Intervento al Convegno “Problemi storici della Sardegna” – Padria – ottobre 1985

Io sono veramente i m b a r a z z a t o di prendere la parola d o p o aver ascoltato gli interventi dei tecnici che si sono susseguiti ma senza aver sentito purtroppo, perché costretto ad assentarmi durante il colloquio nel quale si sono svolte le relazioni affidate a personalità del mondo scientifico, culturale ed industriale, affidate a personalità come quelle del professor Boscolo, del Professor Brigaglia, del Professor Usai e avendo sentito soltanto nella parte finale e conclusiva le relazioni del Professor Milella e del Professor Zuffardi.
Parlerò, quindi, per esempio, sulla base dei riferimenti che ne avrete fatto e delle brevi sintesi che ho avuto modo di scorgere o che più che altro esauriscono i loro contenuti nei titoli degli argomenti che fin qui abbiamo svolto.
Mi pare, però, di cogliere nell’insistenza degli interventi che si sono susseguiti, che ho avuto modo di ascoltare, un senso quasi di rimprovero al potere pubblico per non utilizzare appieno le risorse di cui dispone e dare quasi accusa di emarginazione a quanti, emigrati dalla Sardegna sono sostanzialmente se non respinti ma quanto meno ignorati.
Io credo che in queste riflessioni così umane, sofferte, ci sia una realtà. Il potere pubblico regionale nella sua esperienza deve recuperare le potenzialità che sono presenti nella nostra Regione e deve muoversi secondo schemi, formule tutto sommato non suscettibili di realizzare la migliore utilizzazione delle forze di cui forse potrebbe disporre.
Certo. bisogna disporre di risorse locali dell’agricoltura; Milella, ieri, mi diceva che in fondo gli anni non sono passati invano, che progressi sono stati fatti, che in diversi settori siamo in movimento.
Non si è superata quella fase statica ed arcaica ma non bisogna perdere quelle iniziative dei processi produttivi all’interno di prospettive che consentono traguardi, che nel loro obiettivo creino il lavoro, diano possibilità di inserimento con un potenziale competitivo nei mercati nazionali ed internazionali.
Formulava un giusto rimprovero nelle capacità di proporre commercialmente queste produzioni, quindi, in un certo senso, di frustrare l’impegno dei produttori, scoraggiandoli, comprimendone le capacità di sviluppo e in ultima analisi il rimprovero di visioni incomplete della vasta tematica di Governo.
Il Professor Zuffardi (io sto parlando per coloro che ho sentito, scusandomi con chi non ho sentito)rimproverava ai politici sardi di aver disertato la battaglia delle miniere, posto che queste siano suscettibile di offrire ancora possibilità di utile utilizzazione, formano prospettive di occupazione, di crescita ed allora devo ricordare al Professor Zuffardi che lo Stato non è stato costretto alla realizzazione ma che fu una sua scelta fortemente contrastata dalla Amministrazione Regionale, negli anni Settanta, se i ricordi non mi tradiscono, con un confronto estremamente serrato, ricco di contributi e di interventi di tutte le parti politiche e del Consiglio Regionale della Montedison, che evidentemente ritiene proficuo essere l’unico ago della bussola che guida i suoi compartimenti, Montedison che aveva scelto di abbandonare la Sardegna ed i minatori, perché, quando il Consiglio Regionale stabilì il finanziamento delle funzioni minerarie (allora si parlava di 25 miliardi, cifra piuttosto rilevante), la Montedison si disimpegnò creando un momento di crisi violentissimo, traumatico che rappresenta un momento importante della storia del Governo, delle cose pubbliche del nostro Paese.
E proprio noi sardi dovemmo subire l’affronto di un Ente che nasce per rilanciare il settore minerario e che, invece, compra e svende navi e si inserisce nelle simonia del tempo moderno che sono meglio conosciute come intrallazzi dei quali, così clamorosi, così tutto sommato anche sfiorando il codice penale, costrinsero il Governo a sciogliere l’Ente e a licenziare in modo clamoroso e a mandare via il suo Amministratore.
Ma le risorse minerarie ci sono, le risorse minerarie sono ben presenti all’Amministrazione regionale; l’Amministrazione regionale è fermamente decisa a difendere tutte le potenzialità che sono presenti, e non da ora, ma proprio da anni nel corso dei quali si susseguono le relazioni del Consiglio regionale, della Commissione Industria del Consiglio regionale anche in materia di abbandono, quando si prevedeva l’abbandoni di questa risorsa fondamentale di questa risorsa energetica che noi riteniamo essenziale per la salute della Sardegna, essenziale all’economia dello Stato come forza strategica nella politica energetica, perché è l’unica di cui risponda il bacino del Mediterraneo, come d’altronde il nostro Paese e proprio continuando con coerenza, con grande fermezza, con grande impegno, oggi, il programma.
Oggi che il Parlamento deve farlo ha deciso lo stanziamento di oltre 500 miliardi per la valorizzazione delle miniere del bacino carbonifero in una prospettiva di utilizzazione ad altissimo livello tecnologico con la classificazione, vincendo, quindi quell’elemento negativo di cui si parla all’apertura della relazione e che toglierebbe fede al carbone, la presenza dello zolfo, perché la classificazione elimina anche il problema dell’inquinamento.
Dopo di che non si tratta di scoprire l’impossibile perché la tecnologia della classificazione è largamente praticata in tutto il mondo industriale e in tutti i Paesi dove il carbone è presente.
Le prospettive che la Sardegna ha in questo settore sono prospettive di certezza e il Consiglio regionale, la Giunta regionale hanno incalzato il Parlamento, i partiti politici, tutti i soggetti investiti di responsabilità decisionale, perché questo disegno e questo progetto minerario avesse una conclusione positiva, ottenendo successo in questo.
Quindi, un’assenza del potere autonomistico viene denunziata del tutto inopportunamente.
Ma certo, ci sono risorse locali in Sardegna. Già Boscolo parlava delle suggestioni di questo territorio, delle sue bellezze naturali, del suo patrimonio archeologico, culturale.
Tutto ciò che di bellissimo la Sardegna è in grado di offrire a quanti sono interessati ad un turismo che si qualifichi e leghi il cuore e il rapporto tra i sardi e quanti apprezzano ciò è una grande risorsa che dovremmo coltivare, che dovremmo cercare di ottimizzare con tutti gli strumenti di cui disponiamo, perché ne disponiamo almeno in una certa misura.
Non possiamo nasconderci dietro un dito, accusando sempre il Governo centrale di impedirci di fare cose che noi dovremmo essere capaci di fare, resistendo a pressioni, ad interessi, che favoriscono la polemica della responsabilità di Governo.
Ma la risorsa principale per noi sardi è il lavoro, è la grande forza della sua forza lavoro, sul piano intellettuale e culturale, elemento essenziale nella vita di questa comunità.
Ma l’Italia tiene conto, nei punti più diversi, della cultura dei sardi, del loro lavoro? Dello spirito di sacrificio con il quale ogni giorno creano sviluppo e progresso dovunque siano presenti con questo spirito di sacrificio continuo che li fa anche antagonisti ma diversi, li fa sardi, pur essendo chiusi da una cortina di pudore ma aperti nel cuore, più solidali, più creativi?
Ebbene queste risorse, noi dobbiamo sapere valorizzare. Questa è la grande sfida che si propone e la Sardegna non ha suscettibilità di meno; penso al Giappone lontano che è ben sviluppato, in grado di essere valorizzato sul piano agricolo, sul piano dell’allevamento del bestiame.
Milioni di persone vivono importando materie prime ed esportando prodotti finiti, ma hanno la libertà delle loro scelte, ma hanno il dovere del loro popolo, hanno la forza buonissima per diventare soggetti protagonisti del loro sviluppo.
Ecco il discorso che ha introdotto ieri il Professor Contini, la forza che chiamava un potere autonomistico. Ecco il discorso che richiamava oggi il Professor Contini quando parlava di autonomia integrale.
Ma il governo dell’economia è un elemento essenziale perché un popolo con le sue radici, forte della sua migliore storia, interpretando la propria genesi per capire se stesso, per capire come sia giunto alla sua condizione e costruire con una lucida consapevolezza il proprio domani, senza strumenti di Governo, sia dipendenti e le decisioni dipendono dall’esterno e dall’esterno divengono le soluzioni.
E allora, cari amici, abbiate responsabilità, ma forse la responsabilità più grave è di non aver bloccato subito il potere, perché appropriarci di un potere che in natura non è libero, perché il potere è del popolo, e noi siamo il popolo di Sardegna, noi siamo lo Stato; perché cosa è lo Stato? Lo Stato è territorio e noi siamo il territorio dello Stato. Lo Stato è ordinamento e noi siamo ordinamento nella nostra Regione, solo che ci consenta d rialzarla.
Noi diventiamo allora responsabili, rialziamo la democrazia e la libertà, perché questa libertà non è uno spazio vuoto nel quale ci si aggiri senza traguardi. I traguardi sono precisi e vanno responsabilmente individuati. Ci si consente questa responsabilità ma ce la dobbiamo guadagnare. Non si regala niente perché la politica è confronto e allo stesso tempo scontro di interessi e gli interessi che prevalgono, onorabilmente prevalgono.
Ecco perché il Professor Zuffardi non accetta la zona franca o altri strumenti che possono essere criticabili per altro verso, perché magari possono non apparire gli strumenti migliori ma non perché non potrebbero reggere il confronto con gli oppositori, perché se questo fosse, saremmo già battuti e noi non possiamo fare gesti inutili, dobbiamo proporci con interlocutori capaci di confrontarci, cercando alleanze, cercando la convergenza degli interessi, facendo politica e individuando attraverso la politica tutte le consumante che son suscettibili di convergere con noi, individuando quelle che vogliono con noi scontrarsi.
Ma io sono convinto che è un’esperienza. Devo ricordare che le soluzioni non sono quelle né del Presidente, né del partito del Presidente. Sono quelle della coalizione di Governo, ma sarebbe troppo illusorio pensare che basti questa coalizione o di Giunta o la stessa maggioranza per fare avanzare un alinea politica; ma direi di più: che non basta neppure il Consiglio regionale nella sua globalità a disporre del consenso delle popolazioni. Occorre il consenso attivo e fermo, propositivo, propulsivo, critico, severo delle componenti sociali degli intellettuali, degli operai, del mondo dell’artigianato, questo mondo fantasioso, creativo, sempre pronto a riscoprire ogni giorno ciò di cui l’uomo ha bisogno nelle piccole cose, che poi diventano le soluzioni che preparano prospettive fino a che abbiamo un’organizzazione produttiva.
Certo se non governiamo l’economia, non governiamo la Sardegna, non governiamo certo i centocinquanta mila disoccupati, non governiamo la cultura, non difendiamo l’identità, i valori profondi che sono nel cuore, nella memoria, nella cultura.
Noi dobbiamo avere forza determinante in tutti questi processi. Come governare l’economia se non governiamo il risparmio sardo, se non governiamo la raccolta del risparmio, se non governiamo il credito? Settemila miliardi si raccolgono in Sardegna attraverso gli uffici postali, attraverso le banche, attraverso i Buoni del Tesoro, ma quanto viene reinvestito in Sardegna di queste risorse? Ben piccola cosa.
E allora si creano per gli imprenditori sardi problemi di insufficienza finanziaria e tutto sommato il sistema bancario sardo stenta a riconquistare il ruolo che sia promozionale, di impulso, stenta a riconquistare il proprio ruolo che è quello imprenditoriale; si tenta ad avere finanziamenti che non siano garantiti nel modo più completo, per cui chi chiede cento lire ne deve disporre di almeno cinquecento per garantire il ritorno.
Non è certo richiesto che deve avere i cento citati, perché si possono accendere ipoteche o gli avalli o la fideiussione regionale. Il rischio di impresa sembra ormai sconosciuto agli Istituti finanziari. Ebbene, bisogna dare atto che qualche banca in Sardegna sta recuperando un ruolo promozionale: il Banco di Sardegna, per esempio, ha assunto alcune decisioni che noi riteniamo avranno effetto modificatore in tutto il sistema bancario sardo.
Non siamo certo di questo appagati ma è pur sempre un inizio del quale dobbiamo tener conto.
Ma come governare l’economia quando il sistema industriale sardo è dannato dalla presenza delle partecipazioni statali che è di gran lunga il potere economico più forte e più presente in Sardegna?
Abbiamo il più importante polo di produzione delle fibre. Abbiamo il più importante polo pubblico italiano di produzione di alluminio primario. Abbiamo nel settore minerario l’80% della produzione mineraria realizzata nello Stato e noi amministratori regionali dobbiamo dare un senso attraverso il bilancio, la legge finanziaria, alla nostra programmazione regionale, alle nostre risorse e dobbiamo tenere conto e sollecitiamo un coordinamento con operatori economici di questa rilevanza.
Dobbiamo costatare che non è possibile altro perché i Consigli di Amministrazione, situati a Milano o a Roma o dovunque si trovino, decidano di tutto, come potremmo dire, nella loro logica imprenditoriale, smobilitazioni, chiusure di ulteriori reparti, scordandosi del sistema produttivo, del tessuto industriale locale, creando sconvolgimenti alla programmazione regionale per cui perdono di coerenza gli obiettivi che noi ritenevamo di poter dare agli industriali, ritenevamo di poter dare agli operatori economici, ritenevamo di potere dare a tutti i soggetti investiti di capacità propositive e propulsive, nella nostra Regione e quando ci siamo andati a confrontare con queste Istituzioni, al di là della cortesia formale e della disponibilità al puro dialogo, abbiamo trovato uno sbarramento che, in parte, dipende anche da noi.
Perché non basta recitare il rito della battaglia unitaria, per poi disertarla nei momenti del confronto, non basta ripeter che bisogna creare dei fronti adeguatamente solidali per poi ricorrere a tutti i possibili distinguo, conseguenti ad una situazione di rapporti politici, di concatenamenti, con vertici romani che non gradiscono soluzioni, proposte dalla dirigenza politica regionale. Abbiamo veramente bisogno di questa unità. O noi siamo capaci di questo o siamo battuti.
Cari amici, mi richiamano a un dovere più palpitante, scusatemi queste espressioni che appartengono non tanto al mondo politico quanto a quello più intimo di un’umanità che si raccoglie nella propria solitudine; ma mi richiamano a questa partecipazione sofferta, a chi nella sua sventura familiare, perdendo il padre o la madre, in quel modo si pone il problema della sua borsa di studio e appena questo il problema più ampio di un’emigrazione che vuole contare, che vuole partecipare, che vuole essere protagonista.
L’emigrazione vuole contare, vuole partecipare, vuole essere protagonista. Devo dire che io non ho mai alimentato illusioni in tutti quei convegni a cui ho partecipato da Alghero a Bisbaden,, a Colonia, a Losanna, dovunque, ho reso testimonianza di verità: gli emigrati non li vuole più nessuno. Gli emigrati non li vogliono perché non c’è posto per loro; che significa far tornare gli emigrati in Sardegna per il Governo dello Stato? Scatenare una esplosione atomica che non governerebbe più. Dovrebbero governarla con la Polizia, non con le Istituzioni. E allora usciamo dai ritualismi, diciamoci la verità, il Governo non li fa tornare neanche per votare, perché non organizza le basi perché possano tornare a votare, perché possano contare nella formazione del Consiglio regionale e quindi nel Governo della Regione. Ma voi pensate ai 40.000 della Svizzera, ai 60.000 della Germania e così continuando.
Per far venire a votare, me lo diceva e ricordava con amarezza il Presidente della Lega Svizzera, per farli venire a votare, solo dalla Svizzera occorrerebbero 40 navi e per i tedeschi, i sardi in Germania, 60 navi; è così una grande flotta che offra ai sardi la possibilità di scegliere i propri amministratori, quelli con i quali stabilire un dialogo. Son cittadini privati dei loro diritti politici, privati dei loro diritti civili, perché nella terra di emigrazione sono lì privati del loro diritto di voto.
Debbono produrre, devono creare ricchezza, devono contribuire allo sviluppo e alla crescita economica e civile del Paese che li accoglie; ma non hanno diritti neppure per decidere che almeno nel loro rione i servizi siano organizzati meglio.
Certo che è un grande problema, non hanno neanche diritti perché i loro figli abbiano un domani adeguato. E non crediate che l’Amministrazione regionale sia assente, che non conosca e non soffra di questi problemi, di questi ragazzi che devono frequentare le scuole differenziate per cui arrivati agli studi elementari hanno concluso, in gran parte ovviamente, le eccezioni sono sempre possibili; non diventeranno mai classe dirigente nei Paesi di emigrazione.
Ma gli emigrati rendono, rendono al Bilancio dello Stato perché le rimesse degli emigrati costituiscono un contributo importante al riequilibrio della Bilancia dei pagamenti; sono 5.000 miliardi.
Seguite gli studi, i dibattiti che si stanno facendo su questo tema, sul tema della Finanziaria e anche 1.000 miliardi rappresentano quasi motivo di crisi di Governo; a 5.000 miliardi non si può rinunziare a cuor leggero.
Ecco perché oggi la politica dell’emigrazione non è suscettibile, a livello di Governo, di modifica nei tempi brevi e se non si ha coscienza di questo ci ripetiamo parole.
Il problema è di vedere nella loro complessità questi grandi fenomeni. Allora se noi dobbiamo pensare alla rinascita della Sardegna, davvero siamo convinti che con l’intervento straordinario avremmo risolto i nostri problemi? Questa è una concezione miracolistica e tutto sommato dipendente dallo sviluppo: il piano di rinascita, la Cassa per il Mezzogiorno. Da quanto stanno operando piano di rinascita e la Cassa per il Mezzogiorno? Con la Cassa per il Mezzogiorno il Mezzogiorno ha perduto sempre più contatto con lo sviluppo del Nord e allora non è uno strumento valido e accettabile. L’intervento straordinario si è dimostrato uno strumento ingannevole che è servito soprattutto a loro, tanto è che le Regioni che si sono dimesse per prime, quando la Cassa per il Mezzogiorno è entrata in crisi, sono le Regioni del Nord perché le ordinazioni delle macchine di tutta la organizzazione tecnologica che serve al Sud viene prodotta al Nord e allora noi siamo soltanto i destinatari di produzioni altrui, sempre più dipendenti dall’esterno. E neanche il piano di Rinascita si è dimostrato valido perché è stato sempre sostitutivo degli interventi ordinari, mai aggiuntivo.
E allora, amici cari, non possiamo pensare che l’intervento straordinario formi un elemento integrativo e aggiuntivo rispetto alle politiche dello Stato, ma il riequilibrio territoriale si può fare solo con le politiche dello Stato, con la politica dei lavori pubblici; i lavori pubblici si realizzano e si devono realizzare dove non esistono e si deve smettere di continuare gli interventi dove già tutte le infrastrutture sono realizzate.
Seguire lo sviluppo non significa determinarlo. L’inversione della scelta politica è determinare lo sviluppo, non seguirlo e noi siamo vittime invece di una politica che segue lo sviluppo delle Regioni forti, mentre non vediamo determinare lo sviluppo nelle Regioni deboli.
Ecco perché chi Vi parla è stato l’unico e solo della Repubblica a non votare la legge di riconversione e di ristrutturazione industriale, perché non serviva al Paese, serviva alla parte di questo che con lo sviluppo determinava sotto sviluppo, perché è proprio quello sviluppo che crea, suscita sotto sviluppo.
Ecco che allora, quando si dice che l’industria deve essere in nostro potere, le risorse devono essere non frutti di investimenti, di trasferimenti di volta in volta decisi in modo disorganico e con vincolo di destinazione, per cui l’Amministrazione regionale serve solo come strumento, come passa mano delle somme, ma in effetti queste sono state già destinate dal Governo dello Stato e destinate ingenerosamente.
Pensate solo al settore della Sanità dove la spesa storica continua a dominare, come nei lavori pubblici. Le abbiamo dato 10 miliardi l’anno scorso, il 15% in più sui 10 miliardi è 1.500 miliardi. La Lombardia ha avuto 1.000 miliardi e avrà in proporzione la somma superiore ed è così che noi in Sardegna vediamo aumentare le risorse delle dotazioni alle Regioni che già hanno risolto i loro problemi e ideiamo, invece, negarci la soluzione dei nostri che ancora attendono di essere affrontati.
Noi proponiamo invece: ripartiamo le somme secondo il numero degli abitanti, tanto abitanti, tante persone da assistere, distribuiamo i soldi così; ma si è preferito distribuirli in relazione agli ospedali esistenti.
Così chi ce li ha li potenzia e chi non li ha non li costruisce. Perdiamo 80 miliardi all’anno con questo sistema; ma questo sistema va in tutti i settori della vita pubblica.
Ecco perché diciamo che è nelle politiche dello Stato, nella politica del trasporto, nella politica della sanità, nella politica, dicevo, dei lavori pubblici, nella politica dell’agricoltura; ecco, quando dico agricoltura: ma che ci sta a fare il Ministro dell’Agricoltura se la competenza esclusiva è delle Regioni, sia di quelle a Statuto speciale che di quelle a Statuto ordinario? Tutto ciò che si dovrete realizzare nel campo agricolo è di competenza regionale; ma le risorse le ha quel Ministero che le distribuisce secondo finanziamenti di volta in volta decisi come si diceva ieri, negativi.
Ci sono tutta una serie di battaglie che dobbiamo fare ma la prima battaglia, è stato ricordato, prima di tutto, è di interrogarci su come gestiamo l’autonomia. La gestiamo male, con strumenti superati, con Istituzioni vecchie, statiche, corpose, grevi, farraginose che consentono il realizzarsi di una decisione amministrativa a distanza di tre anni dalla decisione stessa.
E oggi viviamo in un’epoca nella quale i ritmi di produzione e di lavoro camminano con i tempi reali. Dobbiamo seguire i ritmi e le cadenze del tempo moderno, non possiamo più fermarci, costitundis travolgenti che scoraggiano l’operatore che disincentivano lo sviluppo.
Dobbiamo diventare una forza moderna, dinamica, creativa, propositiva che assecondi gli impieghi o il lavoro, la forza creativa degli operatori, dei cittadini. Dobbiamo procedere alla riforma dell’Amministrazione regionale, non secondo gli umori o intuizioni di questo o quel politico, di questa o quella maggioranza, ma secondo indicazioni che l’esperienza ci ha dimostrato proponibili e avvalendoci della collaborazione del più alto livello tecnico-scientifico, andando a ricercare i tecnici e gli scienziati dell’Amministrazione dovunque siano, sebbene fuori dalla Sardegna, fuori di Italia, per poi tradurla in termini operativi, una riforma che ci vede protagonisti nel rapporto con lo Stato in termini diversi perché l’autonomia diventi un fatto reale, ma nel rapporto interno anche con gli Enti locali, gli altri soggetti della Democrazia di base perché il potere in orizzontale si sviluppi in tutta la sua coerenza, in tutta la sua forza di Democrazia.
Quindi, la riforma, la riforma dello Statuto, Saba diceva utilizziamo magari la legge speciale di rinascita per cominciare a introdurre un elemento di riforma nei rapporti con lo Stato in attesa che diventi il fatto costituzionale.
Ci mancherebbe altro che io sia contrario a un fatto di questo genere, si diceva che il meglio è il contrario del bene. Se questo meglio lo si deve realizzare in tempi lunghi, cominciamo subito con tutti gli strumenti, con tutta la capacità del nostro essere sardi, della nostra cultura, delle nostre tradizioni, della nostra storia perché per dialogare con gli altri dobbiamo esistere e per esistere dobbiamo essere noi stessi.
Ecco perché vi sono grato di questo convegno, come sono grato di questi convegni che gli emigrati organizzano dovunque, con l’impegno crescente perché la coscienza della sardità sta venendo ai sardi soprattutto da Voi, da questo recupero di chi ha nostalgia o bisogni profondi, reali di fronte ai quali dobbiamo esprimere il più alto rispetto.
Certo spesso vi è anche questa tensione emotiva che non sempre diventa consapevolezza razionale, per cui si giunge all’approccio con i problemi con una genericità che non aiuta a risolverli, ma il valore reale è questo essere sardi, è questo rivendicare i valori profondi di cui siamo portatori e responsabili.
Io ho visto a volte, a proposito di seconda e terza generazione, bambini nati in Germania che girano la Germania portando messaggi di sardità nei loro costumi, nei loro canti, nelle loro case. È un messaggio ricevuto dai genitori.
Continuate a trasmettere ai Vostri figli questo messaggio.
Se noi siamo oggi responsabili della vita pubblica, sebbene non siamo degni del nostro ruolo, lo saranno i Vostri figli, lo sarete Voi. Non ci lasciate soli perché non vogliamo lasciarVi soli. Auguri