Lettera a Monsignor Ottorino Alberti – novembre 1987

Ben tornato Eccellenza,
nell’ideale commosso abbraccio con il quale la collettività isolana si accinge ad accoglierla – seppur mai Ella possa considerarsi realmente partito da questa nostra comune, amata terra – avvertirà l’empito del caldo affetto che ha saputo conquistare ed infondere nella famiglia sarda.
Una vita, la Sua, fatta di testimonianza gioiosa ed insieme sofferta, trasfigurata dalla poesia delle cose umili, elevata a calda trascendente spiritualità.
Con il suo ritorno si realizza un fatto storico che si carica di alti significativi segni: dopo mille anni – o sono di più? – tutto l’Episcopato in Sardegna, salvo la felice eccezione del vescovo di Ales, è sardo! Certo, ricordiamo, con deferente rispetto e gratitudine insigni prelati che hanno guidato con luce d’intelligenza e, spesso, con coraggio e generosità la Chiesa sarda: gli esempi sono numerosi. Tra i più significativi e recenti mi piace ricordare Mons. Virgilio, Vescovo di Tortolì, ed il Cardinal Baggio, Vescovo di Cagliari, al cui fervido amore di Sardegna tutti noi, ma soprattutto tanti sardi “potenti e dimentichi”, dovremmo ispirare il nostro quotidiano agire.
Penso però che il portare nelle proprie carni i chiodi di un’antica sofferenza, dell’ingiustizia prevaricante di lunghe e ingenerose dominazioni, l’avvertire – facendoli emergere a luce di coscienza – i moti più intimi e profondi dello spirito per trasformarli in forza morale divenuta traguardo spirituale di tutto il popolo, aprirà nuovi e più vasti orizzonti alla speranza.
Non nella grandiosa solennità dei riti, ma nella radura solatia di Val Verde, con l’assemblea degli umili venuti dai rioni della povertà nuorese, dalle campagne di Oliena, Orune, Lollove, ad ascoltare la parola di Monsignor Alberti, riconosciamo l’uomo che sul fronte dell’amore e della dignità umana combatte la battaglia del suo popolo.
Ella, richiamandosi ai personaggi “niente affatto immaginari” dei romanzi di Grazia Deledda dice: “…appaiono uomini che rinunziano alla lotta per salvare dignità e speranza, dimostrando così la loro forza e la volontà di risorgere”.
Oggi questo e più che mai verità palpitante di vita. La Chiesa sarda, esaltando il proprio alto magistero, può fare molto per aiutare i sardi a vincere l’ingiustizia, l’emarginazione, la solitudine.
Il suo ritorno fra noi dà la certezza di un’impegno che non si esaurisce nella suggestione della liturgia, ma diviene forza di popolo. Di quel popolo che prega ancora nella lingua dei padri: in sardo. Con deferente stima e amicizia, Mario Melis