collegamento, la tipologia del collegamento, la specializzazione del trasporto e può intensificare il rapporto S. Antioco-Genova facendo mancare agli spedizionieri cagliaritani le navi sufficienti per garantire il flusso dei traffici necessari per tenere in piedi un’economia di export-import essenziale per la vita economica della nostra regione. Non più tardi di ieri ho avuto l’onore di ricevere una importante delegazione di operatori economici dell’area cagliaritana che vedono falcidiate le loro possibilità di inserimento e di integrazione nel contesto nazionale ed internazionale perché mancano i mezzi di comunicazione e noi non abbiamo avuto possibilità alcuna di dialogare con l’amministratore delegato della società di navigazione alla quale sono affidati i servizi dovuti perché si fa rappresentare dal Presidente, persona squisitissima, piena di garbo, di cortesia, di grande civiltà, ma che non ha alcun potere di decisione per cui anche domani sera il Presidente della Regione dovrà incontrarsi con il Ministro che però ha scarsi poteri, visto che le decisioni sostanzialmente sono assunte in sede di Consiglio di amministrazione.
Ecco noi siamo in una condizione di difficoltà per cui quando ci apprestiamo a studiare un disegno di riforma della Regione non stiamo pensando ad un fatto interno ma stiamo pensando di dare ai sardi uno strumento forte di governo in virtù del quale presentarsi al confronto con il Governo dello Stato, con gli altri Enti che contano, che decidono e condizionano il nostro sviluppo. Noi abbiamo bisogno essenziale di tutto questo ed ecco perché contestualmente parliamo di Riforma dello Statuto, parliamo di riforma dell’ordinamento interno della Regione, parliamo di rapporto nuovo tra l’Amministrazione regionale e gli Enti locali, creiamo cioè tutta una serie di impulsi multidirezionali perché il nostro rapporto non si esaurisce con i Comuni, non si esaurisce con le amministrazioni provinciali, non si esaurisce con i Consorzi di bonifica e con gli altri Enti che operano nell’interno della nostra Regione ma è vitalmente correlato e connesso tra i rapporti che abbiamo con lo Stato e con l’Europa, un’Europa nella quale dobbiamo inserirci con la forza dell’originalità e peculiarità nella quale siamo soggetti politici che non intendono farsi assorbire, che non intendono farsi cancellare, omologare ad altre istituzioni, ad altre realtà, ma intendiamo inserirci per dare un contributo valido, originale e specifico per poter ricevere così tutto l’arricchimento che ci può derivare dall’esterno.
Ed ecco perché ci mobilitiamo per dare maggiore respiro alla nostra istituzione autonomistica, puntando sul pluralismo istituzionale e sulle diffusioni territoriali delle principali funzioni pubbliche. Non vogliamo essere una Regione accentratrice, vogliamo invece coinvolgere diffondendo il potere nel territorio tutte le istituzioni democratiche che in questo sono presenti. E debbo dire a questo proposito che la nostra Amministrazione ha cercato di realizzare, con tutte le opportunità che si sono presentate, questo obiettivo trasferendo ai Comuni con la legge specifica, l’assistenza, trasferendo ai Comuni la gestione e la tutela del territorio attraverso il CRAAI, ad esempio, trasferendo ai Comuni tutta una serie di competenze in materia di lavori pubblici, trasferendo ai Comuni risorse, oltre mille miliardi, abbiamo trasferito nello scorso anno ai Comuni. È certo però che i Comuni non sono in grado di poterli gestire perché non basta trasferire funzioni, competenze, poteri, bisogna trasferire risorse.
Noi per superare questa condizione abbiamo stanziato risorse rilevanti per dare ai Comuni la possibilità di assumere senza gravare sul bilancio dello Stato, in un compito di supplenza dello Stato in un settore così fondamentale per i diritti civili.
Abbiamo tutta una serie di temi e di problemi che si pongono anche sul piano della tutela dei diritti sanciti dal nostro Statuto e che in parte viene disatteso. Ma la verità è questa, che noi dovremmo ricorrere alla Corte Costituzionale ogni qualvolta questo si verifica. Ma la Corte Costituzionale si pronunzia con 6-7 anni, dopo sei-sette anni, non più. È molto importante questo e spero che si pronunzi anche in termini, come dire, giurisprudenzialmente diversi dal passato, perché nel passato io non mi sottraggo a questo dovere di verità, ho avuto modo di dire che il giudice costituzionale non è un giudice, perché eletto da una sola parte e finisce con l’essere sostanzialmente, per lo meno in passato l’esperienza delle Regioni a Statuto speciale lo ha dimostrato pesantemente, ma anche l’esperienza delle Regioni a Statuto ordinario non è che sia di molto migliore, certo la prospettiva può essere più gratificante, la verità è che si è dimostrata in larga misura un’articolazione politica del potere che la elegge. Noi riteniamo che non sia un problema di persone ma sia un problema di struttura di questo Organo giurisdizionale, un organo imparziale che deve dirimere i conflitti fra i poteri centrali dello Stato e i poteri regionali, non può essere eletto dai poteri centrali dello Stato perché esprime, come dire, la fiducia degli organi centrali dello Stato che sceglie i giudici che sono più coerenti ai propri indirizzi. Magari sul piano personale non è così, noi stessi abbiamo tributato fiducia a studiosi che fanno parte della Corte Costituzionale perché li riteniamo non regionalisti ma che hanno alto il senso dello Stato e quindi difendono i valori che il pluralismo istituzionale, voluto dalla nostra Costituzione, ma riteniamo che così come avviene in tutti i paesi a struttura federalista, dove il pluralismo istituzionale è un fatto reale, i poteri regionali possano concorrere a eleggere i giudici, per lo meno per quella speciale Sezione che è chiamata a dirimere i conflitti di competenza tra potere centrale e potere regionale.
Sì, sono delle giuste osservazioni quelle che sono state fatte anche stamane sulla necessità di attivare tutta una serie di procedure, anche per dare una organizzazione più dinamica sul piano operativo, per andare a superare non solo le procedure ma tutta una serie di difficoltà organizzative materiali. Lo studio che abbiamo affidato al Formez ha proprio questo compito. La relazione che ha svolto stamane il dott. Serra mi pare che abbia chiarito sufficientemente questo aspetto. Noi non ci siamo impegnati soltanto sul fronte delle riforme ma anche della riorganizzazione, dell’efficientismo operativo per andare a studiare procedure che liberino l’amministrazione regionale di tempi tecnici assolutamente inutili, defatigatori e che non sono più in coerenza con i ritmi del nostro tempo. Oggi viviamo nell’epoca dell’informatica, della telematica, della contestualità dell’informazione che determina tutta una serie di impatti e conseguenze ed effetti nella economia delle vita civile se non si adottano con la tempestività del caso provvedimenti che si rendono necessari sulla base di tutti gli impulsi che derivano con i ritmi che il nostro tempo comporta si resta tagliati fuori, si resta emarginati, quindi dobbiamo darci una struttura organizzativa che sia adeguata al nostro tempo, una capacità di produrre atti amministrativi che siano coerenti a tutta la panoramica all’interno della quale noi siamo chiamati a svolgere il nostro ruolo.
E questo compito noi lo stiamo assolvendo affidandoci ad una delle istituzioni più prestigiose, più efficienti che esistano oggi nel nostro Paese che è il Formez e che da mesi sta studiando tutte le possibili applicazioni e sta formando alcuni nostri bravi funzionari perché poi diventino un organo permanente dell’Amministrazione di verifica costante e di costante studio dei possibili adeguamenti, perché, diceva ieri il Sindaco di Cagliari «Ecclesia reformanda est» se per qualcosa di simile, così è l’Amministrazione regionale, non può esserci momento statico o la perfezione perché l’evoluzione vitale in ogni fase della nostra vita interessa anche le istituzioni e che quindi ci impone di valutare sempre come fase transitoria qualunque conquista noi possiamo realizzare.
Io credo che molte cose, molti impegni ci attendono, ci attende un impegno veramente rilevante nella gestione dell’economia che sostanzialmente noi non governiamo, noi non possiamo governare l’economia perché non governiamo il credito, perché non governiamo il risparmio, perché non governiamo il sistema fiscale, perché siamo gestiti da tutta una serie di istituzioni e di procedure che praticamente ci appiattiscono su realtà diverse e finiscono, proprio perché siamo appiattiti su realtà diverse, col subire i fatti che sono misurati su realtà diverse e quindi devastanti per noi. È chiaro che un sistema fiscale che è pensato per rendere più efficiente l’economia milanese non può essere certo incentivante per noi. Quando si dispone un’operazione per determinare una nuova politica del credito, certo, le restrizioni andranno bene a Milano dove si scoppia di salute e qui sono soltanto il massacro dei piccoli operatori economici che invece sono sottocapitalizzati e che hanno bisogno di un ampliamento del credito perché i presupposti della nostra economia sono diversi, ma si sa che il governatore della Banca d’Italia quando si pronunzia fa ricadere su tutti le conseguenze delle sue decisioni e noi ne siamo sempre regolarmente danneggiati.
In questa situazione, ripeto, il nostro impegno è vasto, complesso, difficile e difficile è il rapporto con lo Stato non solo per le riforme dello Statuto ma per l’attuazione dello Statuto. Ieri il prof. Contini ci richiamava questo, dare attuazione allo Statuto; qualche altro ci ricordava l’esigenza di mobilitarci sul fronte delle norme di attuazione che ancora non hanno trovato applicazione. In questo senso avevamo predisposto un incontro con il Governo perché sono conquiste che realizziamo in un dialogo costante con i poteri centrali dello Stato; avevamo anche stabilito un’agenda dei lavori con il Presidente del Consiglio dei Ministri, la crisi di Governo ci ha costretti a rinviare quell’incontro, io spero che possiamo riprendere il dialogo entro un tempo molto ristretto; ma non sono problemi certo questi né accantonati né sottovalutati, sono problemi che la Giunta ha ben presenti e sui quali intende confrontarsi, non solo al proprio interno, con le proprie riflessioni, ma anche con il Governo dello Stato per-
che quello è un momento decisivo, essenziale per dare prospettiva anche a questo aspetto.
Il convegno si chiude qua. Il convegno si chiude con questo dato positivo: che l’Amministrazione regionale ha prodotto una serie di proposte che nel loro insieme possono configurare se non la riforma completa, organica della Regione, però un impegno molto vasto ed importante. Una proposta che certo arricchirà la discussione con i contributi di tutti e io spero che questi contributi vengano dalle opposizioni perché è loro compito, è loro dovere, non solo loro diritto, e la presenza di alcuni autorevoli esponenti dell’opposizione non mi pare che esprima un impegno sufficientemente rappresentativo del ruolo che le opposizioni hanno nella soluzione di un problema di così vasta portata. Non è un problema né di maggioranza, né di opposizione. È un problema che investe la comunità dei sardi e chiunque oggi si sottragga a questo dovere critico, propositivo, di consenso, ma comunque di movimento, manca di un dovere storico e resterà registrato in questa difficile vicenda del nostro popolo che già vive momenti estremamente difficili.
Io credo che noi abbiamo il dovere di guardarci con reciproco rispetto, quel rispetto che si deve anche a chi ha le intuizioni e riesce a formulare delle proposte talvolta con 60 anni di anticipo rispetto a chi si trova su posizioni e ideologiche e culturali del tutto diverse. Se poi certe proposte con l’andare del tempo vengono assunte e fatte proprie anche dalle altre forze politiche non è una colpa di chi ha avuto l’intuizione iniziale e inizialmente le ha proposte, non rompendo e non contrapponendosi agli altri mandando obiettivi che poi la storia si incarica di dimostrare validi.
Ecco perché oggi il dibattito non può chiudersi e non può inaridirsi con scuse e pretesti quali l’unanimismo nella non iniziativa, perché l’iniziativa deve essere assolutamente comune quasi un coro a più voci nelle quali tutti quanti però debbono obbedire ad un direttore d’orchestra. Lasciamo che le iniziative fioriscano, richiamino tutti però ad un dovere di collaborazione, ad un dovere di buona fede, ad un dovere di impegno. Troviamo le sedi nelle quali il dialogo è comune, nelle quali il confronto è comune, per trovare soluzioni comuni; non imbavagliamo chi vuole proporre, ma diamo libertà di iniziativa a tutti quelli che hanno qualcosa da dire per poi confrontarci e non sfuggirci reciprocamente ma richiamarci intorno ad un tavolo e dire ciascuno la propria linea in modo che dal confronto scaturisca una soluzione che sarà quella della maggioranza, così co-me è avvenuto sino ad oggi, come avverrà da oggi in poi. Gli unanimismi non sono nelle regole della democrazia, gli unanimismi sono di solito nelle regole delle dittature, noi siamo per la democrazia ed io credo che le molte voci critiche di questo convegno dimostrino che è la democrazia che vive e che sa proiettarsi nell’avvenire.