Intervento in aula – Senato della Repubblica – VII Legislatura 57a Seduta pubblica venerdì 17dicembre 1976

Presidenza del presidente Fanfani, indi del vice presidente Catellani e del vice presidente Valori
Seguito della discussione « approvazione con modificazioni:
«Provvedimenti per il coordinamento della politica industriale, la ristrutturazione, la riconversione e lo sviluppo dei settore»
MELIS.  Domando di parlare per dichiarazione dì voto.
PRESIDENTE.  Ne ha facoltà.
MELIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, prendendo la parola per il Partito sardo di azione, non posso sottrarmi al dovere di manifestare le non lievi perplessità suscitate in me dal disegno di legge in discussione. Non già che ne disconosca i segni positivi che lo caratterizzano e qualificano. Il testo, ampiamente emendato e arricchito dal dibattito avvenuto in sede di Commissioni riunite, ci offre uno strumento decisamente innovativo nella prassi dell’intervento pubblico del governo dell’economia. Particolarmente rilevante nel nostro giudizio è il principio che assoggetta alla elaborazione di una organica programmazione le scelte operative di politica industriale individuando, sulla base degli indirizzi generali elaborati dal Comitato dei ministri istituito nell’ambito del CIPI, gli specifici settori d’intervento. Una tale procedura sottrae l’azione dello Stato al discredito della politica dispersiva e clientelare del caso per caso sin qui praticata, restituendole quel crisma di obiettività che dovrebbe essere connaturato e che la rende accettabile e credibile ai cittadini tutti e agli operatori economici in particolare.
L’istituzione della Commissione parlamentare chiamata ad esercitare la vigilanza sulla programmazione e sull’attuazione degli interventi delle partecipazioni statali oltre che ad esprimere il parere sui programmi pluriennali degli enti di gestione, offre un ulteriore qualificante contributo al clima di chiarezza dei processi economici nel momento formativo delle scelte e della verifica. L’ispirazione meridionalista del disegno di legge testimonia lo sforzo del Parlamento di perseguire a tentativo, sempre deluso, di attivare il riequilibrio territoriale tra le due grandi aree nelle quali il paese è diviso e per certi versi di fatto contrapposto. La scelta della mobilità del lavoro quale necessario strumento di duttilità operativa nella fase di riconversione e ristrutturazione delle aziende in crisi esalta il contributo offerto dalla base operaia occupata allo sforzo che il paese va compiendo per superare questo drammatico momento della vita nazionale.
Ma, onorevoli colleghi, all’interno di questa logica che si trova concordi serpeggiano motivi di inquietudine che sentiamo il dovere di esplicitare, onde stimolare l’ulteriore azione del Governo e dello stesso Parlamento nella direzione di un più incisivo intervento volto a superare gli scompensi storici esistenti tra il nord e il sud d’Italia. Non possiamo certo ignorare che, per effetto di uno sviluppo economico gravemente distorto ed artificioso, l’apparato produttivo industriale è localizzato al nord, mentre al sud vi è ben poco da convertire e da ristrutturare, essendo stato disertato sia dagli operatori industriali privati che pubblici. Ed era naturale che così dovesse avvenire, quanto meno per i privati, non essendosi mai create nel sud le grandi infrastrutture che rendono possibili, convenienti e competitivi gli insediamenti industriali. Le pesanti diseconomie esterne all’azienda, conseguenti alle carenze denunziate, hanno scoraggiato e — vi è da prevedere — scoraggeranno gli investimenti per l’alto indice di rischio connesso a tali localizzazioni.
In Sardegna poi le diseconomie divengono paralizzanti per la dura penalizzazione inflitta al suo sviluppo economico dall’altissimo costo dei trasporti marittimi, per l’irrilevanza dei trasporti interni, affidati a folcloristiche ferrovie a scartamento ridotto e ad una sola linea a scartamento ordinario non elettrificata e ad un solo binario, la cui capacità di trasporto è inverosimilmente rimasta invariata da un secolo a questa parte. Ebbene, la scelta meridionalista per essere valida deve evidenziarsi in un complesso organico di provvedimenti tra loro coordinati. Vanamente però si cercherebbero nel bilancio dello Stato che ci accingiamo a discutere nei prossimi giorni i segni di un tale orientamento. Di certo non si intravvedono per la Sardegna, che nel corso di questo stesso anno ha visto diminuire in termini di tonnellaggio e numero di corse l’offerta di trasporto marittimo nei collegamenti fra i porti dell’isola e quello di Genova.
Il sistema viario interno è insufficiente e talvolta inesistente. Le importanti aree del Gerrei e dell’Ogliastra, tanto per fare un esempio, attendono di rompere il loro secolare isolamento e di ricollegarsi organicamente al resto della Sardegna, attraverso un’importante strada che, promessa da molti decenni, resta ancor oggi un’aspirazione tanto essenziale quanto frustrante.
Come possiamo sperare in queste condizioni, onorevoli colleghi — e questo è solo un aspetto delle diseconomie cui facevo cenno — che la nostra isola venga prescelta dagli operatori economici privati per insediarvi la loro attività sostitutiva e spendervi una quota di quel quaranta per cento degli stanziamenti riservati al Sud? Lo Stato potrebbe garantire anche il cento per cento di mutuo o di contributo a fondo perduto, ma ove non si sciolgano questi nodi l’operatore economico continuerà a disertare le nostre sponde e i sardi continueranno ad emigrare inseguendo una certezza che ogni giorno si fa più problematica ed amara. D’altra parte tutte le leggi di programmazione economica hanno riservato al Mezzogiorno il quaranta per cento delle somme stanziate, ma i risultati sono qui a testimoniare l’inefficacia di un tale meccanismo.
Né il mancato coordinamento delle azioni dello Stato con il disegno di legge in esame in vista della scelta meridionalista si limita al rilievo della diversa impostazione programmatica del bilancio.
Vorrei ricordare che la stessa legge 183 attende ancora di operare non essendone stati definiti né il programma né le priorità.
È perciò essenziale che il Governo provveda nei tempi più brevi ad attivarne le procedure dd intervento onde contenere gli effetti più nefasti della crisi e promuovere quei processi di sviluppo che sono alla base della legge medesima.
La fragilità strutturale dell’intero apparato produttivo meridionale lo rende più vulnerabile ed esposto all’azione disintegrante della crisi economica.
Né possiamo illuderci circa l’operatività nei tempi brevi della legge in esame. Dobbiamo infatti sottolineare il fatto che nei prossimi due anni sarebbe colpevole illusione attendersi effetti di qualche rilevanza nel Mezzogiorno e nelle Isole.
Abbiamo quindi dinanzi a noi un tempo drammaticamente vuoto che non può essere superato con la sola forza dell’apparato produttivo locale e dell’intervento delle regioni. A queste incombe il dovere di governare con estremo rigore le risorse disponibili con programmi finalizzati al superamento della crisi ed al contestuale rilancio produttivo; non è però realistico pensare che ciò sia sufficiente.
È compito dello Stato operare con gli interventi di cui dispone per governare l’economia stimolandone le potenzialità espansive in un quadro di compatibilità sociali oggi profondamente scompensate e degradate.
La legge ha l’indubbio merito di esaltare il ruolo promozionale delle aziende a partecipazione statale. Sollecitiamo il Governo ad utilizzarle nella prospettiva ora detta inserendole negli spazi lasciati vuoti dall’imprenditoria privata del Sud e delle Isole, per modo che intorno ad esse si sviluppino le attività indotte capaci di promuovere l’occupazione, il reddito, le diversificazioni produttive ed in ultima analisi la crescita globale delle società rimaste indietro nel moto di naturale progresso che ha coinvolto solo le aree industrializzate del nostro paese. Noi sardi guardiamo con favore alla ristrutturazione dell’EGAM al cui destino sono oggi legate le ipotesi di una vigorosa ripresa delle attività di ricerca mineraria nel settore piombo-zincifero e la conseguente verticalizzazione del processo produttivo che dalla fase estrattiva, attraverso la minerallurgica, si concluda con quella manifatturiera. Solo così sarà consentito giungere alla compensazione dei costi e a garantire, espandendoli, i livelli occupazionali.
Un discorso analogo e per certo verso ancor più ricco di prospettive si propone per il settore petrolchimico di base largamente rappresentato nelle diverse aree territoriali della Sardegna e del Sud in genere.
Da matrici di colonizzazione ed inquinamento, tali industrie possono finalmente diventare importanti vettori di progresso. Intorno ad esse — parlo dell’ANIC, delle sue consociate, della stessa Montedison e della SIR — dovrà svilupparsi l’industria manifatturiera della chimica fine, diffusa nel territorio e differenziata nella vasta gamma dei settori merceologici di cui è capace.
L’effetto moltiplicatore che una tale scelta di politica industriale determinerebbe potrebbe essere un contributo di per sé decisivo a rivitalizzare tutti i settori dell’economia ridando slancio e vigore anche al settore agricolo al quale ritornerebbero con rinnovata fiducia le giovani leve del nostro mondo contadino e pastorale.
Solo così questa legge sarebbe capace di rispondere alle molte aspettative che ha suscitato. Da strumento di pura conservazione dell’esistente si trasformerebbe in valido supporto di sviluppo e di riequilibrio territoriale, contribuendo nei fatti a sospingere quel processo di unificazione nazionale ancor oggi lontano dall’essersi realizzato.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, da questa crisi si potrà uscire solo in virtù del consenso delle grandi masse popolari. Ma queste chiedono di essere protagoniste attive delle scelte e della loro gestione. Non potranno certo accettare di subire passivamente operazioni trasformistiche al fondo delle quali si precipiterebbe in una nuova crisi ancora più grave e nefasta di quella attuale.
Per tutte queste considerazioni dichiaro di voler attendere il Governo alla prova dei fatti astenendomi dal voto. (Applausi dall’esilema sinistra).