Dichiarazione di voto per legge di bilancio – Camera dei Deputati – 1983

Il programma SAMIN si qualifica soprattutto per le proposte che vengono eufemisticamente definite “ristrutturazioni” ma che nella realtà assumono il valore della chiusura di numerosi ed importanti stabilimenti.
Coerente con tale prospettiva si definisce il rifiuto opposto del Governo alla proposta di emendamento avanzata da più parti (Carrus, Soddu, io stesso) per impiegare con una diversa articolazione degli stanziamenti nei lavori di ricerca i minatori oggi esuberanti nei processi estrattivi o occupati negli impianti da ristrutturare.
Il conseguente provvedimento di messa in cassa integrazione di oltre 1000 minatori con decorrenza 1 gennaio, costituisce, se attuata, il primo deciso passo per la definitiva smobilitazione dell’intero apparato industriale minerario sardo.
La conseguenza di una tale eventualità travolgerebbe anche il progetto di metallurgia del piombo e dello zinco.
Né deve passare sotto silenzio l’atteggiamento del Ministro dell’Industria nei confronti del Carbone Sulcis.
È questa una riserva energetica irrinunciabile che garantisce una larga economicità d’impiego, sicuramente concorrenziale rispetto ad altre fonti di energia d’importazione quali il petrolio o i carboni provenienti da altri stati e continenti.
La stessa chimica metallurgica del piombo-zinco come dell’alluminio trovano la loro giustificazione economica nell’impiego, a bocca di miniera, del carbone Sulcis.
La sostituzione del carbone con il petrolio nella produzione dell’alluminio primario e secondario negli stabilimenti di Portovesme, ha comportato negli anni che vanno dal 1979 all’83, una maggiore spesa di 900 miliardi lire di cui chiedo formalmente siano chiamati a rispondere i responsabili della dissipazione insensata e colpevole delle risorse pubbliche.
Rinunziare al carbone significa rinunziare alla realizzazione del progettato polo del piombo e dello zinco oltreché dell’alluminio.
La precarietà in cui sono precipitati gli stabilimenti dell’industria chimica e petrolchimica, largamente presente in Sardegna, rende altresì incerto e precario il destino di tante migliaia di operai e l’economia della stessa regione.
Inutile ricordare come la debole struttura economica della Sardegna non è in grado di colmare i vuoti che lacerazioni così vaste e profonde determinerebbero sia sul piano sociale che dei rapporti civili, gravemente minacciati nei loro equilibri da pericolose turbative dell’ordine pubblico.
Né appare più accettabile il silenzio del Governo circa la politica dei trasporti da e per la Sardegna. È tempo che si rompa definitivamente con un passato che si trascina incredibilmente ancor oggi con i connotati di un colonialismo frustrante e iniquo.
Ai sardi è negato il diritto di decidere da quali porti intendono partire, con quali tipo di navi effettuare tali collegamenti, quali le tariffe, gli orari, le velocità commerciali, l’utenza e così via continuando.
Ciò che agli altri italiani che si muovono sulle strade e autostrade appare diritto elementare ai sardi è, ripeto, negato.
Per i sardi decide la Tirrenia. Un Consiglio di Amministrazione che si riunisce a Napoli e che ignora la Giunta e il Consiglio regionale.
Adesso si vocifera che noi, che siamo la clientela, saremo ceduti o suddivisi fra aziende pubbliche e private. Pare che alcune linee, quelle per Genova, passino ad un armatore genovese.
Ma davvero, on. Carta, il suo approdo alla Marina Mercantile si limiterà a far da mediatore negli scioperi e a registrare le spartizioni che aziende pubbliche e private opereranno nelle relazioni di traffico marittimo, riservando com’è tradizione le passività all’erario ed i profitti al privato?
Non ha nulla da dire il Governo sulla paralisi che ha isolato la Sardegna nei giorni scorsi e ne ha messo quasi in ginocchio l’economia bloccando nei moli d’imbarco merci deperibili in esportazione per molte decine di miliari al giorno?
Certo anche i marittimi hanno i loro diritti ed è giusto che li facciano valere, bloccando la Sardegna, naturalmente.
Questo sanno, oltre i turisti estivi, le centinaia di migliaia di emigrati che tornano in ferie, o per trascorrere le festività natalizie o pasquali, con la moglie e i figli o i vecchi genitori e rischiano il licenziamento per un giorno di ritardo.
Il voto contrario che mi accingo a dare al bilancio vuole essere denunzia e proposta insieme. Perché giustizia per la Sardegna vuole dire anche un’Italia migliore