Contributo per un grande Movimento Sardista – anni’90

I sardi sono consapevoli di costituire una comunità dotata di soggettività politica in virtù: del suo antico insediamento in territorio definito ed esclusivo; di comunanza di interessi, cultura, lingua (nelle sue varianti), tradizioni, usi e costumi. Requisiti che conferiscono alla Comunità la qualifica di Nazione.
Va sottolineato come la coscienza nazionalitaria sarda non si definisca in albagie isolazioniste aggressivamente contrapposte ad altre realtà ma, più semplicemente, nell’assunzione di ruolo politico che liberato da condizionamenti esterni, si apre al dialogo fattivo e fecondo con soggetti, istituzioni, forze e culture in un rapporto di reciproco arricchimento.
La Comunità pertanto assume quale valore primario irrinunciabile del proprio organizzarsi in Istituzione la libertà: bene vitale del cittadino e della società.
Individua nella sovranità popolare e nella solidarietà sociale i cardini della propria democrazia aperta ai vitali impulsi della libera iniziativa e della competitività, di per se, antitetiche a qualsivoglia forma di monopolio, oligopolio o altre ipotesi, più o meno mascherate, di oppressione culturale od economica.
Nell’attuale contesto storico riafferma la sua vocazione europeista e mediterranea nella prospettiva di più fecondi rapporti internazionali.
Ritiene la costituzione del Mercato comune momento necessario e funzionale al realizzarsi dell’Unione politica Europea.
Solo il Governo politico dei processi economici garantisce la concreta prospettiva del riequilibrio fra le grandi aree del Continente favorendo la naturale vocazione dei popoli europei alla reciproca integrazione delle rispettive civiltà ed alla costruzione della casa comune.
Considera il partitismo politico – quale si è definito attraverso gli anni della storia della Repubblica italiana – una esperienza negativa perché pur avendo garantito un’apprezzabile sviluppo economico e forme essenziali di democrazia, è responsabile dei pesanti squilibri che connotano l’attuale crisi italiana.
Infatti: lo sviluppo economico ha registrato un ulteriore allarmante arretramento nelle regioni del sud mediterraneo rispetto ad un nord sempre più mitteleuropeo;
ha ingenerato laceranti diaspore nelle fragili strutture sociali delle aree deboli devastate da tumultuose emigrazioni di massa verso le aree forti del Paese, dell’Europa e del Mondo;
ha suscitato diffusi processi di desertificazione delle campagne e contestuali tumultuosi inurbamenti dai quali sono derivati e derivano degrado ambientale ed ecologico e significativi sconvolgimenti degli assetti sociali e territoriali.
ha esaltato falsi miti di promozione sociale attraverso lo sfrenato consumismo dell’inutile; ha così inaridito, in un orizzonte privo di prospettive ed obiettivi, i fermenti vitali dell’operare sociale, del confronto fervido fra valori ideali e correnti di pensiero ed offuscato, se non spento, ogni empito creativo ed innovatore;
ha svilito il significato stesso di democrazia praticando la più impudente lottizzazione elevata a procedura ed istituzione dello Stato;
ha espropriato Parlamento e Governo dei rispettivi poteri per avocarli alle segreterie dei partiti in un intreccio vischioso e complice di responsabilità consociative, al coperto da controlli istituzionali ed ha precipitato il Paese nello sfacelo della corruzione che da questa ha preso il nome internazionalmente noto di tangentopoli.
Sfacelo che ha travolto i partiti storici stimolando, per naturale reazione, l’insorgere di tradizionali partiti d’ordine quali il Berlusconismo ed Alleanza Nazionale, partiti che espongono la democrazia italiana all’alea di pericolose vocazioni autoritarie.
La consapevolezza che la crisi dei partiti trovi la sua origine nella crisi dello Stato centralista – i cui poteri calano sui cittadini da vertici politico – burocratici sempre più funzionali ad interessi e privilegi parassitariamente incrostatisi nelle alte sfere decisionali dello Stato, impone l’esigenza di una grande riforma che restituisca prioritariamente alla sovranità popolare la forza reale dei poteri politici.
In breve: il potere da verticale diventa orizzontale coinvolgendo e responsabilizzando le diverse realtà territoriali del Paese che da semplici destinatarie, diventano protagoniste dei processi decisionali: non solo di quelli che si esauriscono nell’ambito delle rispettive circoscrizioni, ma, altresì, di quelli interessanti i più vasti ambiti regionali, nazionali e comunitari.
Una visione della democrazia di così ampio respiro comporta l’organizzazione federalista dello Stato.
Non è pertanto più accettabile che il confronto si esplichi attraverso i vecchi partiti-apparato che (pur avendo cambiato denominazione e, in parte, traguardi ideologici) continuano ad essere ancora strutturati in rigide gerarchie dipendenti da segreterie romane che ne decidono – salvo scissioni – le politiche.
Ciò costituisce negazione pregiudiziale della democrazia federalista.
Riserve e perplessità per altro sono suggerite dai temi proposti dagli schieramenti democratici che, al di là di un generico solidarismo, privilegiano la scelta di valori individuali a danno della più ampia e qualificante lotta per il riscatto del popolo assunto nella sua soggettività complessa e multi-anime.
Il popolo sardo è stato infatti costretto al sottosviluppo coloniale da oltre duemila anni ed, ancor oggi, continua ad essere governato e condizionato da poteri esterni sostanzialmente estranei e, spesso, antitetici ai suoi vitali interessi.
L’istituzione della Regione Autonoma si è rivelata in Sardegna – come in tutta l’Italia – strumento di autogoverno del tutto inadeguato, prigioniero com’è di un viluppo di norme e condizionamenti che ne fanno ostaggio dei poteri politico burocratici romani.
A questo punto appare evidente come solo una grande lotta di popolo è in grado di riannodare i fili aggrovigliati della storia restituendo vitalità e legittimazione alle forze politiche chiamate ad operare con forte unità d’intenti volta a recuperare la poderosa spinta di un rinnovato sardismo capace di esprimere, in tutta la sua nobiltà, la tensione morale e le legittime aspettative del popolo sardo.
Sarà così possibile scrollarsi di dosso la dipendenza gerarchica dai partiti nazionali, uscendo dagli angusti steccati di chiusure sterili e rissose finalizzate a conservare gli spazi residuali di potere esercitato su una società sfiancata e delusa, immersa nell’avvilimento di un assistenzialismo offensivo quanto oppressivo, fertile solo di verminaia clientelare.
I sardi potranno così, in virtù delle sue forze politiche, riprendere, nella prospettiva di una statualità federata (inserita nel contesto italiano ed europeo) la difficile ma esaltante via dello sviluppo economico, sociale,
culturale dando vita ad una civiltà loro propria, oggi sopita, ma potenzialmente prorompente.
Il problema della Sardegna è oggi quello di non disperdere le sue energie ma di moltiplicarne le potenzialità attraverso uno strumento di lotta politica che le aggreghi e restituisca così al popolo sardo la sua forza per affrontare i difficili confronti cui è chiamato.
Solo la regionalizzazione dei partiti può consentire un traguardo così necessario e naturale.
Partiti che pur conservando la ricchezza delle rispettive diversità ideologiche (da mettere al servizio di un fervido confronto interno alla società sarda) costituiscono nella loro unità l’invalicabile bastione del resistenzialismo sardo.
Abbiamo assoluto bisogno di inserirci da sardi, in unità di popolo, nella’elaborazione del grande progetto che definirà assetti e ruoli dei popoli d’Europa e del Mediterraneo in un futuro che è già alle soglie di casa.
Per “partecipare” dobbiamo esistere non solo come individui, gruppi o fazioni ma come popolo protagonista, aperto a collaborazioni feconde non più assistite e subalterne.
Ridiamo vita ad un grande movimento sardista, senza gerarchie né primogeniture, ma solidaristicamente aperto ad una grande lotta di liberazione nazionale gravati come siamo della responsabilità di dare il nostro contributo individuale e corale a scrivere la pagina di storia del nostro tempo perché sia finalmente di libertà, pace e progresso.
Avremo tutto il tempo di parlare di “sussidiarietà” e di altre importanti forme istituzionali che danno respiro e luce ad una moderna democrazia.
Oggi, su ogni altra cosa, abbiamo bisogno di umiltà per fare una grande unità.
Mario Melis