Intervento dell’on. Mario Melis a Oporto – 1991

Il trattato di Roma ignora le Regioni; le politiche comunitarie, in questi 30 e più anni, hanno riguardato le regioni solo quali spazi economici; in coerenza con tale principio oltre il 90% del bilancio comunitario è stato destinato a promuovere lo sviluppo in spazi sub-statali territorialmente definiti, corrispondenti – di norma – alle aree geografiche nelle quali sono insediate comunità unite da esperienze storiche, economiche, tradizioni, interessi, valori e culture comuni.
A queste entità sono destinati i cosiddetti fondi strutturali, quali il F.E.S.R. il Fondo Sociale ed il F.E.O.G.A. sia orientamento che garanzia.
Con il Trattato di Maaestricht le Regioni assumono invece un ruolo squisitamente politico e sono chiamate a concorrere attraverso l’Istituzione del Comitato delle Regioni, su richiesta del Consiglio al definirsi delle decisioni e quindi delle politiche comunitarie su determinate materie quali cultura, ambiente, reti trans-europee, governo del territorio; al Comitato è altresì possibile formulare pareri o proposte di propria iniziativa, su materie che abbiano rilevanza regionale.
Il Consiglio è peraltro tenuto a sentire il parere del Comitato nelle materie sulle quali è sentito, il Comitato economico sociale. Questa premessa non deve però trarre in inganno.
È vero: si avverte un diffuso bisogno di regionalismo che prefigura l’unione politica dei popoli d’Europa in luogo dell’Europa degli Stati, rendendo i primi protagonisti reali del loro sviluppo in un progressivo processo di integrazione Mediterranea.
Dicevo che questa premessa non deve ingannare perché in effetti il regionalismo è stato costituzionalmente realizzato solo in alcuni Stati e forti sono le resistenze al suo pieno dispiegarsi.
Un discorso particolare va fatto per la Germania Federale per la quale è possibile affermare la sussistenza di una sovranità policentrica articolata fra il Governo del Bund e quello dei Lander cui non è di contraddizione la salvaguardia costituzionale del potere esclusivo riservato al Governo Federale su alcune materie. Il potere dei Landers è limitato dai potere statale solo nei casi particolari in cui sia messa in pericolo l’unità dello Stato o le scelte di un Lander siano di danno ad altro dello stesso Stato.
In Italia come in Spagna le costituzioni prevedono il formarsi di entità territoriali autonome dotate di potere legislativo, regolamentare ed esecutivo esercitato attraverso dei veri e propri parlamenti e governi regionali eletti a suffragio universale diretto. Ogni regione ha un proprio statuto nel quale sono definite le materie di competenza esclusiva, concorrente ed integrativa. Ma il potere d’imperio delle regioni non è assistito di norma da alcuna sanzione ed è costantemente insidiato dalla burocrazia del Governo centrale che, in nome dei supremi interessi della collettività nazionale, blocca l’operatività delle leggi regionali, con una frequenza statisticamente valutata nel 25% della produzione legislativa regionale.
In effetti le impugnative del governo giungono puntualmente quando vengono disturbati interessi del potere economico di gruppi nazionali e multinazionali fortemente incrostati sulle strutture archeologiche dello Stato.
E così, mentre i Landers della Germania, in virtù dei poteri derivanti dalla loro costituzione, sono regolarmente informati, interpellati ed abilitati ad esprimere pareri ed eventuali opposizioni alle politiche comunitarie sino a configurare un vero e proprio diritto dì veto ove siano minacciati interessi vitali di uno o più Landers, in Italia come in Spagna, ciò è del tutto inesistente essendo interlocutori del potere comunitario solo i governi degli Stati.
È altresì vero però che l’esistenza delle Regioni consente a queste, sia sul piano politico, che dell’azione concreta, deliberare e realizzare piani di sviluppo (in autonomia o in concorso dello Stato e della Comunità) sì da dilatare gli spazi decisionali ed operativi, assumendo perciò un ruolo primario di Governo con proiezioni internazionali sia nell’ambito comunitario che al suo interno; ciò non significa acquisire un ruolo di rappresentanza di diritto internazionale – che spetta solo allo Stato – ma quello di soggetto capace di atti internazionali.
Il Belgio si avvia a diventare uno Stato Federale articolato in tre Comunità Regionali: Fiamminga, Vallone e Città di Bruxelles, suddivise a loro volta in Comunità Etniche; la prima di lingua olandese, le altre di lingua e cultura francofona e germanofona e, per la città di Bruxelles, multietnica.
Negli altri Stati del Continente l’Istituzione Regionale, quale soggetto politico titolare di potere legislativo, è sostanzialmente sconosciuta.
È del tutto evidente però che là dove esistono le regioni costituzionalmente riconosciute e aventi potere legislativo proprio, gl i organi del potere centrale sono costretti ad un continuo confronto dialettico con queste; il potere operativo dei governi nazionali ne risulta così significativamente limitato; non infrequente la capacità d’iniziativa delle regioni medesime nello stabilire rapporti diretti ed informali con le autorità comunitarie dando vita ad un rapporto di partenariato attraverso il quale si realizza il principio cardine della sussidarietà. del Trattato di Maaestricht la sussidarietà: riservare tutto il potere alle istituzioni di base deferendo a livello superiore ciò che per motivi diversi non può realizzarsi in sede locale.
La gerarchia dei poteri assume così un ruolo funzionale sia all’efficacia dell’azione che al profondo rinnovarsi della democrazia: realizzare il potere decisionale il più vicino possibile al Cittadino.