Relazione per la Commissione Politica regionale, assetto territoriale

(settembre 1993)

Parlamento Europeo
Progetto di Relazione della commissione per la politica regionale, l’assetto territoriale e le relazioni con i poteri regionali e locali sulla rappresentanza e la partecipazione delle regioni alla costruzione europea: il Comitato delle regioni
Relatore: on. Mario Melis
Pagina regolamentare
A.    Proposta di Risoluzione
B.    Motivazione
Parere della commissione per gli affari istituzionali
Con lettera del 15 luglio 1990, la commissione per la politica regionale, l’assetto territoriale e le relazioni con i poteri regionali e locali ha chiesto l’autorizzazione di elaborare una relazione sulla rappresentanza e la partecipazione delle regioni nella costruzione europea: il Comitato delle regioni.
Nella seduta del 10 settembre 1990 il Presidente del Parlamento europeo ha comunicato che la commissione era stata autorizzata a elaborare una relazione su questo argomento.
Nella riunione del 27 settembre 1990 la commissione ha nominato relatore l’on. Melis.
Nelle riunioni del 23 aprile 1992 e del ha esaminato il progetto di relazione.
In quest’ultima riunione ha approvato la proposta di risoluzione.
Hanno partecipato alla votazione / Erano presenti al momento della votazione gli onn. presidente; vicepresidente; relatore;
La relazione è stata depositata il
Il termine per la presentazione degli emendamenti sarà indicato nel progetto di ordine del giorno della tornata nel corso della quale la relazione sarà esaminata.

A.
Proposta di Risoluzione sulla rappresentanza e la partecipazione delle regioni alla costruzione europea: il Comitato delle regioni

Il Parlamento europeo
vista la dichiarazione finale e le risoluzioni adottate dalla II Conferenza Parlamento europeo – Regioni della Comunità e, in particolare, la risoluzione sulla rappresentanza delle regioni e la loro partecipazione all’elaborazione, applicazione e valutazione delle politiche strutturali e delle politiche comuni, nonché la risoluzione su una Carta delle regioni della Comunità,
viste le proprie precedenti risoluzioni concernenti la politica regionale comunitaria e il ruolo delle regioni ed in particolare la risoluzione del 18.11.88 (1),
visto il trattato sull’Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992,
viste le risoluzioni adottate dalle regioni e dalle loro associazioni rappresentative,
viste le proposte di risoluzione degli onn. Kòhler e Pack, a nome del gruppo PPE e dell’on. Raffarin, a nome del gruppo LDR (2),
vista la risoluzione del 23 aprile 1993 (3),
visto il parere della commissione per gli affari istituzionali,
visto l’articolo 121 del suo regolamento,
vista la relazione della commissione per la politica regionale, l’assetto territoriale e le relazioni con i poteri regionali e locali,
A.    considerando che il trattato sull’Unione trasforma radicalmente la Comunità europea ampliandone le competenze, cosicché quello che era un sistema di attribuzioni concrete in funzione di obiettivi puramente economici, diventa una vocazione politica di carattere generale,
B.    considerando che, parallelamente al processo di costruzione europea, negli Stati membri si è verificato un fenomeno di ristrutturazione profonda della distribuzione territoriale del potere, che in taluni Stati è sfociata in una struttura federale o fortemente regionalizzata mentre in altri si manifesta tramite una tendenza crescente alla decentralizzazione,
C.    considerando che in taluni Stati membri le regioni sono dotate di autonomia politica e che, quindi, condividono il potere legislativo con le strutture centrali dello Stato,
D.    considerando i problemi sorti a seguito dell’applicazione delle politiche comunitarie per il fatto che le regioni, enti sub-statali ai quali spesso tali politiche si applicano, sono soggette alle disposizioni comunitarie nei settori di loro competenza mentre gli Stati membri, in ultima analisi, si riservano la responsabilità nei confronti delle istituzioni comunitarie,
E.    considerando che l’ampliamento radicale della sfera d’intervento della Comunità prevista dal trattato sull’Unione comporta un rischio di ingerenza ancora maggiore che in passato nell’ambito delle competenze proprie delle regioni e considerando, pertanto, l’urgenza di associare adeguatamente le regioni al quadro istituzionale europeo onde garantire l’efficacia delle politiche comunitarie,
F.    considerando che l’assenza dei poteri regionali dal processo di costruzione europea costituisce una prova del deficit democratico esistente nella Comunità,
G.    considerando che il trattato sull’Unione, istituendo la cittadinanza europea, creando il Comitato delle regioni, rendendo possibile la partecipazione degli esecutivi regionali al Consiglio dei ministri e riconoscendo il principio di sussidiarietà, fornisce una prima risposta,
parziale ma efficace, alla necessità di integrare le regioni nel processo di costruzione europea, contribuendo in tal modo alla democratizzazione della Comunità,
H.     considerando che il trattato sull’Unione controbilancia l’ampliamento orizzontale delle competenze comunitarie con la fissazione di un limite verticale al suo esercizio, rappresentato dal principio di sussidiarietà, in base al quale le decisioni devono essere prese al livello più vicino possibile ai cittadini,
1.    considerando che, a partire dal trattato sull’Unione, uno Stato membro non è più identificato automaticamente con il governo centrale dello Stato e che la nuova redazione dell’articolo 146 del trattato CEE conferma tale interpretazione,
J.     vista la modifica del trattato prevista per il 1996 e nella prospettiva di una costituzione per l’Unione europea,

1 .     ritiene che il riconoscimento politico dell’elemento regionale rappresenti un interesse comunitario sia dal punto di vista dello sviluppo della democrazia che da quello del radicamento della costruzione europea nelle molteplici realtà dei popoli europei;
2.    giudica insufficiente la risposta del trattato sull’Unione alla necessità di democratizzazione della Comunità e all’integrazione delle regioni nella costruzione europea, pur esprimendo la sua fiducia nella dinamica del processo costituzionale europeo e ritenendo in particolare la cittadinanza europea, il Comitato delle regioni e il principio di sussidiarietà un primo passo che dovrà essere sviluppato e completato con la riforma prevista per il 1996;

Il principio di sussidiarietà: una nuova dimensione per le regioni ritiene che il principio di sussidiarietà in senso lato, così come definito nel preambolo e negli articoli A e B del trattato sull’Unione, ovverosia nel senso che le decisioni debbono essere prese il più vicino possibile al cittadino, deve divenire l’elemento portante cui debbono ispirarsi sia le decisioni sia l’applicazione delle politiche comunitarie e chiede, pertanto, alle istituzioni europee di adattare il loro operato a tale principio nel rispetto delle strutture politico-amministrative interne degli Stati membri;
ritiene che l’articolo 3B del trattato CEE, che definisce il principio di sussidiarietà come criterio di esercizio di competenze ripartite tra la Comunità e gli Stati membri, non si riferisce unicamente alle strutture centrali dello Stato e che quindi la garanzia giuridica di ricorso davanti alla Corte di giustizia previsto da tale articolo si estende anche alla difesa delle competenze regionali; ritiene necessario, ai fini della trasparenza, includere espressamente le regioni in tale articolo in occasione della riforma prevista per il 1996;
ritiene che, conformemente al principio di sussidiarietà, l’applicazione e la gestione delle politiche comunitarie debba avvenire sul piano amministrativo più decentralizzato possibile, tenendo conto delle competenze delle regioni e dell’organizzazione politico-amministrativa degli Stati membri;

Partecipazione delle regioni al quadro istituzionale comunitario:
– fa rilevare la necessità di associare al processo decisionale, fin dalla fase di definizione delle politiche comunitarie, coloro che saranno chiamati ad attuarle, onde garantirne l’efficacia;
– si compiace della creazione del Comitato delle regioni, considerandolo un primo passo verso 1’integrazione delle regioni nel processo decisionale comunitario e ribadisce che occorre considerarlo un elemento importante nel processo di costituzione dell’Unione europea e che la sua configurazione attuale non va ritenuta definitiva: il Comitato stesso dovrà esaminare le modalità più adeguate per migliorare la rappresentanza e la partecipazione dei poteri regionali e locali nella prospettiva della revisione del trattato nel 1996 e della futura costituzione dell’Unione europea;
– insiste, in conformità della risoluzione adottata dal Parlamento il 23 aprile 1993, sulla necessità di soddisfare le seguenti condizioni in sede di creazione del Comitato:
– garantire che i suoi membri, sia titolari che supplenti, coprano cariche elettive di rango immediatamente inferiore a quello statale e/o dispongano di una legittimità democratica diretta dinanzi a un’assemblea regionale o locale,
garantire una rappresentanza dei poteri regionali e locali in funzione del loro riconoscimento nel sistema istituzionale degli Stati membri,
– garantire, per quegli Stati membri la cui struttura sia prevalentemente regionale, che nel suo seno siano rappresentate tutte le regioni riconosciute dalla Costituzione,
– garantire la rappresentanza dei poteri regionali e locali in funzione del loro riconoscimento nel sistema istituzionale degli Stati membri,
– garantire al Comitato risorse finanziarie e personale adeguato, nonché la piena autonomia del suo organigramma e del suo bilancio;
ricorda inoltre la sua ferma intenzione di stabilire un contatto diretto e permanente con il Comitato delle regioni e chiede che le relazioni dello stesso gli vengano trasmesse ufficialmente e non siano comunicate unicamente al Consiglio e alla Commissione;
9.     invita gli Stati membri che, in base al loro ordinamento costituzionale, hanno regioni dotate di competenze legislative esclusive a facilitare, nello spirito della nuova redazione dell’articolo 146 CE, la partecipazione delle stesse alle riunione del Consiglio dei Ministri quando si tratti di questioni di loro competenza;
10.    ritiene che l’inserimento delle regioni nella struttura istituzionale comunitaria debba essere completato con il riconoscimento espresso della loro legittimazione attiva davanti al Corte di giustizia, cui finora possono accedere in maniera implicita come qualunque altra persona giuridica a norma dell’articolo 173;

Partecipazione delle regioni all’applicazione delle politiche comunitarie
– esprime il suo convincimento che una maggiore decentralizzazione in sede di esecuzione delle politiche comunitarie assicurerebbe non soltanto il loro avvicinamento ai cittadini, ma anche il miglioramento dell’efficacia del controllo delle stesse;
– ritiene, a tale riguardo, che la Comunità e, in particolare, la Commissione europea dovrebbero poter delegare direttamente alle regioni, laddove l’ordinamento costituzionale lo permetta, compiti di esecuzione delle politiche comunitarie con relativa assunzione di responsabilità da parte delle amministrazioni regionali;
– giudica necessario, dopo la recente riforma del Fondi strutturali e in base all’esperienza della tappa precedente, migliorare l’esercizio del principio di cooperazione con le autorità regionali e locali, principio chiave per aumentare l’efficacia della programmazione, attuazione e controllo delle politiche strutturali;
– sollecita, nel quadro della nuova riforma dei Fondi strutturali, l’ampliamento delle esperienze di gestione diretta di programmi portati avanti congiuntamente dalla Commissione e dalle regioni, come nel caso del programma RECITE;
sollecita le istituzioni comunitarie a dare maggiore impulso e vigore alla cooperazione interregionale nei settori in cui le regioni condividano interessi comuni.
Le regioni in una prospettiva costituzionale
– ritiene che il progetto di Costituzione europea attualmente in fase di elaborazione debba prevedere un meccanismo che permetta, quando il progresso verso un’integrazione maggiore dell’Unione lo giustifichi, l’adozione di una norma che definisca la funzione istituzionale delle regioni;
invita la Commissione e il Consiglio a avviare un dialogo costruttivo ai fini dell’elaborazione di una dichiarazione comune sulle relazioni tra la Comunità e i poteri regionali e locali in base alla dichiarazione comune del 18 giugno 1984 e alla Carta comunitaria della regionalizzazione, annessa alla risoluzione del Parlamento del 17 novembre 1988;
incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione, al Consiglio, ai parlamenti e ai governi degli Stati membri nonché all’A.R.E. (Assemblea delle regioni d’Europa) e al C.C.R.E. (Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa).

B.
MOTIVAZIONE
Nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, sullo sfondo di avvenimenti che hanno innovato, sconvolto, promosso e condizionato i rapporti fra i popoli del pianeta, in Europa abbiamo assistito al contestuale affermarsi di due processi storici fra loro apparentemente scollegati ed autonomi: da un lato l’istituzione della Comunità europea e, dall’altro, l’emergere di un ripensamento critico della organizzazione democratica degli Stati che la compongono attraverso una nuova e più diffusa articolazione del potere. Apparentemente i due fenomeni si sono reciprocamente ignorati. La costruzione europea ha proceduto infatti mantenendosi estranea alle grandi riforme degli Stati membri determinate peraltro, in larga misura, da problematiche interne correlate sia all’efficienza economica che all’esigenza di democratizzazione o riorganizzazione funzionale dello Stato. In effetti all’origine di questo fermento innovatore sta il bisogno dei popoli di superare contrasti, incoerenze, squilibri che l’impetuoso moto costitutivo dei singoli Stati aveva attraversato, senza peraltro risolverli, generati soprattutto dalla centralizzazione del potere, della cultura, delle risorse economiche, della stessa organizzazione politico-amministrativa dello Stato. Abbiamo assistito ed assistiamo così all’affermarsi di tendenze diffuse al decentramento che, pur diverse nelle forme istituzionali, esprimono una vocazione così profonda e generalizzata da conferire una connotazione nuova alla stessa Comunità; si può ben concludere che i processi dinamici che coinvolgono questa come gli Stati, pur apparentemente fra loro indipendenti, sono intimamente correlati e costituiscono le due facce della stessa medaglia.
D’altra parte gli Stati europei sono chiamati ad un confronto che si muove su linee contrapposte, ma intrinsecamente connesse e convergenti sull’obbiettivo del pluralismo istituzionale.
Alla semplicità dello Stato unitario si sovrappongono forme più complesse di esercizio del potere: da un lato il livello Comunitario, dall’altro quella dei Lànder, Regioni, Comunità Autonome, ecc..
Questa nuova articolazione del potere costringe gli Stati a confrontarsi con un’autorità sovranazionale e, al proprio interno, con realtà territoriali che tendono ad organizzarsi, (o già organizzate) in istituzioni dotate di poteri autonomi, in grado di assumere, in conformità alle rispettive costituzioni, competenze e funzioni per 1’innanzi gestite dal potere centrale.
La stessa Comunità, nel trattato di Maastricht, ne prende atto: esce dal generico assistenzialismo e si apre al rapporto politico con le realtà territoriali.
Si delinea così un edificio comunitario a tre livelli: Unione Europea, Stato e Regione: risposta alla crescente complessità della vita economica, sociale e politica.

Trattato di Roma
Va sottolineato come le Regioni, con l’unica eccezione delle istituzioni autonome della Repubblica Federale di Germania, del Belgio e delle cinque regioni a statuto speciale italiano, sono in Europa un’istituzione recente e quindi sostanzialmente ignorate dal Trattato di Roma.
Se ne parla come mere entità territoriali destinatarie di alcune politiche comunitarie miranti al riequilibrio economico.
L’Atto Unico pur operando nell’ambito della coesione economico-sociale assume le Regioni quali pilastro della costruzione comunitaria in ragione della loro condizione economica svantaggiata.
La riforma dei Fondi strutturali con l’istituto del partenariato, prefigura una chiara evoluzione regionalista della Comunità. Articolandosi sul piano operativo nelle unità territoriali capaci di programmazione degli interventi, il partenariato dà vita e respiro politico al rapporto con regioni ed enti locali in ragione della loro piena conoscenza dei rispettivi territori e problemi e
della capacità organizzativa ed ordinamentale di attuare i relativi interventi. Con il partenariato si creano dunque le condizioni di un ruolo protagonista per le istituzioni territoriali. Le politiche comunitarie acquistano così in efficacia, produttività ma, soprattutto, in coinvolgimento delle popolazioni al processo di sviluppo, che pur essendo locale, ha il respiro e la prospettiva europea.
Il partenariato diviene così strumento di europeizzazione dei cittadini attraverso le Istituzioni della democrazia di base che sono, di loro, più
diretta ed immediata emanazione. Di fatto però al suo attuarsi son emerse difficoltà e resistenze formalmente legittimate dalla lettera di Trattati che fa degli Stati i soli interlocutori della Comunità.
In effetti, le regioni non hanno alcuna sostanziale garanzia di veder recepite in sede comunitaria le proprie scelte pur assunte nell’ovvio rispetto dell’ordinamento costituzionale dei rispettivi Stati.
Più che ad una vocazione di accentramento del potere politico, il relatore ritiene che ciò derivi dalla tenace resistenza delle alte burocrazie allocate negli organi centrali dello Stato, timorose di perdere vaste fasce di potere ed anzi desiderose di riappropriarsi di quelle costituzionalmente riconosciute alla
competenza regionale o locale. Assistiamo così all’emergere di una vistosa contraddizione che vede da un lato la Comunità e le scelte politiche dei governanti aprire nuovi e significativi spazi alla democrazia di base mentre le burocrazie statali (con la benevola, compiaciuta connivenza dei cultori di un irripetibile passato) si affannano a contrastare il nuovo rinazionalizzando, in virtù dell’Europa, politiche e competenze costituzionalmente riconosciute e gestite dai poteri regionali e locali.
Di fatto, tanto la Commissione che il Consiglio avvertono l’esigenza di un più stretto rapporto e collaborazione che associ le regioni ali’intelaiatura comunitaria, facendone soggetti attivi di questa nelle questioni che più direttamente le riguardano e che comunque sono, nell’ambito dell’ordinamento statale ed europeo, di loro competenza o interesse. Appare di tutta evidenza lo stretto rapporto esistente fra il consolidarsi di una cultura e mentalità europee con la partecipazione diffusa dei cittadini e delle Istituzioni territoriali al loro realizzarsi. E quanto maggiore è la partecipazione e più diffusa l’articolazione del potere, tanto minore è il pericolo dell’affermarsi prevaricante non tanto di un’autorità quanto di un autoritarismo eurocratico o statale. In questo spirito il Parlamento europeo ha organizzato due conferenze con le regioni della Comunità: nell’ 84 e nel 91 pronunziandosi senza riserve in favore della partecipazione istituzionalizzata delle regioni alla costruzione europea e sollecitando nel contempo gli Stati ad un approfondimento delle rispettive politiche di decentramento regionale.

Trattato dell’Unione
Con gli accordi sottoscritti a Maastricht il 7 febbraio 1992 si è realizzata una profonda trasformazione della Comunità; da mero spazio senza frontiere nel quale possono liberamente circolare persone, merci e capitali, essa assume un vero e proprio ruolo di governo dell’economia e, per quanto in modo imperfetto, significative responsabilità nella gestione della politica estera ed interna degli Stati.
D’altra parte l’inserimento, fra le disposizioni del Trattato di Roma delle norme in materia di cittadinanza europea e di asilo, conferma la vocazione politica dell’istituenda Unione.
In piena coerenza con tale indirizzo si collocano:
il progressivo abbandono delle funzioni amministrative gestite invero con vocazione centralistica dall’eurocrazia,
più largo spazio al ruolo legislativo, indirizzo e controllo, della Commissione,
e)     rafforzamento dei poteri del Parlamento ed un più fecondo rapporto fra questo, la Commissione e lo stesso Consiglio.
Di non minore significato è l’istituzione di un organo di rappresentanza regionale, il Comitato delle regioni, che formalizza un confronto diretto e fattivo fra Comunità, regioni ed enti locali sollecitati a pronunziarsi in spirito di collaborazione su un rilevante arco di materie espressamente deferite al loro apprezzamento ed, ove lo ritengano necessario ed opportuno, su quelle per le quali è consultato, ai sensi dell’art. 198, il Comitato economico-sociale con facoltà del Comitato delle regioni, qualora lo ritenga utile, di formulare alla Commissione e al Consiglio, parere su argomenti diversi di propria iniziativa.
In questa ottica tutta la democrazia di base: regioni ed enti locali, ricchi o poveri che siano, sono direttamente coinvolti e chiamati a svolgere un ruolo politico che da destinatari di scelte li trasforma in protagonisti di queste. Il problema è quello di garantire il rispetto delle competenze dei diversi livelli istituzionali.
Il Trattato di Maastricht risponde a questa problematica con tre strumenti: il principio di sussidiarietà, il Comitato delle regioni e la possibilità per queste di partecipare al Consiglio dei Ministri in virtù della modifica all’art. 146 CE.
Principio di sussidiarietà
Il rispetto delle competenze è affidato:
all’auto-disciplina della Commissione chiamata dal Consiglio europeo di Lisbona a giustificare i suoi provvedimenti in relazione al principio di sussidiarietà;
alla tradizionale resistenza del Consiglio a spogliarsi di competenze per attribuirle al livello comunitario;
e)     al controllo parlamentare;
d)    al controllo dell’istituendo Comitato delle regioni.
Assume quindi fondamentale rilevanza il concetto di sussidiarietà cui si fa espresso riferimento nel Preambolo e nell’art. 3B del Trattato di Maastricht.

Nel 1° si prefigura “un’unione sempre più stretta fra i popoli d’Europa in cui le decisioni sono prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà”; nel 11° si statuisce che la “Comunità, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, interviene – secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente, realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati a livello comunitario.”
La norma sottolinea che “l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.”
Tre concetti danno senso unitario ed integrativo alle due norme: l’unione sempre più stretta fra i popoli d’Europa, il principio di sussidiarietà quale garanzia d’assunzione delle decisioni il più vicino possibile ai cittadini (preambolo) e la naturale esclusione dei poteri sovraordinati dalle decisioni che possano essere assunte il più vicino possibile ai cittadini” (art. 3B).
L’art. 3B si presta invero a qualche ambiguità laddove nel richiamarsi al principio di sussidiarietà legittima 1’intervento comunitario in vista di obiettivi non realizzabili dagli Stati.
L’interpretazione letterale della norma sembrerebbe escludere le istituzioni substatali dall’attuazione del principio di sussidiarietà contraddicendo peraltro il significativo dettato del preambolo che, sempre in virtù dello stesso principio, sollecita l’assunzione di decisioni il “più vicino possibile ai cittadini”.
Ad avviso del relatore la contraddizione è del tutto apparente. Il riferimento allo Stato non può certo esaurirsi nell’evocarne alcuni organi quali governo e parlamento, ma si articola nel complesso delle Istituzioni del suo ordinamento.
Lo Stato è popolo e territorio, organizzati attraverso un pluralismo istituzionale che ne definisce, per l’appunto, l’ordinamento dai comuni che preesistono al concetto stesso di stato alle entità territoriali più complesse, sino agli organi legislativi e di governo che operano con funzioni, competenze
e responsabilità diverse in sede centrale e regionale dei singoli Stati.
D’altra parte che senso avrebbe escludere Regioni e Comuni dall’esercizio della sussidiarietà?
Perché i cittadini, tutti i cittadini, dalle più lontane periferie sino al centro dell’Europa possano sentirsi protagonisti attivi di questa è necessario che la politica comunitaria non li trasformi in sudditi, semplici destinatari di norme, diritti e doveri, ma li chiami in spirito di solidarietà a collaborare al processo creativo dell’Unione; in breve: li faccia cittadini europei.
Processo questo multidirezionale: dal centro alla periferia, dalla periferia al centro.
La Comunità nasce e si rafforza non per la volontà illuminata di pochi dirigenti ma per conquista di popolo che si libera di vecchi superati schemi di potere e, nel respiro di un internazionalismo solidaristico, esalta i valori della diversità, capaci, perché tali, di arricchire il comune processo creativo
dissolvendo l’aridità e la piattezza del conformismo.
Le Regioni come gli Enti Locali esprimono valori, tradizioni, cultura ed interessi che si inalveano negli ordinamenti costituzionali degli Stati dei quali sono fonte di produzione amministrativa, talvolta e diffusamente, legislativa, e comunque, di governo.
Escludere queste istituzioni dal principio di sussidiarietà significa cristallizzare il processo europeo ai vertici degli Stati emarginandone i cittadini.
La denunzia più volte formulata in sede parlamentare europea di deficit democratico trova nella prospettiva regionale e più in generale della democrazia di base il più solido pilastro sul quale incardinare la politica e la solidarietà del futuro europeo.
Il Parlamento, in coerenza con gli orientamenti più volte affermati, dovrà sollecitare un più esplicito riferimento alle realtà territoriali e locali sul tema della sussidiarietà in occasione della revisione del Trattato prevista per il 1996 che dovrà peraltro formalizzare la legittimazione attiva delle Regioni davanti alla Corte di Giustizia già da oggi esperibile da qualsivoglia persona giuridica.
In previsione di questo è auspicabile che Parlamento europeo, Consiglio e Commissione procedano alla formulazione di una comune dichiarazione sullo statuto e ruolo delle Regioni nella Comunità ai fini dell’applicazione del criterio di sussidiarietà nel rapporto Comunità-Regioni.
E’ inoltre fortemente auspicabile che le stesse Istituzioni si impegnino a favorire l’uso, da parte delle Regioni della Comunità, dello strumento della cooperazione interregionale. Strumento questo che si colloca armonicamente nella “ratio” del principio di sussidiarietà e che attua al meglio il precetto contenuto all’articolo A del Trattato di Maastricht. Non vi dovrebbero infatti essere dubbi sul fatto che le decisioni prese da regioni, appartenenti a Stati membri diversi, con problematiche comuni e con capacità decisionale riconosciuta loro dalle rispettive costituzioni, siano decisioni, oltreché altamente democratiche, le più puntuali ed efficaci possibili, proprio perché prese da organismi istituzionali che si trovano prossimi alle problematiche stesse.
Comitato delle Regioni
Con 1’istituzione del Comitato delle regioni il Trattato di Maastricht associa le comunità territoriali substatali al processo decisionale comunitario, anche se soltanto a titolo consultivo.
La lettura degli art. 198A – 198B – 198C che ne disciplinano l’istituzione, la composizione e le funzioni presenta invero non poche ambiguità ed interrogativi.
Il 198A dice: “è istituito un comitato a carattere consultivo composto da rappresentanti di comunità regionali e locali in appresso designato Comitato delle Regioni”. Alcuni, tra i quali il relatore, interpretano l’articolo nel senso che il Comitato rappresenti entità socio-economiche di rilevanza regionale.
Son quindi chiamati a farne parte, negli Stati che le hanno istituite, i rappresentanti delle Regioni. Laddove per contro le Regioni non sono state istituite saranno gli esponenti degli Enti Locali a rappresentare nel Comitato gli interessi di rilevanza regionale nelle aree di cui sono espressione. Ciò per ovvi motivi di coerenza interna al Comitato. D’altra parte appare incongruo chiamare a rappresentare gli stessi interessi soggetti di diversa origine istituzionale con 1’ovvia conseguenza di aprire un contenzioso che giova solo alla politica del “divide et impera”.
La radicale differenza di compiti cui sono chiamati dai rispettivi ordinamenti Regioni e Comuni: legislativo, di programmazione e di governo le prime, amministrativo e di esecuzione i secondi, li proietta in un ruolo di assoluta rilevanza sulla linea della sussidiarietà ma profondamente fra loro diversi nel contributo alla costruzione europea. Non di meno, pensa il relatore, che un atteggiamento pragmatico consenta al Parlamento di superare sterili contrapposizioni che giovano soltanto a chi voglia vanificare, sin dal suo costituirsi, un’istituzione così innovativa quale è il Comitato delle regioni.
Un pragmatismo che sta peraltro alla base della risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 23 aprile ’93 della quale si auspica che il Comitato “garantisca una rappresentanza dei poteri regionali e locali in vista del loro riconoscimento nel sistema istituzionale degli Stati membri” e “che, negli Stati membri la cui struttura sia prevalentemente regionale, siano rappresentate in esso tutte le Regioni costituzionalmente riconosciute”.
La stessa risoluzione, cui il relatore si associa, tende a superare l’ambiguità introdotta dal 3° comma dell’art. 198A laddove si riserva agli Stati la proposta di nomina dei membri del Comitato. Ribadendo il concetto che Stato non significa necessariamente governo centrale di questo ma l’Istituzione statale vocazionalmente chiamata, per competenza e diretto interesse, a pronunziarsi sulla citata deliberazione, questa postula una precisa legittimazione democratica dei rappresentanti chiamati a far parte del Comitato.
Resta così esclusa ogni possibilità che a rappresentare le istituzioni della democrazia di base siano designate personalità che in realtà rappresentano il potere centrale. Il Parlamento infine sottolinea il carattere non definitivo dell’attuale struttura del Comitato ed auspica che sia lo stesso Comitato a studiare le riforme per migliorarne la rappresentatività e favorire una più feconda partecipazione dei poteri regionali e locali alla costruzione della futura Unione. Tutto ciò in vista della revisione del Trattato prevista per il 1996.
Partecipazione alle decisioni del Consiglio
La risoluzione del Parlamento europeo del 18 novembre 1988 accoglie l’aspirazione delle regioni a partecipare “alla formazione delle scelte degli Stati nelle istanze comunitarie nel rispetto delle proprie competenze e quando i temi trattati riguardino direttamente i loro interessi” e si aggiunge “senza pregiudicare il processo legislativo unitario”.
La modifica dell’articolo 146 CE non richiede più la rappresentanza del Governo centrale ma semplicemente di un rappresentante dello Stato membro di rango ministeriale (che può essere regionale) con facoltà di impegnare il governo; questo significa che le regioni hanno possibilità di partecipare al processo decisionale comunitario nel modo più efficace, giocando un ruolo nella istituzione che detiene la maggior parte del potere legislativo e che è, in definitiva, non lo dimentichiamo, camera di rappresentanza territoriale al più alto livello.
Nessun mezzo è più efficace per controllare l’azione comunitaria del governo centrale che sostituirlo nel Consiglio dei Ministri. Non bisogna enfatizzare la portata di questo articolo in quanto la sua sola funzione è dare la possibilità di istituzionalizzare esplicitamente ciò che era già una prassi per accordo fra i Lander e il governo tedesco tramite la figura dell’osservatore”. La sua portata sarà determinata dalla capacità delle regioni nell’accordarsi fra loro e col governo centrale dei rispettivi Stati. Bisogna pensare che Germania e Belgio faranno un uso immediato di questa nuova possibilità istituzionale.
Ma questo articolo è altresì significativo in quanto rompe il legame di identità fra Stato membro e Governo centrale e lo fa proprio nell’istituzione che rappresenta gli Stati: il Consiglio dei Ministri.
Come ulteriori aspetti del Trattato sull’Unione, si può concludere che i dispositivi relativi alla partecipazione delle regioni sono soggetti a una dinamica evolutiva e che sarà l’uso che i poteri regionali ne sapranno o potranno fare che determinerà la loro efficacia a medio termine. Senza dimenticare che il Trattato di Maastricht inizia quella che dovrebbe essere una tappa costituente in cui le regioni dovranno studiare ed elaborare il ruolo che vogliono giocare nella costruzione europea.