Ricordo di Peppeddu, 6 aprile 1996, Oliena

Olianesi,
ed amici che siete venuti da tante contrade per fare onore con la vostra presenza ed il vostro affetto al caro Peppeddu confesso di avvertire, come penso ognuno di voi, turbamento smarrito di chi non riesce ad accettare né capire l’improvviso spegnersi di una luce amica, una luce che rischiava e dava sicurezza al nostro operare.
Il mistero della morte, pur così consueto nella umana esperienza, ci coglie sempre di sorpresa e spalanca negli ampi spazi dello spirito vuoti paurosi che l’intelligenza capisce ma che il cuore dolorosamente rifiuta.
E questo è tanto più vero quando il destino crudele si abbatte su una persona che ci è cara non solo per la ricchezza dei sentimenti che ha saputo offrirci, ma perché con la parola, l’operare e l’esempio era divenuto una guida, un capo che con mano sicura e ferma sapeva raggiungere i traguardi più esaltanti.
La verità è che Peppeddu era “naturalmente” un capo; un capo che non amava comandare; se gli altri, tanti altri, lo seguivano non era certo in obbedienza all’imperio dei suoi ordini quanto per il fascino di una personalità che sapeva diffondere intorno a se fiducia, sicurezza, ma soprattutto una grande umanità.
Peppeddu aveva il raro dono dell’essere senza apparire; sempre modesto, esprimeva una naturale signorilità che diventava garbo e gentilezza nei molteplici rapporti che quotidianamente era chiamato a fronteggiare nell’assolvimento del suo lavoro.
Il sorriso mite ne illuminava il volto rilevando una ricchezza spirituale che diventava messaggio di amicizia e solidarietà.
Era, dicevo, un capo, naturalmente un capo, chiamato a sperimentare le sue naturali doti di uomo quando, poco più che ragazzo, rimase orfano di padre e dovette affrontare, da fratello maggiore, il duro confronto con i problemi aspri e difficili del vivere quotidiano.
Ma Peppeddu aveva la magia di saper guardare oltre il quotidiano ed oltre l’orizzonte per cogliere traguardi ed obiettivi che, prima ancora di essere realtà materiali ed organizzative, erano intuizioni dell’intelligenza, conquista dello spirito.
Basti pensare a quello che ha saputo fare nel Gologone: espressione di una creatività che va ben oltre le capacità imprenditoriali, rivelandosi una forza della natura che trascende l’intelligenza, la razionale organizzazione delle forze per diventare scintilla di genialità e di grande profondo, inestinguibile amore.
Perché Peppeddu amava le cose nelle quali credeva.
E lui, che non aveva alcuna esperienza nel campo specifico dell’accoglienza ha inventato tutto, ha inventato prima di tutto gli uomini, trasformando contadini e pastori in altrettanti chef e maitre di prestigio internazionale.
Chi non ricorda le giovani fanciulle, contadine di Oliena, che sanno servire senza servilismo, con gentilezza e signorilità?
Chi non ricorda le architetture calde ed accoglienti del locale, cresciuto negli anni, che oggi costituisce, per la bellezza dei quadri che ne impreziosiscono le vaste pareti, una delle pinacoteche private più illustri di Sardegna?
Per tanta gente di varie parti della Sardegna, ma anche d’Italia e d’Europa sognare un giorno di vacanza gioiosa, uno spazio di libertà nel quale lo spirito si svincola dai mille problemi del quotidiano, significa pensare al Gologone, alle suggestioni del suo scenario di rara bellezza paesaggistica, alla calda, elegante accoglienza che si realizza non solo nel pranzo ma, soprattutto, nell’atmosfera che intelligenza e fantasia di Peppeddu hanno saputo creare.
Ed io che ho vissuto con lui l’esperienza esaltante dell’Amministrazione Comunale sapevo e sapevamo bene che eravamo stati chiamati dalla fiducia dei cittadini non tanto ad amministrare le poste di bilancio, pur importanti (anche se molto modeste) ma i sogni, le aspirazioni e le attese di tutta la Comunità Olianese.
Se qualcosa è rimasto di positivo del nostro operare di allora lo si deve al fatto che noi non pretendevamo di comandare ma di servire; per farlo dovevamo sentirci componenti della famiglia olianese, fratelli tra fratelli, ed amarli, non solo per le splendide cose che il nostro popolo sapeva esprimere ma anche per le piaghe dolorose che ne tormentavano la travagliata esistenza.
Ebbene, cara Signora Pasqua, Lei che ha saputo assecondare ed esaltare con tanto garbo, riserbo ed intelligenza l’opera di Peppeddu e tu, Giovanna, giovane figlia, che già esprimi nella poesia dell’arte la creatività di tuo Padre, abbiate l’orgoglio della sua testimonianza; nel suo ricordo non sarete mai sole; quando dovrete affrontare la responsabilità di decisioni difficili, non perdetevi nello smarrimento del dubbio; pensate a Peppeddu, a quello che lui avrebbe deciso e fatto; seguitelo: il suo insegnamento va oltre la vita.