Intervento, Convenzione programmatica regionale dell’Emigrazione – Cagliari – marzo 1989

Cari amici, sono davvero rammaricato di non aver potuto seguire nei giorni scorsi questa convenzione: sono certo che i vostri interventi, l’attenzione, la forza morale che vi avete profuso, mi avrebbero arricchito e dato elementi di utile riflessione.
Non voglio fare nessun discorso, ma continuare un dialogo che col mondo dell’emigrazione vado facendo da tanti anni e che resta per me tra i più gelosi perché tra i più significativi della realtà umana, sociale, politica che esprime la nostra terra, ne costituisce momento di sofferenza emblematico, ma al tempo stesso, io direi, di forza e di speranza.
La verità è che ho dovuto, per gli impegni istituzionali seguire attività diverse, trasferirmi addirittura fuori Sardegna, incontrare con organi di Governo, con Ministri, trattare temi di grande attualità negandomi la gioia anche di incontri personali che sul piano affettivo dànno senso alla mia testimonianza civile, per i rapporti che, lungo questi anni ho avuto l’onore e la fortuna di stabilire con gli amici che vivono la loro esperienza in contrade da noi lontane, dell’Europa e delle stesse Americhe, in Continenti diversi. Però io credo che il nostro dialogo possa continuare: ricco, fecondo con soluzione di continuità sui temi di sempre, con l’impegno di sempre.
Ho ascoltato, fra gli altri interventi che ho seguito tutti con grande interesse stamane, quello del Sottosegretario di Stato che esprimeva una preoccupazione: che la legislazione regionale sarda non potesse creare al Governo dello Stato un qualche problema di coordinamento, in relazione alla politica che centralmente il Governo ritiene di dover fare nei confronti di tutta l’emigrazione. Ed io capisco questa preoccupazione, da parte di chi, in fondo, non sul piano personale ma istituzionale, sta facendo le prime esperienze in fatto di emigrazione, perché il Governo è stato sempre assente su questo fronte. La sola politica dell’emigrazione che in Italia abbiamo avuto negli ultimi 20 anni è una politica regionale, perché regionale è l’emigrazione, regionale è il fenomeno di questi flussi di umanità che lasciano le terre d’origine e si raccolgono, dove si trasferiscono per necessità di vita, in aggregazioni spontanee nelle quali si ricercano in un bisogno di solidarietà, di certezze spirituali alle quali lo Stato sino ad oggi si è mostrato assente e indifferente.
Soltanto da qualche anno si è avvertita una partecipazione sempre più attenta e, per certo verso, preoccupata nei confronti dei Circoli dei Sardi, dei Fogolar Friulani. Ma guarda che caso!? regioni fra loro così lontane eppure espressione di peculiarità, specificità, specialità nel contesto nazionale che le diversifica profondamente.
Nel contesto nazionale operano, da anni, e l’attenzione del Governo non può che essere guardata con soddisfazione, per avere l’iniziativa regionale determinato una presenza che forse, senza l’iniziativa delle Regioni, non ci sarebbe stata, perché l’emigrazione non è un fatto nuovo in Italia.
Già alla fine del secolo scorso, agli inizi di questo secolo, l’Italia meridionale ha sofferto fenomeni di emigrazione tumultuosi, laceranti, che hanno realizzato, di là dal mare e in altri Continenti, presenze significative e importanti; ma i nostri Consolati si limitavano a rilasciare i certificati, i documenti anagrafici, i passaporti e, nel caso di rientri forzati alla Patria d’origine, si potevano tutt’al più ottenere le risorse necessarie per un ritorno senza prospettive reali di reinserimento.
Era una seconda sconfitta che sul piano umano l’emigrato coglieva, anche nella terra di emigrazione. È importante che il Governo si inserisca su questa vasta tematica, perché viviamo un’epoca nella quale le distanze sembrano annullarsi, i Continenti sembrano tradursi in un grande, enorme villaggio, nel quale la comunicazione si diffonde in tempo reale coinvolgendo l’umanità nei fatti nel momento stesso in cui questi si verificano, creando impatti economici, culturali, modelli di comportamento che finiscono con l’influenzare e trasformare culture e valori lungamente elaborati nell’esperienza dei popoli.
Non è certo un fenomeno davanti al quale i Governi possano restare indifferenti ed assenti e sul quale debbono ancora però misurarsi, facendo esperienze che le Regioni hanno già fatto, senza pretendere di espropriare nella paura che le diversità creino confusione, poiché è vero che il complesso è sempre difficile, ma il semplice è di norma falso. Il conformismo che tutto appiattisce, che cancella tutta la ricchezza delle diversità, serve solo ai poteri che dall’alto calano imperiosi e che non gratificano se non i potenti, rendendo subalterni gli altri. E il fenomeno dell’emigrazione è un fenomeno possente che supera gli Stati e i Continenti, che apre tematiche di valenza universale sulle quali dobbiamo riflettere.
Voi che siete qui oggi non siete gli stessi di quando siete partiti, avete maturato nel travaglio del vostro cuore, della vostra mente, esperienze che hanno profondamente inciso nella vostra personalità, nell’ottica attraverso la quale guardate ai fatti del mondo che direttamente impattano sul vostro vivere quotidiano. Quella nostalgia struggente, quel bisogno imperioso, amaro, smarrito di ritorno che accompagnava i vostri giorni, quelli delle amare partenze, non può avere più attualità perché gli anni sono trascorsi e quei pastori, quegli allevatori che avevano accumulato l’esperienza e la cultura di secoli nel mondo delle campagne che esprimevano sensibilità, messi a confronto con le catene di montaggio, messi a confronto con i problemi dell’informatica, della telematica, delle tecnologie, messi a confronto con Comunità che li isolavano, che non ne capivano i comportamenti, non ne capivano la lingua, oggi sono diventati tecnici, sono diventati professionisti, sono diventati specializzati, oggi hanno acquisito una cultura che li fa superiori.
(State partendo? sono davvero rammaricato di non potermi trattenere con gli amici Svizzeri e Francesi che vanno via. Vi abbraccio affettuosissimamente, arrivederci)

Oggi il rapporto non può essere più quello di 20 o 30 anni fa, quando dalla Sardegna sono partiti a migliaia, a decine di migliaia, a centinaia di migliaia, disarticolando il nostro tessuto sociale, facendoci precipitare in una crisi violenta e traumatica. Ebbene, cari amici, se il mondo dell’emigrazione cambia, non può che cambiare la politica regionale, perché cambia la Regione dalla quale siete partiti: non ha più le stesse strutture produttive, la scolarità è diversa, diversi gli obbiettivi. La rinascita, l’autonomia, i valori diversi sono ancora come fari di luce dai quali la nostra Comunità è illuminata, ma gli strumenti, le condizioni oggettive si sono modificate perché si è modificata l’Europa.
Andiamo verso l’Europa dell’Atto Unico e quindi del Mercato Unico, verso condizioni di vita nelle quali la libertà di circolazione dei capitali, delle persone, delle società, modificheranno profondamente i rapporti. Possiamo continuare a fare una politica ispirata dai sentimenti, dal rapporto affettivo, dal bisogno di protezione di tutela, di assistenza per che è smarrito, sbandato e vive una solitudine allucinante?
Oggi abbiamo dei soggetti che hanno la forza della cultura del paese d’origine, ma hanno acquisito la cultura del paese di lavoro; personaggi europei che hanno raggiunto e superato i loro compagni di lavoro del paese di immigrazione perché in più rispetto a loro possiedono un’altra cultura, un’altra visione del mondo acquisita nella cultura materna e possono stabilire confronti fecondi. Hanno un senso relativo dei temi e dei problemi che li rende in grado di giudicare e di operare con molta maggiore sicurezza e capacità rispetto ai sardi residenti, rispetto ai loro compagni di lavoro nei luoghi di approdo. Non possiamo più parlare il linguaggio dell’assistenzialismo generico. Dobbiamo capire che il tempo della memoria viva, dolorosa ed amara che non sognava altro che il ritorno ormai è superata dalla memoria acquisita nei giovani di seconda generazione che di Sardegna hanno sentito parlare dai genitori, che di Sardegna hanno sentito tutto il calore, la bellezza e la suggestione dai genitori e dagli amici nei Circoli che frequentano, ma che non l’hanno conosciuta perché nati all’estero.
Oggi siamo alla terza generazione e dobbiamo creare ex-novo una politica, dobbiamo pensare a qualcosa di originale che stabilisca un rapporto creativo con questi soggetti che sono ormai cittadini europei e ai quali si Sottosegretariato di Stato dice sarà garantita la doppia cittadinanza: si perderà la cittadinanza italiana solo per rinunzia. Ecco il fatto positivo, noi dobbiamo riportare a loro la Sardegna, dobbiamo restituirgli con l’organizzazione delle istituzioni con la forza delle strutture, una cultura di sardità che li tenga sempre collegati a noi, perché resti la peculiarità irripetibile, diversa e originale, attraverso questa sua umanità di cui voi siete stati i pionieri, voi che avete creato le vasi stesse di una nuova unità europea, fondata sul lavoro, fondata sullo spirito di appartenenza nazionale, su questa libertà di movimento che ancora è lontana dal darci garanzie, perché è l’Europa del mercato. Non dimentichiamolo: si tratta di mercato unico al quale manca il timone della politica, del Governo politico, non si parla ancora di unità politica europea; è una prospettiva che dobbiamo conquistare. Lo stesso Parlamento Europeo resta un organismo evanescente, fatto di pareri, di indicazioni, di voti, di auspici, ma senza poteri reali, perché questi restano ancora nei Gabinetti di Governo dei singoli Stati, dei singoli Parlamenti. Una Europa, quindi, che si muoverà nella logica del mercato, nella logica della forza, nella logica delle multinazionali. E allora le Regioni in ritardo nello sviluppo dovranno fare i conti con questa realtà, perché non esisteranno più sotto questo profilo Stati ricchi e Stati poveri, ma Regioni ricche e Regioni povere.
Cari amici, i discorsi che servono a restituirci calore, a restituirci ricchezza di vibrazioni non supportate da elementi operativi importanti, restano fatti tenerci. Ecco perché il discorso del Sottosegretario di Stato lo avverto solo come denunzia, ma non come proposta di soluzione.
Abbiamo dei grossi impegni che ci attendono e sui quali ci dovremmo confrontare. Noi dobbiamo stabilire con voi un rapporto fecondo, costante flussi di informazione continui. Voi dovete sapere, attraverso i canali dell’informazione regionale, cosa avviene. Voi, i vostri figli, la Comunità sarda globalmente intesa, deve sapere costantemente cosa avviene in Sardegna, in modo che possiate assumere le vostre decisioni e le vostre iniziative. Questo disegno di legge che la Giunta ha presentato, e che può essere migliorato, arricchito, modificato, che deve comunque avere il giudizio del Consiglio Regionale, per cui l’opposizione non può limitarsi a tenerlo fermo, ma deve dire se lo condivide se non lo condivide, in che misura lo approva o lo critica, ma non paralizzarlo e tenerlo bloccato in Commissione!
Voi dovete avere la forza di sensibilizzare i vostri Partiti, quelli nei quali militate, perché il Consiglio Regionale sia chiamato a decidere, qualunque sia la sua decisione, perché molto dipende dalla capacità della Regione di collegarsi in modo moderno, dinamico, attivo, propositivo con voi. Altrimenti continuerà questa stanca formale e burocratica erogazione di fondi ai Circoli, un’attività che i Circoli svolgono cercando di mantenere aggregate le Comunità nelle singole aree, ma non si attiverà quel rapporto innovatore in vista del quale potete diventare protagonisti dello sviluppo della Sardegna, perché il ritorno vostro non è più soddisfare una struggente nostalgia, che è un fatto sentimentale, ma può diventare un fatto di rinnovamento profondo della nostra gente. Sarete ricchi di queste esperienze, ricchi di queste professionalità, ricchi di tutto questo patrimonio che con tanta sofferenza avete accumulato, conservando però la vostra identità etto-storica. La Regione deve aiutarvi a conservare e a trasfondere questo patrimonio ai vostri figli, ai figli dei vostri figli, perché la sordità continui a palpitare nelle vostre Comunità.
Tutto questo può ritornare a noi, non per favorirvi, ma per arricchirci, per darci luce, per darci obbiettivi, per darci capacità e professionalità.
In questo senso il Presidente della Regione si rivolge a voi ricordando che stiamo operando in una situazione difficile, della quale i sardi residenti continuano a soffrire. Condizioni di ritardo nello sviluppo rispetto alle Regioni più avanzate d’Europa e alle stesse Regioni dell’Italia Settentrionale, perché sia l’Italia che l’Europa hanno fondato il loro sviluppo utilizzando i meccanismi del sottosviluppo.
L’Italia attua una politica di colonizzazione interna e solo in questo secolo ha tentato l’avventura della colonizzazione esterna in grande stile dopo le esperienze eritree e somale. Gli altri Paesi, attraverso enormi fenomeni di colonizzazione esterna, vivono lo sviluppo fondato sul sottosviluppo, la crescita sociale, economica e civile di alcuni popoli sulla disperazione, lo sfruttamento, la rapina delle risorse e del lavoro di tanti altri popoli. E noi abbiamo subito lo sviluppo dell’Italia del nord come mercato di consumo delle sue industrie, chiusa dentro le barriere doganali che quando sono state imposte alla Sardegna ne hanno creato una disarticolazione sconvolgente dell’economia. Noi alla vigilia delle barriere doganali esportavamo in Francia, sbarcavamo nel porto di Marsiglia. Soltanto nel settore carni esportavamo per 50 milioni di lire, che sarebbero oggi 5000 miliardi. Dopo le barriere doganali, nel giro di un anno, siamo precipitati a 2 milioni di lire. Voi intendete quale impatto sconvolgente questo ha certo nelle attività produttive, nel lavoro, nell’occupazione, nell’imprenditorialità, nei commerci internazionali. La Sardegna è stata chiusa in una solitudine paurosa, noi abbiamo dovuto vendere in Italia anziché all’estero dove trovavamo migliori condizioni di mercato, e abbiamo dovuto comprare in Italia quello che ci serviva. Forse è per questo che in Sardegna abbiamo avuto il primo Partito europeista d’Europa: nel 1922 il Partito sardo diceva “Stati Uniti d’Europa”, mentre l’Europa precipitava verso i nazionalismi, verso le egoistiche chiusure, compartimenti stagni di una egemonia di mercati che si contrastavano fra di loro e ci hanno precipitato nella violenza di due guerre sterminatrici nel corso di questo stesso secolo.
Proprio da questo angolo di mondo partiva questo messaggio unitario, questo messaggio di civiltà, questo messaggio di avvenire, di un domani che oggi stiamo realizzando con tanta difficoltà e con tanta fatica, pagando prezzi così elevati, così pesanti. Noi abbiamo bisogno di crescere per dare a voi la possibilità di concorrere al nostro sviluppo, per dare a voi la possibilità di esprimere tutto ciò che avete saputo realizzare, a voi e ai vostri figli, di seconda e terza generazione. Ma dobbiamo crescere, noi cento non possiamo fare trionfalismo perché la nostra è una condizione di grande fragilità. Però non c’è dubbio che nuovi disoccupati dal 1986 non ne abbiamo avuto più nemmeno uno, e aumentavano col ritmo di 10-12 mila disoccupati all’anno, dall’86 la disoccupazione non è cresciuta neanche di un’unità; andata dall’87 diminuendo, e non solo è diminuita nel terziario dove c’è una tendenza irresistibile a cercare forme di sottoccupazione, ma è cresciuta nell’agricoltura, dove la produzione è aumentata del 30% e l’esportazione è aumentata del 28%, è cresciuta anche nel terziario, nell’artigianato, nel turismo. Nel 1988, su 12 mila posti di lavoro, 8 mila erano nell’industria.
Ecco il senso di una Sardegna che ritrova se stessa, che ritrova in se stessa fiducia, capacità d’impegno. Ecco perché abbiamo il prodotto interno lordo che cresce al ritmo più elevato di tutto il mezzogiorno d’Italia, ecco perché oggi noi guardiamo all’Europa con speranza, anche se con viva e responsabile preoccupazione. È un’Europa che possiamo costruire insieme, un’Europa nella quale possiamo veramente ritrovare tutti i motivi di un patrimonio di cultura, di professionalità e di forza politica che solo insieme possiamo creare.
Ecco i disegni di legge della Giunta regionale, ecco questi incontri: certo, se fosse stato possibile tenere questa Convenzione in un diverso periodo, sarebbe stato meglio. Ma bisogna tener conto che questa Convenzione segue la Conferenza Nazionale sull’Emigrazione che è del giugno del 1988, e della quale si è dovuto tener conto, per cui i tempi si succedono con una loro logica. E se è capitato adesso, dobbiamo riuscire a parlare un linguaggio che sia il linguaggio delle cose serie e non del fatto elettorale, che pur resta un fatto democratico di alto significato civile.
Ecco perché guardiamo anche agli immigrati con rispetto e con simpatia, noi che non conosciamo la lebbra del razzismo, che guardiamo a “s’istranzu” con rispetto e con affetto. Nelle nostre campagne “s’istranzu” è considerato persona da proteggere, da tutelare, da assistere, mentre è nell’ambito della nostra area di presenza e di partecipazione. Noi non abbiamo avuto mai ostilità verso coloro che, venendo dal mare, ci hanno creato tanti danni. Abbiamo continuato a credere che nell’umanità ci fosse sempre genuinità e limpidezza di sentimenti, e verso lo straniero non abbiamo avuto diffidenza di alcun genere, né mai potremmo commettere l’errore di attivare una guerra tra i poveri. Il nostro messaggio non può che essere di solidarietà e di attenzione, perché deve essere un messaggio rivolto verso le altre Regioni d’Europa, per dire che questa terra di Sardegna può diventare, deve diventare un punto di forza dell’economia europea e mediterranea, perché si trova nel crocevia delle rotte commerciali attraverso le quali passa la ricchezza del mondo. La Sardegna nel Mediterraneo deve poter assolvere a questo compito che oggi assolve Malta, che assolve Cipro, in parte, e anche positivamente Marsiglia Foz. E noi che ci troviamo nel cuore palpitante del Mediterraneo dobbiamo vedere la ricchezza che sfiora le nostre coste e non si ferma, laddove invece è il centro naturale degli incontri e delle irradiazioni economiche, punto di incontro di economie, di culture, di commercio mediterraneo. Noi questo stiamo facendo, questo stiamo costruendo attraverso il nostro sistema portuale, concepito non come un servizio, ma come aziende che svolgono un’azione competitiva, che devono richiamare sul piano concorrenziale un’utenza marittima che finalmente privilegi le nostre coste.
Siamo isolani e non abbiamo economia marittima. È un non senso folle che si protrae nei secoli. Quando mai gli isolani non governano il loro territorio? E il primo territorio è il mare: il mare non più come limite, non più come barriera, non più come prigionia, ma il mare come risorsa. Tutte le grandi civiltà sono nate attraverso i secoli sulle sponde del mare, solo per noi il mare ha significato un limite ed uno sbarramento, perché il limite e lo sbarramento era dentro di noi, nella mancanza di libertà. Ma oggi che la libertà è fonte fervente di vita, noi dobbiamo ritrovare, in questo nostro rapporto col nostro ambiente, la forza di creare finalmente un domani luminoso e certo per la nostra gente.
La Sardegna può diventare una grande forza di civiltà. I militari non hanno scoperta la Sardegna per caso: loro hanno capito, nelle loro strategie globali, che la Sardegna era un centro dal quale controllare, se non i commerci, tutte le situazioni che possono interessare il Governo Militare del Mediterraneo. Ecco perché a Cagliari, alle porte di Cagliari, a Decimo, hanno creato l’aeroporto militare più importante del Mediterraneo: perché possa controllare tutte le rotte aeree che si incrociano nei nostri cieli. Ecco perché a La Maddalena hanno creato la base appoggio per i sommergibili a propulsione nucleare e armati di missili nucleari, così come ha rivelato il Dipartimento di Stato Americano, specificando anche quali testate nucleari siano presenti in questi missili. Perché da La Maddalena possono controllare, pattugliandolo, ogni angolo del Mediterraneo, perché siamo da questa città più vicini a Tunisi che non a Napoli o Civitavecchia, o di quanto Civitavecchia disti da Golfo Aranci o da Olbia.
Siamo al centro tra diversi Continenti, tra l’Europa, l’Africa, tra paesi in via di sviluppo, paesi ad alto indice di sviluppo, noi dobbiamo riappropriarci del Governo del nostro territorio, inteso nella sua globalità. L’economia marittima deve diventare un punto di forza della Sardegna. E tutto questo lo dobbiamo fare mentre da europei contribuiamo al processo di sviluppo e di crescita dell’Europa stessa e voi ne siete protagonisti.
Tutto questo, amici, ha un suo domani ed un domani che noi potremo costruire, se ritroveremo in noi stessi questa forza, se la ritroveremo attraverso una capacità di dialogo che ci veda impegnati sul fronte interno, compattando tutte le energie potenziali di cui siamo capaci per dialogare verso l’esterno, verso obbiettivi di pace.
No, non è stata una bella pagina di civiltà e di democrazia l’aver imbavagliato i sardi nel momento in cui non pretendevano di dire allo Stato italiano che politica avrebbe dovuto fare, nel senso che potevano decidere, ma soltanto esprimendo un parere sulla propria condizione, e per il proprio avvenire, si è ritenuto che la parola dei sardi poteva essere un pericolo. No, noi non vogliamo minacciare nessuno. Vogliamo creare in pace un avvenire che ci restituisca i nostri fratelli, che restituisca certezze a tutti, in un rapporto creativo di simpatia e di amicizia con tutti. Grazie