Discorso di benvenuto per la visita del Presidente della Repubblica, on. Francesco Cossiga, 28-8-1985

Signor Presidente,
l’ideale, caloroso saluto che la Sardegna unanime Le rivolge per il nostro tramite non si esaurisce certo in un fatto di deferenza formale, ma si arricchisce di motivi e significati democratici ai quali Ella ha voluto dedicare il Suo alto impegno Presidenziale: il rapporto con i cittadini comuni.
E noi siamo consapevoli di esserlo, vogliamo ed abbiamo l’orgoglio di rappresentarli certi che sulla loro operosità tenace ed oscura, fervida e creativa si costruiscono l’unità dello Stato, i suoi valori civili, l’impulso all’espansione economica, al vario e multiforme intrecciarsi dei rapporti interni ed internazionali fiorisce, la cultura e con essa la civiltà di un popolo.
Ed Ella, Sig. Presidente, questi cittadini li conosce e ne porta, sin dalla prima infanzia, impressa nella memoria un’immagine palpitante di umanità che, pur travagliata e sofferente, è aperta alla comprensione ed al dialogo, alla modestia senza subalternità, alla dignità che non diventa alterigia, al sacrificio sospinto, questo sì, sino all’annullamento di sé in un empito di eroismo che diventa leggenda per i valori che trascendendo le persone e si realizzano nell’universale.
Io parlo Sig. Presidente, dei nostri conterranei, dei pastori del Gennargentu, come dei contadini impastati nella terra dei Campidani e della Nurra, degli artigiani, degli operai, degli intellettuali, degli emigrati e dei disoccupati, di quella moltitudine di cittadini che tanto ha dato per le fortune dello Stato, che tanto sta dando, che tanto potrà ancora dare pur tra difficoltà, incomprensioni e, non di rado, ostacoli lungo un cammino che la storia ha disegnato per noi aspro e difficile ma non per questo disertato mai.
Noi siamo qui per testimoniarLe l’affetto e l’incondizionata fiducia di questi cittadini e rinnovarle il comune impegno a realizzare nel lavoro, passo dopo passo, uno Stato sempre più moderno, giusto ed aperto al rapporto fra i popoli, in una prospettiva di integrazione e di pace suscettibile di più vaste aggregazioni democratiche volte a superare divisioni vecchie ed anti-storiche ed a realizzare la multiforme ricchezza delle diversità.
Per troppo tempo la nostra insularità è stata isolamento.
Avvertiamo intorno a noi il vigoroso pulsare del progresso, sfiorarci ma, in larga misura, ignorarci.
Nel fiume della vita vogliamo essere non dei trasportati ma dei protagonisti.
Siamo consapevoli del ruolo Mediterraneo della Sardegna, momento vitale e fecondo di incontro  e diffusione di economie, commerci, culture e civiltà diverse. Momento di propulsione e di sviluppo che dalla nostra terra deve irradiarsi nel mare per raggiungere i popoli che dal mare vengono a noi.
Dopo millenni di duro e pesante isolamento vogliamo ritrovare nel mare le ragioni del nostro domani.
In questa prospettiva non più rinviabile vediamo i problemi dell’oggi che sono complessi e difficili anche perché originati, in larga misura, dalla più vasta crisi che attraversa il Paese sia per effetto di fattori internazionali che per la lacerante divisione conseguente agli squilibri territoriali che quasi mezzo secolo di Meridionalismo non accenna a ridurre neppure in linea di tendenza.
Al Capo dello Stato, nel suo ruolo di Supremo garante dei valori costituzionali, sottoponiamo la condizione di sostanziale emarginazione che travaglia avviluppa ed attarda la crescita sociale e civile del nostro popolo.
La disoccupazione costituisce la piaga più drammatica e disgregante di una congiuntura che si protrae ininterrotta, dopo gli anni dell’emigrazione di massa, sin dai primi anni ’70.
Il fenomeno, che coinvolge oltre 150.000 lavoratori – in larga misura giovani – trova la sua genesi oltreché nella fragilità strutturale della economia tradizionale dell’Isola, in scelte di politica industriale decise dal Governo Centrale, rivelatesi del tutto inidonee ad aggredire il sottosviluppo sardo e rimesse per giunta in discussione dalla nota crisi del petrolio.
Il ruolo di produttrice di materie prime anche in questo ambito industriale ha condannato la nostra economia a subire l’impatto più rovinoso e devastante della crisi.
Ciò che in altre aree del Paese si è tradotto in salutari ristrutturazioni e riconversioni produttive, in Sardegna si è risolto in chiusure e mutilazioni traumatiche non del tutto comprensibili, anche perché interessanti produzioni altamente competitive in virtù delle modernissime tecnologie di cui disponevamo.
Una disoccupazione indotta altresì dal rifiuto, salvo episodici e irrilevanti segni positivi, delle aziende a Partecipazione Statale a stabilire un rapporto organico con le istituzioni autonomistiche la cui programmazione viene, non di rado, sconvolta da decisioni unilaterali mai discusse e men che mai concordate con il potere regionale.
Scarsa inclinazione caratterizza altresì il polo pubblico all’integrazione e coinvolgimento dell’imprenditoria privata nei vasti settori dell’indotto per il quale rivela maggiori potenzialità.
A determinare una condizione di crisi endemica concorrono però – insieme a molti e non lievi ritardi delle stesse istituzioni regionali e del livello di elaborazione e proposta di queste – altre cause strutturali che solo una forte volontà politica dei poteri centrali dello Stato è in grado di superare.
La discontinuità territoriale, trasformatasi da fatto geografico in scelta politica ed istituzionale, emargina inesorabilmente il nostro mercato da quello nazionale e comunitario, facendone lievitare il tenore generale dei costi e sospingendolo in una spirale involutiva che condanna l’economia sarda ad una solitudine dalla quale è estranea la solidarietà e lo stesso valore unitario dello Stato.
L’intervento straordinario – rivelatosi del tutto insufficiente sia in forma specifica per l’Isola che più in generale per l’intero Mezzogiorno – viene, con pretesti diversi, bloccato facendo così mancare di colpo risorse rilevanti che, mirando alla prospettiva, aiuterebbero non di meno a superare la congiuntura.
Né il quadro sarebbe completo se omettessimo di sottolineare la sistematica sottrazione di risorse ordinarie di bilancio dovute dal Governo Centrale alla nostra Regione in virtù del Titolo III dello Statuto.
Le insistenti sollecitazioni trovano scarsa disponibilità negli interlocutori politici del Governo Centrale più inclini alla dilazione che al confronto.
Questo rilievo s’inquadra per altro in un tema che investe il dibattito del regionalismo italiano, compresso da un’involuzione centralistica affermatasi negli ultimi anni attraverso atti di governo, leggi e controlli di chiara tendenza anti-regionalista.
Il contesto legislativo anche nei disegni di legge in discussione rivela peraltro una specifica volontà di giungere all’annullamento degli Statuti Speciali attraverso livellamenti di sfere decisionali riguardate quali privilegi anziché specifiche risposte a situazioni peculiari non altrimenti risolvibili in ragione della singolarità irripetibile delle diverse realtà.
Né la violazione frequente di norme costituzionalmente garantite induce al ricorso alla Corte Costituzionale le cui decisioni giungono dopo anni di frustrante attesa quando l’oggetto del contendere è di norma superato dai fatti.
Il sistema dei controlli degli atti amministrativi come di quelli legislativi, si sono trasformati ormai in una vera e propria indagine nella quale il ruolo del Governo come del Legislatore regionale sembrano decadere ad una vera e propria subalternità burocratica nei confronti delle istituzioni destinate al controllo.
Altro motivo di vivo allarme per la collettività regionale proviene da un male endemico che, proprio in questo periodo, registra nel grave turbamento dell’ordine pubblico una fase di acuta virulenza: il sequestro di persona.
Pur apprezzando l’impegno degli addetti dobbiamo constatare come una ristrettissima, irrilevante minoranza criminale possa sconvolgere, umiliare, e rallentare l’impegno degli onesti, riducendone grandemente le attività in tutti i settori della vita economica e civile e sconvolgendone l’ordinata convivenza.
Siamo assolutamente certi che una adeguata organizzazione de gli uomini e dei mezzi, elaborata, discussa e concordata dai responsabili politici del Governo con gli Organi dell’Amministrazione Regionale, dei Poteri locali ed attuata sulla base di intese coinvolgenti le popolazioni, darebbe risultati ben più fecondi che non le dure frequenti sconfitte subite pur fra tanti sacrifici ed episodi di eroica abnegazione degli addetti alla tutela dell’ordine pubblico della nostra Isola.
Anche in presenza di significativi e, talvolta, clamorosi episodi non si è ancora preso atto che solo la partecipazione attiva e democraticamente organizzata delle popolazioni è in grado di vincere questa battaglia di civiltà.
L’azione sarà tanto più forte e vittoriosa quanto più sarà preventiva specie se potrà avvalersi del contributo convinto, spontaneo ed esperto del cittadino comune, reso sempre più protagonista, propositivo ed artefice di sviluppo.
Lo Stato, nelle sue molteplici espressioni di solidarietà istituzionale dovrà riconquistare le zone interne della Sardegna riportandovi, con significativi interventi, la fervida creatività del lavoro nelle vaste solitudini contrassegnate oggi dai desolati silenzi di un progressivo abbandono.
Un piano straordinario di viabilità e infrastrutture finalizzate prevalentemente alla produzione agricola restituiranno alle popolazioni la serenità del vivere insieme in un rinnovato clima di civiltà contadina che nonostante tutto, registra, in aree non funestate dalla lebbra criminale, sopratutto fra i giovani, significativi e non irrilevanti ritorni.
La Giunta esprime il suo apprezzamento per l’attenzione che il Parlamento ed il Governo hanno in più occasioni dimostrato per il problema delle presenze militari in Sardegna.
Nel riconfermare la più viva e convinta partecipazione delle popolazioni sarde all’impegno solidale ed unitario di difesa dello Stato e del suo territorio, la Giunta prende atto del lavoro che va svolgendo una Commissione Paritetica istituita d’intesa fra la Regione Sarda ed il Governo, per individuare le aree demaniali ed i territori gravati da servitù non più necessari alla difesa dello Stato e restituirli alle popolazioni per tutte quelle utilità civili che vanno dal riassetto urbanistico alle destinazioni produttive, turistiche o, più semplicemente, di fruizione paesaggistica.
La fiducia nel corretto comporsi delle esigenze militari da un lato e quelle civili dall’altro induce a considerare transitorio lo scompensato rapporto che ancor oggi divide la Sardegna dalla gran parte delle altre Regioni italiane.
Sig.Presidente la profonda fiducia la Sua Alta Autorità chiama ad una verità che non è protesta, né lamentazione, ma contributo meditato e sofferto al superamento dei vasti e complessi problemi ancora aperti.
Siamo consapevoli che non esistono contenziosi fra Regione e Stato perché sappiamo che la Regione stessa è momento essenziale e primogenito dello Stato.
Ed è per questo che ci siamo impegnati a renderlo più forte, più democratico, più aperto alle prospettive del domani.