Intervento al Convegno Unione Provincie Sarde – Oristano – 28 marzo 1988

Io avrei molto volentieri assolto il compito di concludere questa manifestazione e questa giornata di studio, di riflessione e quindi mi ero riservato di ascoltare i contributi, sicuramente dotti e sostanziali, dei relatori, e di tutti coloro che interverranno nel dibattito.
Purtroppo, fra meno di un’ora devo essere o Cagliari; se devo sentire le relazioni credo che io tra un’ora non potrò essere a Cagliari tant’è che mi trasferirò in elicottero col Presidente Sanna, por poi trasferirmi in altro parte l’della Sardegna, altrimenti sarei tornato qui por sentire il successivo dibattito.
Sono quindi molto mortificato nel limitarmi a portare l’adesione dell’Amministrazione Regionale, non certo le conclusioni perché non ho avuto opportunità e modo di sentire le relazioni, il dibattito, il contributo, le linee di tendenza, le tensioni che sono nell’esercizio dell’attività amministrativa delle Province e mi rammarico molto che non siano presenti qui i Sindaci perché è ben difficile riuscire ad elaborare una strategia che veda la Provincia cono Ente Intermedio fra la Regione e il nulla; evidentemente fra la Regione e i Comuni e i Comuni sono l’altro interlocutore senza i quali è difficile che sia definito un ruolo della provincia.
Lo Provincia ho una sua giusta, corretta, rilevante, fondamentale funzione e collocazione negli spazi super-regionali e supercomunali.
Tutto ciò che si ricomprende tra l’ambito regionale e l’ambito comunale appartiene all’Ente Intermedio.
Si ipotizza o si è ipotizzato un Ente intermedio che si chiamasse Circondario o che si chiamasse Mandamento o che si chiamasse Distretto o che si chiami come si vuole non ha molta rilevanza il nominalismo; ha importanza, invece, la funzione, il compito istituzionale, il ruolo che questo Ente deve assolvere, con quali poteri e con quale legittimazione, con quali capacità congenite, con quali capacità decisionali e con quali risorse finanziarie e come assicurare queste risorse finanziarie; i poteri se trasferiti, se delegati, se espressione di un ruolo, direi connaturato alla istituzione, e quindi espressione di un potere che va aldilà della istituzione, cioè della sovranità popolare.
Perché si legittima il Comune come Ente generale, come Ente primigenio, core ente intorno al quale si aggregano i valori fondamentali della Comunità? Perché il nostro sistema è un sistema democratico non un sistema autoritario e il potere nasce dal basso.
In un sistema autoritario il potere cala dall’alto; si diceva che calasse per grazia divina sulla testa del Principe e poi il Principe, nella sua benevolenza lo faceva discendere attraverso i suoi messi, i “Missi Dominici” sino al popolo che veniva gratificato dalla benevolenza del Principe.
Qui il concetto è completamente rivoluzionato; il concetto della sovranità popolare fa il potere del popolo e lo fa crescere attraverso le istituzioni; il popolo che diventa Comunità, la Comunità che diventa Istituzione, l’Istituzione che diventa forzo di democrazia e diventa il Comune che è la prima struttura fondamentale, la pietra angolare dello nostro democrazia.
Lo Provincia è un momento di coordinamento, è un momento di efficienza, è un momento di rappresentanza, così come lo è, per il suo livello, l’Amministrazione Regionale così come lo è il Governo centrale e il Parlamento.
Io stesso mi trovo o scontrare con i Ministri ai quali contesto il diritto di dire che loro rappresentano lo Stato e che noi siano le Regioni, la Conferenza Stato-Regioni.
Non c’è niente di più becero, di più insultante, di più antistatale che esprimersi in forme così padronali e antistatali perché lo Stato non è vero affatto che risiede a Roma, lo Stato risiede nel popolo.
Gli elementi, i requisiti fondamentali del concetto stesso di Stato sono il popolo e il popolo risiede nel territorio e il territorio ha una sua struttura che si incardina nella storia e sono le Regioni, sono le Regioni storiche, le Regioni sono il territorio dello Stato.
Ecco perché la Regione è lo Stato, in uno Stato regionalista, per giunta, in uno Stato che si articola nelle Regioni,lo Stato è nelle Regioni.
Il territorio dello Stato è costituito dalle Regioni e il popolo risiede nelle Regioni e, infine, l’ordinamento e le Regioni sono l’ordinamento dello Stato.
Il Governo è solo un organo dello Stato ma non è lo Stato.
Ecco quindi, attraverso questa visione che associa il concetto di potere a quello della sovranità popolare e il concetto di istituzione come momento di espressione di questa sovranità, noi vediamo come si legittima la ProvinciaIo vorrei dire questo: che nessuno ha mai combattuto la Provincia come tale, ma la Provincia come esperienza storica perché era l’espressione di uno stato autoritario che comandava da Roma, pensava da Roma e faceva eseguire poi dai sudditi ciò che da Roma era stato deciso; che a questo fine aveva i Prefetti, in rapporto diretto con il Ministero degli Interni, con la Presidenza del Consiglio e come articolazione periferica dei vari Ministri o la Provincia come organo tecnico, il Genio Civile, dove l’Amministrazione provinciale aveva questi momenti di snodo dell’amministrazione periferica.
Il tutto era l’espressione di un potere centralista, di un potere autoritario non di un potere democratico ed oggi perché noi troviamo difficoltà ad articolare questo ente intermedio nel territorio della Sardegna? Perché ancora una volta si concepisce lo Stato come periferizzazione dei poteri centrali per cui ogni Provincia avrà il suo Prefetto, ogni Provincia avrà il suo Questore, il suo Provveditore agli Studi, cioè il governo di tutte le funzioni pubbliche che viene mantenuto in un rapporto diretto con il Ministero degli Interni e con i singoli Ministri, e poi avrà anche un Consiglio provinciale, avrà anche un Presidente dell’Amministrazione provinciale, una Giunta provinciale che avranno delegati tutta una serie di poteri.

Badate, qualcosa di più il Governo tenderò.
Leggete il nuovo disegno di logge sulle Autonomie Locali e ne avrete la prova; tenterà di saltare le Regioni e di stabilire una alleanza diretta con Province e Comuni, con gli EE.LL. diretti attraverso finanziamenti che saltino le Regioni.
Tenteranno di saltare le Regioni perché la Regione è organo di rappresentanza globale.
La verità è questa: che noi viviamo in un’Italia nella quale la cultura della autonomia è profondamente diversa dal nord al sud: nel nord abbiamo una cultura municipale che da noi non esiste .
Il concetto di regione è nostro, è dello Sicilia,è del sud dove abbiano il concetto di Stato non di Comune. Da noi il Regno di Sardegna ero “Su Regnu Sardu” e così lo chiamava Eleonora nella Carta De Logu, noi abbiano il concetto di Stato e nelle Regioni sentiamo lo Stato e così lo sentono in Sicilia, così lo sentono in Campania, perché sono stati sede dello Stato. Quelli sono stati sede della loro municipalità, non vi è il senso della Regione ed ecco perché nella politica italiana c’è questa contraddizione e c’è questo tentativo di rapporto diretto del potere centrale con Comuni e con Province; ma per noi si tratta di disgregarci, la nostra debolezza sta nella dissociazione, nella disarticolazione delle istituzioni regionali.
La nostra forza sta nell’unità Regionale, nel porre il problema Sardo nella sua globalità, nella sua unità e guai a noi se ci lasciamo prendere dalla suggestione di istituzionalismo! Io vengo dall’esperienza municipale: sono stato Sindaco quindici anni e ho l’orgoglio di questa esperienza, sono stato componente del Consiglio Provinciale di Nuoro reiteratamente eletto perché ho vissuto questa esperienza di democrazia attraverso tutte le diverse fasi in cui questa si articola, ma sono convinto che soltanto nella forza rappresentativa dell’Istituzione regionale si realizza la forza dei singoli Comuni e più è forte la Regione e maggiore è la ricaduta nelle istituzioni periferiche.
Allora il problema è di individuare che compito ha la Regione; lo diceva Emanuele Sanna: è un compito legislativo, cioè deve la Regione recuperare appieno tutta la forza, tutto il prestigio, tutte le ricchezze della capacità propositiva che, attraverso l’elaborazione legislativa, si esprime nella fissazione dei grandi obiettivi e della elaborazione degli strumenti attraverso i quali questi obiettivi possono essere realizzati. Si esprime anche nella definizione del rapporto con i poteri degli esterni alla Regione facendo dei Comuni, delle Province dei punti di forza reali di amministrazione attiva, di coordinamento dello sviluppo, di momenti di propulsione, di elaborazione e di realizzazione dello sviluppo della programmazione economica. Il tutto in una visione che deve avere tutta la forza e la nobiltà dell’unità dei Sardi.
Ecco, cari amici, in questo senso la Regione ha già predisposto i sui disegni di legge che sono all’esame del Consiglio, un disegno di legge per l’istituzione dei Circondari.
I Circondari sono nient’altro che l’Amministrazione Provinciale nell’ambito delle circoscrizioni circondariali. Ma se così è, se cioè è una quota a parte dell’attività della Provincia che si realizza in quello spazio territoriale nel quale la Provincia si suddivide, la Regione si deve sostituire allo Stato nel finanziare questo nuovo Ente. Se tutto questo deve gravare sul Bilancio regionale, la Regione assume potere di supplenza e ruolo di supplenza nel finanziare queste istituzioni, a meno che non le chieda come Province nella loro globalità, quindi col sig. Prefetto, col sig. Questore, col sig. Comandante del Gruppo, con tutte le altre autorità che si riconnettono là dove invece una cosa è l’articolazione del potere Amministrativo nel territorio, un’altra cosa è invece quella di un Prefetto che ha compiti di tutt’altra natura e che non hanno bisogno di polverizzarsi nel territorio.
Ed allora, ecco perché lo Stato nella sua accezione centralissima dice che se non ci sono almeno tanti abitanti, non impegna un Prefetto, non dà vita ad una nuova Provincia, quasi che la peculiarità dell’esperienza regionale, proprio per il suo essere entità diversa da regione a regione, non comporti soluzioni diverse da regione a regione. È il regionalismo che, affermato a parole, viene negato nei fatti per cui si afferma altro principio: quello della uniformità e con l’uniformità il conformismo e con il conformismo la subalternità, la fine dell’autonomia.
Amici cari, sono concetti fondamentali sui quali io credo noi dovremmo riflettere tutti. Se noi vogliamo una Regione forte e vigorosa dobbiamo avere dei Comuni che abbiano forza, prestigio, dignità nelle loro decisioni e nella possibilità e nel potere di attuarle queste decisioni.
Quindi, una autonomia finanziaria, una autonomia amministrativa, una autonomia culturale, nel senso che cioè le loro strutture come funzionari, come dipendenti, abbiano la capacità di elaborazione. Ma, io ricordo, sono diventato Sindaco, non avevo un Geometra alle dipendenze, non avevo si può dire oltre il Segretario, un Ragioniere, non dico un laureato in legge, un ragioniere, per cui ci si muoveva un po’ a tentoni; ma non si può guidare lo sviluppo, non si può creare la programmazione, sia pure nell’ambito territoriale del Comune, senza disporre di grosse professionalità, di grossa cultura, di un’organizzazione che abbia l’ampiezza degli orizzonti del futuro.
Ma per fare queste cose occorre disporre di grosse strutture e questo, a maggior ragione, ce le ha la Provincia. Io che ero istintivamente, direi ideologicamente, contrario alla Provincia e, in fondo, lo sono ancora perché è stato l’errore, secondo me, di fondo della classe politica che è stata espressa dalla resistenza. La resistenza, che doveva ottenere la rifondazione dello Stato, ha preferito la riforma dello Stato; ha preso,cioè, lo Stato di tipo Albertino dello Statuto Albertino, l’ha lasciato in tutte le sue strutture, non ne ha abolita neanche una; ci ha appiccicato, come un elemento aggiuntivo, le Regioni e le ha fatte convivere con tutte le strutture del centralismo ed oggi noi abbiamo tutta l’incoerenza che urla tutte le incompatibilità di queste istituzioni.
Lo Stato è stato solo riformato ma la verità è che è stato semi-paralizzato, si è dato un minimo di soddisfazione ai regionalisti, ma sei è conservato appieno una struttura centralistica per cui oggi è possibile l’involuzione di tipo centralistico cui tutti ci lamentiamo.
Mentre tutta l’Europa, il mondo sta riscoprendo il valore del regionalismo; la Francia che è la patria dello Stato borghese moderno, Napoleonico, che ha valorizzato le istituzioni prefettizie e tutta una burocrazia di altissimo livello, oggi con Chirac, non con la sinistra, con la destra, sta scoprendo le Regioni, sta riproponendo le Regioni come elemento fondamentale.
Tutta l’Europa oggi è su basi regionali, il modo è su base regionale, l’Italia sta subendo l’involuzione centralista, perché? Perché lo Stato è in fase preagonica e sono i colpi di coda tremendi di un’istituzione che si è invecchiata, di un’istituzione che non riesce a dare risposte.
Non si parla d’altro che di grandi riforme, ogni Governo che si costituisce deve realizzare grandi riforme.
Questo Stato non regge al suo ruolo perché questo Stato è contraddittorio, perché questo Stato è incoerente nelle sue strutture; o si realizza veramente la grande riforma di tipo democratico per uno Stato democratico o verso ancora lo Stato autocratico, lo Stato cioè dei poteri centrali.
Badate che i peggiori anti-regionalisti in genere nel parlamento sono gli ex-regionali.
La verità che l’involuzione sta avvenendo col crescere degli ex-regionali in Parlamento; è una constatazione di fatto, che poi provenga da loro o meno è un’indagine che sarebbe interessante approfondire.
Ma questa è la realtà e allora, cari amici, noi abbiano bisogno di fare delle riflessioni, non in astratto ma in concreto.
I disegni di legge presentati dalla Giunta al Consiglio Regionale in che modo vengono apprezzati? Quale ne è la valutazione? Quali i consensi? Quali le critiche?
Io credo che noi potremmo fare molto, soprattutto se definiamo in questa legislatura il ruolo delle Province e dei Comuni, in modo che la prossima legislatura possa gestire la nuova Regione: una Regione che si sia alleggerita di quei compiti di amministrazione attiva che altro non sono che il clientelismo, che altro non sono che la forma attraverso le quali si è declassato il ruolo della Regione; con Assessori che si sono occupati dei problemi particolari, delle fognature di S. Teresa di Gallura o della stradetta di campagna di Capoterra, con una puntualità così specifica e particolare da essere molto sospetta e che, comunque, ha appesantito il compito delle Regioni in un ruolo che ha finito col rallentare l’azione amm.va, col renderla corposa, greve, farraginosa, lunga, inaccettabile.
Ecco la nuova Regione: una Regione che faccia leggi, che fissi obiettivi, che coordini, che dia i grandi indirizzi, che abbia poteri vicari sostitutivi, che abbia poteri reali di controllo, impulso di indirizzo; che possa svolgere veramente un ruolo di grande guida di alta politica.
Questo è il ruolo delle Regioni.
Alle Province spetta occuparsi di tutto ciò che non rientra in questo compito ma che non è ricompreso tra quelli comunali.
È inutile stare a farne l’elenco perché, secondo me, non va per settori ma abbraccia l’insieme, abbraccia l’insieme dei poteri, tutto ciò che è sub-regionale, che è al di sopra dei Comuni, può trovare nel l’Amministrazione Provinciale questo momento di snodo, di collegamento fra Regione e Comune.
E per quanto riguarda il compito dei Comuni, l’unica cosa che non dovremo mai fare è di associare questi Enti in decisioni comuni per cui la così detta democrazia partecipativa abbiamo finito col realizzare forme di un assemblearismo che tutto è meno che amministrazione reale e abbiano così bloccato l’efficienza, abbiamo così bloccato la credibilità delle istituzioni nelle risposte che queste sono chiamate a dare ai cittadini.
Noi dobbiamo esaltare due fattori che sono essenziali per lo stare insieme: democrazia ed efficenza.
I cittadini hanno diritto di ottenere il soddisfacimento delle loro aspettative, gli atti dovuti dobbiamo poterli rendere ai cittadini nei tempi accettabili.
Non è più possibile che in un momento nel quale l’internalizzazione dell’economia, in un momento nel quale la comunicazione diventa contestuale allo svolgersi dei fatti rende compartecipi tutti i cittadini del mondo.
Le decisioni che gli operatori economici sono chiamati ad assumere debbono essere tempestive e l’Amministrazione che deve sopportare l’azione degli operatori economici nello sviluppo, nella crescita, nell’espansione dell’attività produttiva ed occupativa deve avere la tempestività, il dinamismo, la produttività amministrativa del tempo moderno,del tempo della telematica, dell’informatica.
Non possiamo perdere tempo associando nelle decisioni istituzioni diverse; ciascuna deve avere il proprio ambito di responsabilità – non sto dicendo nella gerarchia perché non credo alla gerarchia in democrazia – ma nel proprio ruolo e delle proprie decisioni ed in questo rapporto di equilibri e di reciproco rispetto noi possiamo costruire l’avvenire della nostra gente.