Occorre passare da un sistema di incentivi finanziari a un sistema di incentivi reali – Camera dei Deputati -anni ’90

Il successo registrato nel sud da alcune intraprese industriali capaci di dinamismo, produttività e competitività non inferiore a quelle delle concorrenti del centro-nord, ha dimostrato come gli incentivi finanziari non abbiano valore decisivo nel decollo industriale.
Il contributo pubblico può avere funzione nella formazione dello stock iniziale di capitale ma poi tutto si appiattisce e crolla se non si può far conto sulle “economie esterne” quali la consulenza non più limitata alla gestione, amministrazione, giuridico legale, finanziario contabile o alle pratiche di finanziamento concesso dal potere pubblico, ma all’informazione ed a quant’alto di nuovo la moderna dinamica industriale propone all’operatore.
Si deve ricercare anche i nuovi settori nei quali operare ad altro sviluppo tecnologico quali l’elettronica, informatica, ecc.
Fra il 1961-1981 la Sardegna ha registrato un massiccio afflusso di capitali da investimenti con i quali si è avviato un rilevante processo di industrializzazione per poli d sviluppo.
Conseguente al dato di cui sopra si è registrato un aumento globale di reddito interessante l’intero sistema economico sardo.
I fatto però non si è tradotto in termini propulsivi dello sviluppo perché:
a – i capitali d’investimento impiegati erano di provenienza esterna e ciò ha finito con l’incrementare la dipendenza della Sardegna da centri decisionali esterni;
b – non ha innescato meccanismi di accumulazione di capitali nell’ambito regionale;
c – ha incentivato la propensione all’importazione di beni di consumo;
d – non ha determinato espansione occupati.
Il nuovo sviluppo si è caratterizzato per lo scollamento dalle risorse locali alle quali sono state negate le necessarie risorse capaci di determinare l’espansione perché destinate ai poli industriali.
In sintesi: gli investimenti esterni nei poli industriali, o trasferimenti pubblici e, sia pure in misura minore, le rimesse degli emigrati, hanno incrementato il potere di acquisto sardo.
Ciò ha favorito un più elevato livello di consumi ma non lo svilupparsi di nuove attività produttive interne al sistema economico sardo in grado di sostituire quantomeno in parte i beni e servizi importati dall’estero; in effetti l’aumento dei consumi si è tradotto in aumento delle importazioni e quindi in una più accentuata dipendenza dall’esterno.
Il problema che si pone è dunque il seguente: individuare sistemi alternativi che utilizzino il potere d’acquisto sardo – oggi sottratto al mercato finanziario locale dalle importazioni per innescare l’accumulazione del capitale e quindi avviare processi produttivi e quindi esportazione di beni e servizi.
Glie effetti moltiplicativi delle esportazioni favoriranno i nuovi investimenti a minor rischio ed a più stabile occupazione.
Occorre però che la politica del Governo sardo si faccia carico di realizzare le condizioni pollici-economiche per dare coerenza al rapporto costo del denaro, costo del lavoro e tasso di profitto di impresa. Se questo non esiste o è negativo la produzione si ferma. È del tutto evidente che l’aumento del costo del denaro e del lavoro, scoordinato dal costo finale del prodotto e dalla sua competitività nel mercato, uccidono qualunque iniziativa e quindi l’esportazione e con essa l’impiego di mano d’opera.
Dobbiamo a tal fine restituire piena efficenza e adeguata produttività all’imprenditoria sarda adeguando a tal fine gli strumenti promozionali del sistema economico sardo.
Una tale operazione è possibile se riduciamo altresì le diseconomie esterne.
Elementi strutturali economia italiana

Lavoro precario: Centro Nord 9.3
Mezzogiorno 17.3
Sardegna
Investimento capitale fisso: 1970 = 100
1980 = -70%
Incidenza investimenti nel Mezzogiorno rispetto all’Italia:
Italia 100
Mezzogiorno 1970 37%
1980 22%

Struttura industria meridionale costituita in prevalenza da piccole e medie imprese.
La localizzazione nel mezzogiorno di grandi imprese, la loro vocazione espansiva, l’esigenza di aggiornamento tecnologico comporta investimenti ad alta intensità discapitai che viene sottratto alla disponibilità delle industrie piccole e medie; in particolare si sottrae l’offerta di credito determinando al tempo stesso una marcata azione ad elevare il livello dei salari.
In Italia per ovviare alla crescente rigidità dei costi conseguente alla struttura fortemente verticalizzata delle imprese industriali si è favorito il formarsi di imprese di trasformazione non verticalizzate, si da rendere i processi produttivi duttili, flessibili ancorché difficilmente integrabili.
Nel Mezzogiorno questo fatto si è rivelato negativo perché ha dato vita ad un apparato di piccole e medie aziende (prevalentemente piccole) non integrate con gli altri sistemi esistenti in Italia e quindi da questi scollegate.
In effetti però nelle aree contigue ad altre già sviluppate ha favorito il decollo delle prime (basso Lazio, Puglie) dando vita ad uno sviluppo cosiddetto a domino.
Essenziali a questo fine la presenza di “servizi” coerenti alle produzioni capaci, ben più delle stesse agevolazioni finanziarie, di favorire il decollo delle attività industriali.
Tendenza all’aumento del divario fra Sardegna e le altre regioni centro meridionali:
               1973      1980                  1973  1980
Abruzzo – 30 -29+1 Campania -36 40 -4
Molise -42 -33+9 Puglia -34 -36 -2
Basilicata -37 -33+7 Calabria -42 -45-3

Sicilia -34 -39 -5
Sardegna -31 -36 -5

Sardegna- obiettivi mancati:
▪ avvio di un processo di accumulazione capace di innescare sviluppo auto-propulsivo
▪ incremento livelli di occupazione

L’apparato industriale sardo è caratterizzato, come per altro tutto il sistema industriale meridionale, da un dualismo o costituito, da un lato, da imprese di rilevanza locale e regionale e, dall’altro da grandi imprese che danno vita ad industria di base: chimica, petrolchimica, fibre sintetiche, metallurgia suscettibili di integrarsi con le attività tradizionali a bassa intensità di capitale, rivolte al mercato locale e con dimensioni e processi produttivi molto spesso semi-artigianali.

Contributi Regionali 1962-1980
▪ grande industria 75%
▪ piccola e media industria 25% (con più di 20 addetti 30%)
Scarso inserimento imprenditoriale sarda:
Comprensibile per chimica di base e attività estrattiva e di trasformazione di prodotti minerari.
Diversa genesi: nel mercato attivarsi dell’imprenditoria locale nei vasti spazi vuoti interessanti per i consumi sardi.

Ostacoli:
▪ Bassa produttività
▪ Diseconomie esterne; assenza totale di servizi incentivi reali. Non integrazione con industrie complementari
▪ Alti costi di produzione
Le stesse motivazioni di cui sopra. Insularità, trasporti, mancanza di un continuum di mercato

L’aumentata capacità di acquisto registrata nel mercato sardo consente alle industrie esterne, ivi comprese quelle regionali presentii Italia, d’inserirsi nel mercato sardo per soddisfare le esigenze con un flusso di esportazioni la cui enumerazione, anche se inferiore a quanto realizzato nel territorio metropolitano, resta pur sempre possibile proprio perché ha un supporto di mercato metropolitano che copre tutte le spese generali.
L’ipotetico industriale sardo per affrontare l’esportazione non ha che il supporto del mercato locale (intrinsecamente limitato e fortemente disperso con alti costi di distribuzione) ed è costretto, dalla discontinuità territoriale, alle maggiori spese di trasporto, a non disporre in loco d’industrie complementari, a stoccaggi di riserva maggiori o ad incertezze sulle forniture, ecc.
Per conseguire obbiettivi di crescita si deve disporre di contiguità con strutture scientifiche, avere quadri e mano d’opera altamente specializzata, un apparato informativo di consulenza imprenditoriale e di gestione molto avanzati.