Fondi strutturali – Parlamento Europeo – 26 giugno 1993

Signor Presidente, il mancato obiettivo tra regioni svantaggiate e regioni ricche ripropone il ruolo dei Fondi strutturali. Di qui la riforma.
In questo spirito, apprezziamo positivamente il consistente aumento dei fondi, il più incisivo impegno degli Stati al rispetto dell’addizionalità, il coinvolgimento delle regioni nel Comitato consultivo, nell’elaborazione dei quadri comunitari di sostegno, dei programmi transnazionali, delle sovvenzioni globali e valutiamo con favore il ruolo più incisivo di controllo riservato al Parlamento, anche se stamane piuttosto contestato dal Commissario e dagli stessi parlamentari chiamati a partecipare ai Comitati nelle rispettive regioni.
A ben guardare, però, gli spazi di democrazia aperti dalle innovazioni sono più apparenti che reali. Infatti, all’aumento dei fondi corrisponde l’ampliarsi dell’area di intervento già di per sé rilevante, ma di fatto indeterminata e dilatabile oltre i confini della stessa Comunità. Ciò in nome di una flessibilità che contraddice e vanifica l’obiettivo essenziale della concentrazione territoriale e programmatica degli interventi.
Ciò che crea però maggiore preoccupazione è il perpetuarsi della visione assistenzialistica della manovra globale. Lo stesso coinvolgimento delle parti sociali, di per sé positivo, si inserisce in forme così ambigue, da apparire finalizzato ad attenuare il ruolo delle regioni, chiaramente risospinte dalla rinazionalizzazione dei poteri, dalla subalternità nei confronti del blocco politico, burocratico, della consociazione statal-comunitaria. Ecco come, parafrasando un politico scrittore, della mia terra, il professor Michele Columbu, sono indotto a concludere che l’Europa è ancora lontana.