Presentazione del libro “Sassari Giolittiana” di Giovanni Maria Cherchi – Biblioteca Sebastiano Satta – 15 novembre 1995

Confesso che presentare un libro di storia, cogliendone i valori emergenti da proporre alla riflessione dei cortesi ascoltatori,è per me esperienza nuova per cui confido nella vostra cortese benevolenza se talvolta mi sono lasciato affascinare anche dal particolare scambiandolo per tema d’interesse generale. Ma è poi facile distinguere sempre il “particolare” nell’evolversi dei processi storici?
“Sassari giolittiana” non è un tradizionale libro di storia che informa il lettore del succedersi cronologico di fatti avvenuti in un dato arco di tempo. Il lettore si trova entro la storia e ne avverte l’irresistibile dinamica nel suo divenire trasformandosi egli stesso, da distaccato lettore, in un sofferto protagonista degli eventi.
Si coglie come l’ispirazione primigenia di questo libro, riscoprire la figura di Palmiro Togliatti negli anni lontani della giovinezza sassarese, pur perfettamente riuscita nell’offrirci l’immagine di un ragazzo serio, studioso per naturale vocazione di sapere più che per obbligo scolastico, forse troppo saggio per la sua età, ma non chiuso in solitudine intellettuale, anzi, cordialmente partecipe alla vita della comunità studentesca, disponibile allo scherzo e alle solidarietà complici con i compagni di scuola meno dotati o, più semplicemente meno impegnati, estraneo al frastuono politico, ma aperto ai grandi temi della libertà, non condizionato nella sua povertà dignitosa dall’evidente agiatezza di alcuni suoi compagni di classe con i quali intratteneva peraltro rapporti di cordiale, serena collaborazione scolastica, ebbene l’ispirazione primigenia, dicevo, risulta largamente superata dal prepotente emergere nello scenario narrativo di Sassari, la sua gente, i suoi problemi, le speranze, le sconfitte, i piccoli e grandi valori di una comunità che vive e realizza la propria storia.
Il filo conduttore, al di la dei titoli dei singoli capitoli, è profondamente unitario e da vita ad un tessuto che, pur nella policromia della trama, ora intensa, ora sfumata, offre un’immagine globale difficilmente scindibile per argomenti.
Bisognerebbe però avere la magia narrativa di G. M. Cherchi per riproporvi la sua opera nelle originali sottili connessioni che danno contestualità e fluente continuità allo svolgersi ed evolversi degli eventi.
Accettate quindi che, pur con fatica, vi proponga i protagonisti della sua Sassari giolittiana.
Ebbene debbo dire che sono rimasto positivamente impressionato dall’immagine complessiva della società sassarese.
Sullo sfondo dell’affresco narrativo si avverte l’incisiva presenza di un proletariato oppresso dalla lebbra del sottosviluppo, tormentato dalle mille sofferenze sociali del diffuso analfabetismo, dalla emigrazione e disoccupazione estesa e strutturale, dalla devastante mortalità causata da malattie endemiche, indotte da povertà, scarsa nutrizione, antigienicità delle abitazioni – largamente insufficienti – dalla scarsa assistenza sanitaria, dall’emarginazione nei processi decisionali della comunità sassarese perché non ammesso, per ragioni diverse, alla dignità del voto elettorale; un proletariato che dimostra la sua vitalità non estraniandosi alla vita cittadina, ma facendo sentire la propria voce attraverso manifestazioni, raramente violente e tumultuose, ma sempre significative nel rivendicare i diritti e sensibilizzare l’opinione pubblica sui gravi problemi che ne condizionano e mortificano la stessa dignità umana.
Accanto a questo popolo emerge una società borghese cittadina costituita da professionisti impiegati civili e militari, commercianti, artigiani, benestanti di varia estrazione che pur con i suoi limiti, da vita ad una intensa attività di rilevante valore sociale.
Pur condizionata dalla stagnazione economica conseguente al traumatico interrompersi degli intensi rapporti commerciali della Sardegna con il mercato francese in conseguenza del protezionismo doganale praticato dal Governo italiano a favore della nascente industria settentrionale (protezionismo cui il governo francese ha reagito col blocco delle importazioni dall’Italia -paralizzando così l’economia sarda che esportava in Francia carni bovine, ovine, formaggi e latticini vari, vini, prodotti ittici particolari per cifre stimate, per le sole carni bovine, ad oltre 50 milioni di lire annue – corrispondenti a cifre oggi astronomiche -) si avverte il vitale respiro di una comunità che non si arrende ne si abbandona al fatalismo di decisioni ed eventi dal cui definirsi è stata esclusa in virtù degli immancabili “superiori interessi” della Patria ipocritamente evocati per mascherare quelli ben più concreti di una larga fascia industriale insediata nel nord Italia.
Vitalità che pervade i settori della produzione, costituiti eminentemente da un ricco tessuto artigianale delle aree urbane e da eccellenti agricoltori ed allevatori dell’agro di Sassari, ed è contrassegnata da una vivace e, per taluni aspetti, passionale partecipazione di importanti componenti della comunità sociale e civile.
Si costituiscono infatti – e si moltiplicano – organizzazioni associative finalizzate a conseguire i più diversi obiettivi: società di mutuo soccorso, culturali, ginnastiche, ricreative, anticlericali o di azione cattolica, cooperative di produzione o di consumo, leghe di resistenza, associazioni studentesche, Camera del Lavoro e così continuando.
Si coglie un diffuso bisogno di luoghi di incontro sociale per scoprire e realizzare insieme nuovi spazi alla vita comunitaria.
Interessante in proposito soffermare la nostra attenzione sull’attività del Circolo degli impiegati civili e militari che oltre alle attività ricreative, si convoca, a scadenze periodiche, per discutere argomenti di varia cultura in alcuni dei quali si evidenzia sensibilità ed intuizione degli organizzatori nell’individuare temi che diventeranno attuali dopo mezzo secolo, cioè nei giorni nostri.
Infatti accanto a temi quali “Eva in casa e fuori”- “Fascino orientale” -“Origine della scrittura”- “Eleonora d’Arborea” ci si intrattiene su argomenti quali “il femminismo” ed “il divorzio”.
I cattolici, autoesclusi dall’agone politico sino al definirsi del Patto Gentiloni del 1912, approfondiscono i temi del loro ruolo pubblico attraverso organizzazioni quali la “Silvio Pellico”, “Robur et Virtus” mentre i laici, dichiaratamente anticlericali, si organizzano in associazioni quali la “Giordano Bruno” ed altre di minore rilevanza.
E’ anzi da osservare che la militanza cattolica come quella anticlericale si esprime nella Sassari dei primi decenni di questo secolo in forme così intensamente partecipate da dar vita non solo a grandi confronti quali quello intervenuto nel gennaio 1910 fra l’avvocato Catta ed il canonico Filia sulla “responsabilità della Chiesa nella Santa Inquisizione”, ma a veri e propri scontri fisici fra cortei e contro cortei controllati e, in larga misura, scongiurati dall’intervento della forza pubblica.
Gli anticlericali danno vita ad un importante congresso regionale svoltosi nell’arco di tre giorni nella cittadina di Tempio, trattando, fra vivaci contrasti, i temi “Il clericalismo nella lotta economica”, “La propaganda anticlericale” e “La scuola laica”.
Al congresso aderiscono in massa oltre i cosiddetti partiti della sinistra: Unione Popolare, Socialisti, Repubblicani ed Anarchici, i Massoni che allora più di ora, credo, avevano l’orgoglio di dichiararsi pubblicamente tali e personalità della cultura e della politica fra i quali, da Roma il Sindaco Natham e, da Nuoro, Sebastiano Satta.
Seguendo però il discreto peregrinare tra l’apparente e il sostanziale di questo coinvolgente libro, si ha la sensazione che il confronto fra clericali ed anticlericali, pur occupando larga parte della cronaca riportata dai giornali, coinvolge in termini di militanza attiva solo fasce abbastanza limitate di popolo mentre la grande massa partecipa or con questi ed or con quelli senza diventare reale avversario e, men che mai nemico, di questi o di quelli.
Scrive Carlo Mariotti: “il Sassarese è un buon diavolaccio, un agricoltore vestito dei panni della domenica, oscillante fra il gaudeamus igitur e la processione dei Candelieri, in pellegrinaggio alla tomba di Garibaldi (dalla spada alla marra, dalla tunica rossa alla giubba da bifolco)”.
Al di la del paradosso evocato dal Mariotti mi pare di poter convenire con la sostanza della sua diagnosi scoprendo una vibrante, appassionata partecipazione unitaria della Sassari giolittiana in difesa dei più alti e comuni valori sia sul piano dei diritti dell’uomo quale individuo che della stessa collettività.
Unanimi sono le manifestazioni in difesa della vita dell’anarchico Francisco Ferrer e, dopo l’iniqua esecuzione capitale di lui, lo sdegno e le iniziative conseguenti dei sassaresi tutti.
Si arriverà a proporre il boicottaggio delle merci provenienti dal mercato spagnolo.
Unanimità non turbata dalla considerazione che, accusati di averne voluto la morte, contro ogni evidente innocenza dal reato specifico di cui era accusato, sarebbero stati i gesuiti spagnoli preoccupati del fascino che il suo insegnamento esercitava sui giovani.
Ad unire alla base le diverse componenti ideologiche della borghesia sassarese concorrevano altri nobilissimi impegni quali le attività benefiche a sollievo di tanta diffusa povertà e dei bisognosi in genere (totalmente abbandonati dalle istituzioni statali) e l’impegno nel contrastare il dilagante analfabetismo sollecitando la frequentazione delle scuole dell’obbligo.
Significative in proposito le percentuali di frequenza scolastica – Sassari 7,2% – preceduta in Italia solo da Torino con 7,3% e Ravenna con 7,8 – ma avanti a città come Roma che arriva al 6,7%, Siena con 5,5% o Venezia con 6,6%.
E credo non sia una semplice coincidenza che proprio gli studenti, nella Sassari giolittiana, si affermino come la forza più vitale, aperta e creativa emergendo su tutte le altre con la freschezza di una gioventù assetata di sapere e generosamente protesa nel dare.
Nel dare prima di tutto.
Nel dare l’adesione incondizionata a cause e battaglie politiche di alto valore sociale, civile e patriottico.
Giovani cattolici e laici che per quanto emerge dalla narrazione del libro, non vanno oltre nobili, civili confronti.
Lì scopriamo, quasi pie dame della carità, fervidamente attivi nel procurare risorse da distribuire fra i poveri; a questo fine organizzano spettacoli da tenere nei teatri cittadini o in vere e proprie tournè nella provincia; spettacoli di cui sono capo-comici, registi, attori, talvolta librettisti e magari operai deputati all’allestimento delle scenografie. Li accompagna, di norma, un’orchestrina nella quale musici e direttore sono tutti studenti.
Colpisce in questi giovani, anche fra i liceali, il grande livello di maturità e di responsabilità che li fa protagonisti della vita pubblica.
Quando gli studenti del Liceo “Azuni” si recano ad Ozieri per recitarvi una commedia sono accolti con simpatia ed affetto dall’intera popolazione guidata dal Sindaco che rivolge loro un caloroso indirizzo di benvenuto.
A lui risponde non già uno dei docenti accompagnatori ma il giovane studente Mario Berlinguer il cui discorso è salutato dal plauso entusiasta dei cittadini.
Con lo stesso entusiasmo sono accolti a La Maddalena e quindi a Caprera ove li riceve la vedova di Giuseppe Garibaldi che indirizza loro un discorso vibrante di patriottismo cui risponde, innanzi al sacello di Garibaldi, lo stesso Berlinguer.
Ma a tenere pubblici discorsi sono anche Camillo Bellieni sul tema della “religiosità nell’anticlericalismo”, Ernesto Marini, Emilio Mesina e Mario Azzena contro la politica austriaca (alleata dell’Italia giolittiana) in occasione del pestaggio subito nell’Università di Vienna da una delegazione di studenti italiani impegnati a perorare l’italianità di Trento e Trieste, Michele Saba la cui eloquenza è definita dai giornali, “impetuosa, smagliante e spontanea”.
Uno degli elementi della Sassari studentesca è il diffuso irredentismo, un patriottismo che si alimenta nel mito e nello studio del messaggio mazziniano e del trascinante esempio garibaldino.
Vedono nel moto risorgimentale più che un fatto nazionale una particolare visione del mondo che gli conferisce valore di universalità.
In consonanza con questi valori sono le scelte artistiche degli studenti sassaresi. Accanto al Carducci si studia con particolare sensibilità e spirituale coinvolgimento la poetica dannunziana e dello stesso Giovani Pascoli.
Amano con orgoglioso patriottismo sardo Sebastiano Satta e Grazia Deledda, sentendosi sostanzialmente estranei al futurismo di Marinetti e resistenti all’idealismo crociano.
Danno vita a pubblici dibattiti culturali interrogandosi se la tragedia “La figlia di Iorio”, ha titolo per essere inserita fra le grandi della letteratura di tutti i tempi, se l’endecassillabo Benelliano rompe la tradizione dell’endecassillabo nostrano, se l’Oriani debba considerarsi o no il primo scrittore italiano e se gli adulteri solo pensati dalle eroine di Fogazzaro siano più puliti di quelli delle umanissime creature zoliane.
In materia filosofica propendono per il realismo naturalista di Schopenhauer più che per le teoriche di Hegel, Ficthe e Schelling.
Una molteplicità di interessi che li vede fervidamente impegnati in continui confronti di rilevante livello intellettuale.
Pur concordando con l’autore su un certo conservatorismo culturale di questi giovani sono rimasto vivamente impressionato dal ruolo che hanno saputo conquistarsi in questo arco di tempo.
Ne deduco che Sassari doveva vantare, pur fra tante difficoltà, un corpo docente, non solo di ottima preparazione, ma altresì di grandi doti etiche e didattiche.
Ne è testimonianza la serietà ed il rigore con cui gli studenti affrontano doveri di umana solidarietà verso i più deboli o nello schierarsi pubblicamente a favore di cause di valenza universale.
La stessa disinvoltura nel diffondere il loro messaggio attraverso discorsi tenuti dinnanzi ad affollate assemblee di popolo ne evidenzia maturità e consapevolezza di se ben oltre l’età della giovanile spensieratezza.
E non a caso da quella Sassari studiosa emergerà una classe dirigente che onora non solo la città, ma la Sardegna tutta.
Palmiro Togliatti diventerà una delle figure più eminenti della sinistra mondiale; Antonio Segni destinato a guidare il Governo dello Stato e la stessa Repubblica italiana; Mario Berlinguer protagonista della lotta antifascista ed esponente di primo piano dell’epurazione e punizione dei maggiori responsabili dei crimini politici durante il ventennio;Attilio Deffenu studente nuorese a Sassari fervido animatore della scuola sindacal-liberista e fondatore di riviste che testimoniano dell’alto livello culturale suo e dei suoi collaboratori fra i quali sono da annoverare Grazia Deledda e Sebastiano Satta (anche lui, a suo tempo, studente a Sassari); Camillo Bellieni al quale va il merito di aver colto con grande intuizione anticipatrice della storia come il futuro d’Europa e del mondo si sarebbe legittimato più che sul potere degli Stati-Nazione su quello dei Popoli, non chiusi nelle aree territoriali di loro insediamento ma internazionalmente aperti ad un rapporto di solidarietà federale che, esaltando protagonismo e responsabilità dei singoli, avrebbe conferito a ciascuno la forza dell’insieme. Unico politico fra le due guerre ad aver intuito gli Stati Uniti d’Europa fondati sulla molteplice ricchezza etno-storica delle Regioni.
In questo scenario politico-sociale sostanzialmente positivo, Giovanni Maria Cherchi non si limita ad indicare attori e comprimari del confronto, le loro iniziative, gli obiettivi ed i contrasti, ma ci coinvolge nella dinamica suscitata dal dibattito facendoci partecipi di tensioni, limiti, eccessi e – in verità – rari sprazzi di luce che caratterizzano la politica della Sassari giolittiana.
A contendersi il consenso popolare, elettoralmente limitato peraltro a non più di cinquemila persone (aventi diritto al voto per ragioni di censo e di cultura) sono presenti numerosi partiti schierati sostanzialmente su due fronti: la sinistra di tradizione anti giolittiana guidata da una formazione locale, che si autodefinisce Unione Popolare, alleata di norma con le locali sezioni dei Partiti Repubblicano, Socialista ed Anarchico; sul fronte opposto la destra, dichiaratamente filogovernativa e quindi giolittiana, guidata dal Partito Monarchico Costituzionale, alleato a sua volta con il Partito Radicale.
Il quadro delle forze in campo sarebbe però incompleto se non precisassimo che la sinistra, forse per la presenza nelle sue fila di illustri personalità del mondo sassarese di fede massonica, assume un atteggiamento pesantemente anticlericale contrastato peraltro in termini non meno aggressivi, dal clericalismo che sostiene il Partito Monarchico Costituzionale.
Questo particolare aspetto invelenisce il confronto politico disfrenando una virulenza verbale che depotenzia la politica e la sospinge nella palude degli insulti tanto pesanti quanto, spesso, gratuiti e, comunque sterilmente eccessivi.
D’altra parte, al di la dei rituali messaggi che si appellano ai grandi principii, i due schieramenti si scontrano nel concreto su questioni eminentemente locali sostenuti, più che da fedeli di sofferte ideologie, da clientele aggregatesi intorno alle formazioni divenute centri di potere.
La politica, pur guidata da personalità di sicuro spessore culturale ed etico, deve fare i conti, secondo la puntuale analisi che ne fa Cherchi, con la disgregazione sociale, la scarsa coscienza politica delle masse in ragione della mancata definizione e differenziazione delle classi sociali, l’inesistenza di una moderna organizzazione produttiva, aggravata da una limitata percentuale di cittadini aventi diritto al voto.
Ma è lo stesso Giovanni Maria Cherchi a chiedersi se la sinistra dell’Unione Popolare è anti-coccortiana perché anti-giolittiana, o anti-giolittiana perché anti-coccortiana e quindi avversa all’On. Michele Abozzi, benevolmente definito “lacchè” e addirittura un “bravo” di manzoniana memoria.
In tale contesto sinistra e destra sono espressioni più formali che sostanziali tanto che nel 1906 l’Unione Popolare saluterà come un successo il Governo Sonnino caratterizzato da ministri ben più a destra dei Governi Giolitti.
Cogliendo questi aspetti Angelo Cossu su – Sardegna Giovane – nel gennaio 1909 scriveva: “Si sente parlare di un Partito Repubblicano, di un Partito Radicale, di un Partito Costituzionale, di un Partito Socialista, ma sono solo denominazioni che non corrispondono alle ideologie che dovrebbero formare il patrimonio ideale dell’esercito di ciascun Partito”.
La verità che sembra emergere dalle pagine puntuali di Giovanni Maria Cherchi evidenzia due schieramenti che di fatto si ricostituiscono solo nell’imminenza delle battaglie elettorali i cui programmi ed obiettivi vagano nel generico dell’indefinito ritenendo ben più produttivo, per guadagnare il consenso dei votanti, raggiungerli individualmente e mobilitarli sul piano elettorale, in vista dei vantaggi derivanti dal rapporto clientelare fra eletto ed elettori.
Non meno severo è Camillo Bellieni che dopo averne denunziato il municipalismo clientelare giudica i politici del tempo “ben poco interessati a suscitare vitali confronti, prospettive e soluzioni del tema materiale e spirituale della condizione sarda”.
Poco rileva elencare nomi di protagonisti e comprimari giacché prigionieri di una logica ambientale che al di la dei loro valori personali ne determina le azioni e le prospettive.
La debolezza di un confronto politico così asfittico, per giunta rissoso e fuorviante, privo di reali contenuti capaci di suscitare fervida partecipazione popolare e di mobilitare le masse in vista di traguardi di riscatto politico, sociale e culturale crea un vuoto di valori nel quale s’insinua l’involuzione storica che sfocerà in Sardegna ed in Italia nell’enfasi di un nazionalismo che conosce solo il linguaggio delle armi e della violenza sia interna che internazionale.
Si spiega così come il capo delle sinistre, Filippo Garavetti, sconfitto nelle elezioni politiche del 1904 e 1909 dal capo della destra Monarchico Costituzionale Michele Abozzi, appena un anno dopo, nel 1910, stempera il suo anti-giolittismo e viene perciò premiato dal Governo con la nomina a Senatore del Regno; due anni dopo sarà apertamente giolittiano!
Ma ciò che induce a maggiore perplessità, pur comprendendo che il senso della storia volgeva ineluttabile verso i traguardi di un nazionalismo colonialista, è l’abbandono, per alcuni sicuramente in buona fede, di posizioni ideologiche di grande significato civile: l’opposizione alle conquiste coloniali costantemente motivata, per l’innanzi, da due considerazioni politiche molto precise. Primo: il diritto di ogni popolo all’indipendenza e alla libertà e, secondo, utilizzare le enormi somme profuse nelle guerre coloniali (allora in Eritrea e nel Benadir) per superare l’arretratezza delle regioni meridionali italiane ancora prive delle infrastrutture civili più elementari.
Ebbene la sinistra sassarese che pure aveva a suo tempo nobilmente sostenuto queste tesi, dopo la ricordata capitolazione al giolittismo del 1910 di Garavetti e del suo gruppo, plaude alla guerra scatenata dal Governo per la conquista della Libia.
Le poche voci dissenzienti vengono rapidamente isolate e si diffonde una sorta di febbrile entusiasmo che guarda all’impresa coloniale libica con l’ingenuo candore di chi vede Roma risplendere nel suo antico ruolo Mediterraneo portatrice – con la forza delle armi – di progresso e di pace, insomma, di civiltà.
La guerra – definita allora “piccola” – veniva considerata modesto sacrificio di vite umane in vista della pace che dopo, insieme al benessere, garantirà ai libici, riscattati dalle armi romane, non già di precipitare nella condizione coloniale, ma di godere dell’Italica civiltà.
Si chiede giustamente Giovanni Maria Cherchi come non cogliere che dietro a quell’impresa ci siano torbidi e prevaricanti interessi industriali e finanziari.
A credere nella buona fede di una certa parte dell’opinione pubblica vi sono indotto, non solo dalla mia personale esperienza di ragazzo, sul diffuso consenso alla guerra di conquista etiopica, ma, riportandoci all’epoca della guerra libica, dall’adesione a questa di personalità quali Sebastiano Satta che, appreso della morte di un medico sardo, ucciso mentre curava un ferito in battaglia, invita i cani mastini di Sardegna (requisiti dal Gen. Graziani a sostegno dei combattenti in Libia) ad aggredire il libico che sparò contro quel medico, “e a lui cavi l’entragna, come all’agreste verro il buon mastino”.
Espressioni truculente che considerano il libico che spara contro i nemici invasori un barbaro da annientare perché insuscettibile d’essere civilizzato e non già un patriota che difende, con la propria terra, la libertà.
In questa premessa è sin troppo facile cogliere i sintomi dei processi evolutivi che troveranno compiuto sviluppo e più precisa definizione nel fascismo.
Per quanto è dato sapere lo stesso Garavetti aderirà al fascismo.
Ma Sassari giolittiana non si esaurisce però nella classe politica del tempo. Dobbiamo essere grati a Giovanni Maria Cherchi per avercela riproposta in tutta la ricchezza della sua vibrante umanità
Un popolo che, pur fra mille sofferenze, limiti e condizionamenti è duramente impegnato nel lavoro, aperto alla cultura ed alla speranza; una speranza che nei giovani diventa progetto; progetto che prefigura la storia e la determina.
I giovani della Sassari giolittiana, sbalzati nella creta del suo popolo, sono diventati e, in larga misura ancora sono e, penso, saranno, fari di luce nella civiltà del mondo.